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Il rumore del treno della storia, quel rumore che si sente e non si sente, come quando a Parigi, Milano, Londra o Roma, viviamo nelle vicinanze di una fermata della metropolitana e sentiamo-non sentiamo, balliamo-non balliamo, dormiamo-non dormiamo, percepiamo un tremolio e delle vibrazioni che arrivano insidiose da lontano. Se il rumore non si sente, non significa che treni o metropolitane non lo facciano. Convogli che comunque arrivano, pesanti, lunghi, intensi, carichi di storie e di vite.
Questo libriccino di Nori ci porta proprio a questa sensazione, a percepire un qualcosa che arriva da lontanissimo, silenzioso, poi rumoroso per un po’ e ancora, di nuovo, silente. Comunque impregnato di sofferenze e gioie, difficile da descrivere.
E allora eccoci di fronte ad una raccolta, ammetto di non immediata lettura, di tre discorsi tenuti dal parmense Paolo Nori, dal 2009 al 2013, a Cracovia nell’ambito di “Un treno per Auschwitz”, un progetto che porta i ragazzi delle scuole nei luoghi della Shoah, progetto organizzato dalla Fondazione Fossoli di Carpi. Se ne parla molto, alla sua ricorrenza, il Giorno della Memoria, ma di fronte a questo terribile momento non basta un semplice ricordo, va approfondito cosa ricordiamo e il suo significato. Cosa che spesso non facciamo.
Per lo scrittore si tratta di una sorta di notte bianca, dove tutti si sentono quasi obbligati a uscire. C’è, tuttavia, anche chi non lo fa o chi lo fa pensandone al vero significato.
I discorsi affrontano temi molto ampi e non semplici come l’eugenetica, e il suo ruolo storico fin da Francis Galton e dagli “inadatti” di Winston Churchill (basi teoriche e scientifiche del concerto sono descritte in dettaglio), o quello dei crimini dei campi di sterminio nazisti, osservati anche attraverso una visita a Birkenhau.
Avevo letto “Tu passerai per il camino”, da adolescente, qui me lo ricordo quando Nori ricorda come si dicesse che “a Birkenau solo le betulle (Birke in tedesco) conoscessero veramente gli orrori compiuti eppure oggi appare tutto ovvio: baracche, treni, camere a gas, forni….Chi immagina che, contrariamente a quanto si pensi, dai quei forni non usciva fumo? La ditta incaricata sosteneva che, per un perfetto funzionamento, non dovessero emettere fumo. Allora guardando al passato con gli occhi del deficiente si scoprono le cose per la prima volta ed esse si fanno davvero fulminanti e micidiali….”. Mi ricordo anche le scene del toccante film “Il bambino con il pigiama righe”, di Mark Herman, del 2008, quei fumi che non c’erano, che non si sentivano, che non si toccavano, che non si vedevano… Quelle persone vicine, anonimi e tranquilli abitanti, che non sapevano, che magari immaginavano ma che forse non volevano veramente immaginare davvero o crederci. Le immagini sono immediate, i pensieri sconvolti.
Nel testo di Nori ci sono anche interessanti riflessioni sul concetto di autorità, obbedienza, vendetta. Di fronte a posti come quelli pensati e creati dai nazisti o ad altri, come agli attuali centri d’identificazione ed espulsione in Italia, ci si domanda come si possa far finta di niente, come si possa non reagire al filo spinato, al buio, alla paura, come non vergognarsi del nostro stare al caldo, comodi e protetti, in un appartamento pulito e profumato, magari in compagnia dei propri teneri gatti. Di cui riflettere. Saggio interessante sul mondo della memoria e il rischio dell’indifferenza.

Allora una donna che stava dietro di me, con delle labbra blu e che, naturalmente, non aveva mai sentito il mio nome, si e’ riscossa dal torpore che ci avvolgeva tutti e mi ha chiesto in un orecchio (li sussurravano tutti):
“Ma questo lo può descrivere ?”
E io ho detto:
“Posso”.
Allora una cosa che sembrava un sorriso
è scivolato lungo quello che una volta
doveva essere stato il suo viso.

Anna Achmatova

Paolo Nori, “Si sente?”, Marcos y Marcos, 2014, 181 p.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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