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Il linguista Lakoff mette in luce la forza del linguaggio nel plasmare la morale e le opinioni politiche. Le narrazioni che gli individui elaborano sui diversi fatti in cui sono coinvolti o che giudicano, costituiscono delle cornici che orientano i modi di pensare e hanno un significato morale. Le parole sono contenitori per le idee, condensano categorie di giudizio che la mente incorpora nei circuiti neuronali. Il linguaggio è “incorporato” quindi, nel senso che contribuisce a lasciare tracce nella nostra corteccia cerebrale, che supportano poi i modi del pensare. Per questo le metafore possiedono una forza cognitiva e influenzano profondamente i pensieri e le posizioni che gli individui credono di avere elaborato sulla base di scelte razionali. Per questo il linguaggio che usiamo incide sulle nostre azioni.
Per fare un solo esempio, certe forme espressive (ognuno ne può richiamare alla mente con dovizia, attorno ad uno degli intercalari diffusi “non me ne frega un c.!”,) dispongono gli individui in un atteggiamento, in uno stato di subalternità, precludono la comprensione e anche la critica, sanciscono l’abdicazione a qualunque responsabilità individuale. In altre parole, assumendo le analisi dei linguisti, lo schema mentale che si instaura legato a quella frase si trasferisce ad altri contesti di vita, di pensiero e di azione. Per questo è importante l’attenzione al linguaggio di bambini e adolescenti: non è una questione di educazione formale, non si tratta di fastidio per il turpiloquio, si tratta di evitare che si formi un pensiero “impotente”.
Il linguaggio è il veicolo di una narrazione, come si dice con un’espressione appropriata, ma così abusata da perdere valore e da rappresentare la notte in cui tutti i gatti sono neri. Se pensiamo al nostro linguaggio quotidiano, vediamo le espressioni di cui siamo ostaggio. Intanto i superlativi: fantastico, straordinario, eccellente, pazzesco (certo il più emblematico della serie), oppure: drammatico, terribile, fastidiosissimo, etc. Queste locuzioni ledono il principio della sobrietà e, soprattutto, annullano con termini onnicomprensivi, l’esigenza di cercare modi sottili per esprimere e descrivere ciò che si intende mettere all’attenzione dell’interlocutore. In sostanza, non dicono nulla. Poi ci sono altre espressioni divenute insopportabili, le classificherei sotto il denominatore comune dell’empatia: tra queste le più pelose: “devo esserti sincero”, “come tu sai bene”, subdole perché tendono a togliere spazio di dissenso a chi ascolta. I talk show sono infarciti di questo tipo di frasi.
Altre espressioni riflettono l’idea di verità come testimonianza che si è andata affermando: “intendo”, “voglio dire”. Alcune modalità sono semplicemente comiche, ad esempio “letteralmente” per confermare la veridicità di ciò che si sta dicendo, “spesso e volentieri” applicato ad episodi sgradevoli.
Qualche giorno fa uno studente venuto a sostenere un esame orale, per esprimere la sua adesione alla mia domanda e il suo interesse al testo, intercalava con “fichi” una gran parte delle risposte. Come sapranno coloro che sono pratici della lingua, nella provincia di Parma, il termine è un modo “educato” per dire “f…”, universale ed eterna locuzione, che esprime l’universo semantico prevalente nei maschi (in tutti i tempi).

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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