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da: Giorgia Giordano

Nella migliore delle ipotesi i buchetti rotondi che forano le pagine si sbrindellano un po’. Ma quasi sempre gli angoli sono spiegazzati, la carta messa a dura prova da frettolosi inserimenti all’interno di un libro in attesa di successivi trasferimenti, i quadretti e le righe deformati da improprie fermate e scontri all’interno di zaini stracolmi, i contenuti martoriati da innumerevoli entra-ed-esci dai loro duri e spigolosi contenitori.
Quello di cui sto parlando sono i fogli dei quaderni con le anelle: croce di noi genitori ed ex alunni; ma, a quanto pare, delizia incontrastata degli insegnanti di tutti questi ultimi, svariati decenni.
Perché a scuola non si possono usare dei banali, semplici, funzionali quaderni? Che colpe devono scontare i vecchi, classici blocchi di carta raccolti e legati in una copertina di cartoncino? Sono sottili; obbligatoriamente ordinati; pensati per far sì che i fogli si proteggano l’uno con l’altro; propensi automaticamente a mantenere l’ordine cronologico di quello che, via via, ci scrivi sopra. Poi sono meno invasivi e violenti all’interno di zaini e contenitori, rispetto a quei loro cugini armati di cartone plasticato e anelle in acciaio, che sono – appunto – i quaderni con le anelle.
Il problema – pare – è che, se manchi un giorno o se una lezione alterna spiegazioni di algebra con quelle di geometria, il foglio provvisto di buchi ti consentirebbe di inserirlo qua e là più facilmente. Sono dunque più flessibili, ancorché precari. Forse una metafora che, già nei nostri apparentemente floridi anni Ottanta, doveva farci intravedere il futuro verso il quale stavamo approdando: flessibilità e precarietà. Con la flessibilità che troppo spesso affida a un indefinito momento futuro l’occasione di porre certezze, fissare paletti, avere punti fermi.
Eppure non basta questo strumento (di tortura cartaria). Le giornate scolastiche sono dispensatrici di ulteriori fogli raminghi, affidati alla mercè di libri e cartelline, in balia di camerateschi spintoni e ammassamenti all’interno di bus e bauli d’automobile. Nel corredo di ogni allievo fin dai primi anni di vita scolastica abbondano, infatti, le famose fotocopie, fornite per arricchire e integrare i libri di testo. Di solito questo comporta, a monte, una colletta da parte di rappresentanti di genitori, incaricati di finanziare l’istituto scolastico, che non avrebbe abbastanza risorse per l’acquisto di fogli A4 e relative fotocopie. Che alla fine riescono comunque, sempre, ad essere prodotte e distribuite. Per andare a ingorgare le pagine dei libri stessi, alla ricerca di un ordine temporaneo all’interno di buste trasparenti (a loro volta dotate di buchi) da inserire nei famosi quaderni con le anelle. Il fine ultimo delle fotocopie è quello di intercettare ragazzi o adulti che possano ridare un po’ di tregua al loro sfortunato destino e che accarezzino con un po’ di compassione la piega alle orecchie stropicciate delle loro vulnerabili estremità. Il continuo fuoriesci dalle pietose buste trasparenti – a scopo di lettura, ripasso e apprendimento – tende comunque a rimettere a repentaglio l’incolumità, che si era faticosamente cercato di dare ai fogli fotocopiati. Alla fine di ogni anno scolastico, dunque, ci ritroviamo a contemplare pile di materiale cartaceo farcito e imbottito, che provoca insani mal di pancia, improprie voglie di falò e sensi di colpa per volerci sbarazzare di qualcosa che sentiamo che si dovrebbe, invece, vezzeggiare e blandire come un cimelio di infanzia o gioventù.
Le scuole sono finite, le nuove classi vengono formate, tra un paio di mesi gli scaffali di cartolerie, mercati e supermercati torneranno a riempirsi di materiale scolastico di cui fare incetta. Speriamo che questa sarà, finalmente, la volta buona: che faremo acquisti destinati ad essere valorizzati e curati, che i fogli che si riempiranno di nozioni restino lisci e ordinati, che le deboli anelle di carta non si frantumino, che magari ci sia qualche vecchio e classico quadernino in più. Buone vacanze!

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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