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29 Dicembre 2014

Selfie, cinema e narcisismo

Tempo di lettura: 4 minuti


selfie-cinema

La tecnologia informatica, con la rete che connette ogni soggetto con il tutto indistinto del web, con i suoi vari strumenti, Facebook, Tweeter etc., propone in qualche modo un individuo al centro del mondo, o almeno questa è la illusione che ogni navigatore, in qualche modo, culla e insegue.
E’ stato calcolato che tra il 30% e il 50% delle foto scattate dai giovani adolescenti siano selfie: una autorappresentazione di una massa sconfinata di utenti che propongono la propria immagine, pensando in qualche modo a una promozione narcisista di sé.
Non solo la propria immagine, ma anche dove sei, con chi sei, cosa fai, cosa cucini o cosa mangi; un gigantesco ininterrotto rimbalzo di centinaia di milioni di utenti dei social media, continuamente connessi ognuno individualmente con tutti.
L’iconografia proposta è quasi sempre ricca e appagante, spensierata e felice h.24; nessuno spazio per dubbi, ombre, riflessioni, amarezze; una umanità apparentemente felice e spensierata, esasperatamente socializzata, in realtà frantumata e disancorata; una monade che non desidera interagire in profondità nella sfera della emotività, del confronto, della riflessione, inevitabilmente incerti e faticosi.
Recentemente, in un festival del documentario scientifico, di cui ero in giuria, un esperto in comunicazione rilevava la grande difficoltà da parte di studenti tra i 16/22 anni, chiamati a votare, di sostenere la visione di filmati, sia pure interessanti e godibili, ma che avevano il “torto” di durare più di qualche minuto.
Così come la scrittura digitale sta portando ad una eccessiva semplificazione del linguaggio e ad una drammatica desertificazione nei vocaboli usati e nella struttura del discorso.
Un comportamento culturale in cui il soggetto soffre le riflessioni e i tempi di una proposta esterna a sé, e che si contrappone all’essenza del cinema, che è rappresentazione del mondo, in una visione che dal soggetto/autore si amplia e si estende, approfondendola, nel bisogno di uscire dal “sé”, con modi e tempi imposti, insopportabili per i nostri solitari narcisi.
La ricchezza, se si vuole la magia, del cinema, sta proprio nella sua capacità di farci conoscere luoghi, storie, comportamenti, sentimenti, emozioni.
Se facciamo caso, in un giorno qualsiasi, al pubblico in una sala cinematografica, constateremo che in gran parte è composto da grigi: scarsa la presenza di pubblico giovanile, che quando va in sala la maggior parte delle volte si orienta verso il cinema di fantasy o di computer grafica, che ripercorre, in qualche modo, modi e contenuti del web e della rete.
Per il cinema la sfida sarà, nei prossimi anni, quella di riuscire ad intercettare tanti piccoli individualistici selfie-man, senza perdere quelle caratteristiche che ne hanno fatto la settima arte.
Considerato che, ad ogni cambio di tecnologie, si è gridato “il cinema è morto”, salvo accorgersi che poi risorge dalle ceneri, restiamo dunque ottimisti e sogniamo di essere immersi, con tanta gente, nella sala buia…

TEST DI CULTURA CINEMATOGRAFICA
E come sempre, un piccolo test, stavolta tutto Woody: non sarà facile, ma un’occasione comunque per sorridere con un amico che da tanto tempo ci accompagna, con rassicurante ironia, e con la sua personale ossessione, il Sesso… per le risposte clicca qui

1) “Ma tu mi ami?”, “Amore è un termine troppo debole per… ecco, io ti straamo, ti adamo, ti abramo.”

2) “Non sono i sei milioni di ebrei che mi preoccupano, è che i record sono fatti per essere battuti.”

3) “Considerato che sei morto, stai da Dio.”

4) “Credo di essere mezza santa e mezza vacca.”, “Scelgo la metà che dà il latte.”

5) “Ho scritto molti saggi sulla psicanalisi, ho lavorato con Freud a Vienna. Ci dividemmo sull’invidia del pene: Freud pensava di doverla limitare alle donne.”

6) “Dopo aver perso le gambe, ha trovato Dio.”, “Scusa ma… non mi sembra un granché come scambio.”

7) “Sei il più grande amatore che ho avuto!”, “Beh… Io mi alleno tanto da solo.”

8) “L’amore penetra nel profondo, il sesso è solo questione di pochi centimetri.”

9) “Presto avremo un bambino”, “Scherzi?”, “No, avrò proprio un bambino: me l’ha detto il dottore… sarà il mio regalo per Natale!”, “Ma a me bastava una cravatta!”

10) “La sola volta che Rifkin e sua moglie arrivarono ad un orgasmo simultaneo fu quando il giudice porse loro la sentenza di divorzio.”

11) “Io sono un uomo all’antica. Non credo nelle relazioni extraconiugali. Ritengo, invece, che la gente dovrebbe restare sposata per tutta la vita, come i colombi e i cattolici.”

12) “Ti masturbi? Io preferisco a fare sesso. Ieri sera mi sono messo su una cosetta a tre: io, Marilyn Monroe e Sophia Loren. Credo, tra l’altro, che fosse la prima volta che le due grandi attrici apparissero insieme.”

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Massimo Piazza

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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