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D’accordo, sono collerico, intransigente, estremista, pessimista, o, come dicevano alcuni compagni (quando esistevano ancora) “catastrofista e avventurista”. Ero, insomma, un rivoluzionario inaccettabile all’interno dei partiti moderati e borghesi del nostro Paese, nessuno escluso. Ricordo un congresso del Pci a Roma quando era cominciata la lunga marcia dei miglioristi impegnati a togliere di mezzo i massimalisti-settari-giacobini e rivedo, là nella platea del teatro che ospitava l’assemblea, rivedo Umberto Terracini, vecchio amico con il quale avevamo fatto alcuni importati processi, l’ultimo quello della risiera di San Sabba a Trieste, era là il povero Umberto, nessuno era al suo fianco, né dietro né davanti in una sala gremita a dimostrare la solitudine di chi è capace di pensare: gli andai vicino e lo abbracciai. Come va, Umberto, gli chiesi e lui girò la testa di fianco a sinistra e poi a destra e rispose, ecco, vedi come sto, mi hanno lasciato solo i compagni: Umberto era l’uomo che aveva scritto la nostra Costituzione, la più liberale, aperta e moderna al mondo.
Fatto questo doveroso autodafè, oggi posso aggiungere che purtroppo avevo ragione e, sinceramente, essere cassandre è un mestiere non molto gratificante. Ma tant’è, proviamo a fare questo compitino settimanale senza piangersi troppo addosso.
LA FRUTTA – Siamo alla frutta, forse al caffè, l’Italia è in ginocchio, ma non ci sono le forze per rimetterlo in piedi, il nostro è un paese affondato nelle deiezioni di schiere di disonesti, tutti d’accordo nel derubare e derubarsi a vicenda e non si creda che sia possibile circoscrivere la cacca a Roma, purtroppo il guano è dovunque, anche nelle nostre virtuose province. Il famoso modello emiliano-romagnolo? Pfui! Finito, anche qui la poltrona è il simbolo e la meta di ragazzotti a cui la politica serve per fare una misera ieri dal giornalaio una signora mia amica, basta – ha detto – bisogna dare in mano il paese a un solo uomo, abbiamo già avuto Mussolini, ho risposto,, è lo stesso, ha ribadito. Ecco il fascismo che è avanzato prepotente, ho pensato, ma non si può più fare una sola marcia su Roma, troppe marce in tutte le direzioni. Ci vorrebbe una vera rivoluzione, ma chi la fa? La Lega? Ma va. La faranno gli ex sindaci, bocciati come amministratori ma promossi, chissà in base a che cosa, a sagaci managers.
LE ABITAZIONI – Nelle nostre città ci sono centinaia di migliaia di abitazioni vuote, molte mai occupate e centinaia di migliaia invendute, eppure strilliamo che bisogna riprendere a costruire per dare fiato al mercato immobiliare. I senzatetto? Ci penseranno la cariche della polizia ad allontanarli. Mi pare che ci sia qualcosa che non funziona.
LA EKPHRASI – Estrapolo la parola da un veloce depliant trovato al bar come invito turistico per la grande mostra sul Bastianino che si apre ai Diamanti. Ora tutti sanno che cosa significa “ekpfrasi”, parola coniata negli anni Trenta dal grande studioso d’arte Roberto Longhi, è un vocabolo entrato prepotentemente anche nel nostro lessico, familiare e popolare, la signora Giuseppina l’ha sempre sulle labbra, anche quando si rivolge al nipotino “ciò, Radames vam a tor un’ekphrasi.” E quanta ne debbo prendere, nonna?, “mezz chilo, va là”. Ma è il simpatico depliantino a spiegarci l’arcano: “i lampi sono quelli che agitano una scena creativa post rinascimentale e controriforiformata che si è infoscata”. Finalmente chiaro. Speriamo che il turista non s’incavoli.

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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