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“Mi ha semplicemente detto che ero una persona molto maleducata e che, in 7 mesi di collaborazione, non avevo mai fatto un atto giusto. Ho messo i miei codici in una borsa, sotto lo sguardo vigile della nuova collega che aveva già preso posto nella mia scrivania, e me ne sono andata. Non ha avuto bisogno di dire altro che una bugia per porre fine al nostro rapporto lavorativo. Mia figlia aveva appena un mese di vita: ho lavorato fino al nono mese per un noto studio che si occupa di diritto del lavoro, appoggiandosi ad un sindacato cittadino e che quindi, in teoria, dovrebbe tutelare i lavoratori. Io ho lavorato fino al nono mese ma, dopo avermi impiegata anche per il trasloco di studio, il mio dominus mi ha sostituito con un’altra ragazza libera da impegni famigliari”. Lo racconta S., ex avvocato del foro di Ferrara, ed una dei tanti legali costretti a cancellarsi dall’albo professionale per mancanza di lavoro.

“Ciò che succede dentro gli studi legali lo sa veramente solo chi lì dentro ci lavora – continua a raccontarci S. – Nell’immaginario collettivo è ancora forte l’idea dell’Avvocato, principe del foro e pieno di soldi, spillati magari con arguzia al cliente di turno. La verità è che dopo 10 anni di professione alle spalle, ti ritrovi a fare ancora da factotum al tuo dominus: a redigere gli atti con la sua firma e ad andare in udienza al suo posto, oltre a pagargli le bollette alla posta o andargli a prendere il figlio a scuola. Il ‘dominus’ riceve i clienti, e i soldi, i suoi portaborse svolgono tutta l’attività forense”.

Racconta G.: “Con mia madre all’ospedale per gravi problemi di salute dovevo rispondere alle telefonate del mio capo studio, incapace di portare avanti le sue pratiche in mia assenza perché non le aveva mai gestite e nemmeno se ne era mai interessato. E di ciò me ne è stata fatta una colpa, anche quando mi sono assentato per qualche giorno successivamente al funerale, a tal punto che sono stato redarguito per le troppe assenze e, al mio rientro, ho dovuto macinare ore e ore di lavoro per recuperare tutto il lavoro arretrato che, ovviamente, non era stato svolto”.

“Se ho mie pratiche personali – dice M. – oltre a non poterle portare avanti con il mio nome perchè considerate  ‘pratiche dello studio’, sono obbligata a pagare una sorta di ‘pizzo’, e cioè versare il 30% del ricavato al mio dominus, che così facendo guadagna senza neanche lavorare, sfruttando me, suo collaboratore, che non paga mille euro al mese”.

“La questione non riguarda solo Ferrara – precisa ancora S.- Nella mia esperienza lavorativa ho potuto vedere che è un problema nazionale. A Parma il mio dominus era talmente avulsa dall’attività forense, delegata totalmente a noi collaboratori, che faceva correggere gli atti alla sua segretaria. Alla mia collega appena sposata aveva anche offerto di pagarle la pillola anticoncezionale”.

Sembrano racconti di fantasia eppure sono solo alcune delle testimonianze di chi ha deciso di raccontare una realtà che appare sommersa e di cui a Ferrara poco si parla. Alla richiesta di fornire dei dati ufficiali sullo stato di occupazione degli avvocati iscritti e del numero di cancellazioni registrate in questi anni, l’Ordine degli Avvocati di Ferrara non risponde. Su internet, con riguardo alla professione legale a Ferrara, compare il sito dell’Ordine e il nome di alcuni noti studi cittadini. Non un articolo di approfondimento o denuncia sulla situazione dei praticanti non regolarizzati, sulle avvocate che hanno perso il lavoro a causa della maternità, sui fittizi rapporti di lavoro da libero professionista con partita Iva che sottendono, invece, un rapporto di lavoro subordinato bello e buono. Di sicuro vige la legge della giungla, con il pesce grosso che mangia quello piccolo, in un ambiente, quello legale, dove ormai si assiste ad una vera lotta per la sopravvivenza.

Nel 2016 su 246 mila avvocati iscritti ben 8 mila si sono cancellati dall’albo. La crisi economica sta falcidiando gli esponenti di quella che era considerata una ‘casta’ e, nei giornali, ormai si parla degli avvocati come dei nuovi esodati. Gli albi sono sovraffollati, nonostante i tanti giovani che si iscrivono in Giurisprudenza, un numero limitato arriva alla laurea ed un numero ancora più esiguo riesce a superare un esame di stato che, per difficoltà, è paragonabile ad un concorso pubblico. Eppure sono sempre troppi: l’Italia si colloca al terzo posto, dopo il Liechtenstein e la Spagna, come maggiore concentrazione di avvocati, con una media nazionale di 4 legali ogni mille abitanti. In Italia si contano 333 avvocati ogni 100 mila abitanti, in Francia solo 75. Nel nostro Paese, per ogni magistrato ci sono 27 legali, in Francia 7, nel Regno Unito 3. Al problema del sovraffollamento, si deve aggiungere la forte pressione fiscale a cui la classe forense è sottoposta – a fatturato pari a zero si deve versare alla Cassa Forense quasi 3 mila euro annui quali contributi obbligatori – l’abolizione della tariffazione minima che garantiva un minimo compenso dovuto per la prestazione lavorativa assolta, e la difficoltà a farsi pagare il proprio lavoro vista la crisi economica in atto.

Secondo gli ultimi dati ogni avvocato guadagna mediamente circa 38.627 euro, un calo considerevole rispetto ai 51.314 euro del 2007, mentre 56 mila legali sotto i 40 anni non riescono a mettere da parte più di 10.300 euro annui. Infine, i giovani praticanti e tirocinanti, che lavorano anche 12 ore al giorno, non percepiscono più di 200-300 euro al mese. “Quando ho scritto al Presidente dell’Ordine – dice S. – per denunciare quanto accadutomi, speravo in una presa di posizione e una condanna netta verso certe pratiche. Mi sono sentita dire che ‘chiusa una porta si apriva un portone’. Eppure so di tante colleghe che hanno perso il lavoro a causa della maternità e il Presidente stesso ammetteva di essere a conoscenza di questi tragici casi”. “Pago l’Ordine ma non so perché – dice G. – Il presidente è gentile e disponibile, ma non si assiste a nessun cambiamento. Nessuna presa di posizione, a livello locale e nazionale, a tutela del nostro lavoro e di condanna per pratiche che ormai sono date per assodate come lo sfruttamento dei praticanti e la retribuzione da fame che ci viene concessa dopo 10 ore di lavoro quotidiano”.

Ci si iscrive a Giurisprudenza con il mito della toga e la devozione alla causa della Giustizia, si invecchia come Azzeccagarbugli seduti ad una scrivania per poche centinaia di euro al mese.

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Simona Gautieri

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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