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Da ufficio stampa coordinamento nazionale diritti umani

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani intende intervenire sulla delicata situazione inerente al riconoscimento del titolo di Dottore di ricerca nel sistema universitario e scolastico italiano. Riteniamo inadeguato il meccanismo attuale che svilisce migliaia di giovani e brillanti ricercatori, il cui apporto culturale, fondamentale per lo sviluppo e il progresso dello Stato italiano, viene depauperato con costi ragguardevoli quanto inani per la società, in quanto chi si forma, dopo approfondimenti e impegno profusi generosamente, diventa una figura superflua per la configurazione accademica attuale e viene dimenticato.
È necessario al più presto correggere tali anomalie improduttive, anzi perniciose.Riportiamo la testimonianza del professore Marco Rocchi:
“Quando 10 anni fa vinsi il concorso per fare il dottorato di ricerca con borsa, ero orgoglioso del fatto che lo Stato avrebbe investito su di me circa 100.000 euro (centomila!!!) per formarmi nei tre anni successivi: poco più di 60.000 euro per la mia borsa di studio e altri 40.000 euro per spese varie di ricerca e amministrative (materiale di laboratorio, scuole di alta formazione, congressi, etc.).
In quel tempo ero consapevole (e lo sono ancora) che il Dottorato di Ricerca svolto all’interno delle università italiane e straniere sia, prima di tutto, una ATTIVITÀ FORMATIVA fatta dallo studente (il dottorando) a tempo pieno (tant’è che si parla di corso di dottorato, scuole di dottorato, PhDstudent, ecc.) che prevede, tra l’altro, molte ore di formazione mediante lezioni frontali, scuole di dottorato, conferenze e/o seminari di approfondimento con esperti di varie tematiche inerenti la materia (nel mio caso la chimica) in ogni suo aspetto. Il Dottorato di ricerca pertanto non è solamente, a detta di molti, una “scuola per diventare ricercatori e professori universitari” bensì un proseguimento del percorso universitario classico che permette il conseguimento del PIÙ ALTO TITOLO DI STUDIO raggiungibile, non solo nel nostro paese, ma anche all’estero. In tutti gli Stati che danno considerazione all’alta formazione, il titolo di PhD è considerato un criterio di selezione per personale specializzato di altissimo livello non solo nei laboratori di ricerca universitari, ma anche nelle industrie. L’obiettivo del Dottorato, infatti, permette allo studente diacquisire competenze, metodo di lavoro, maturità scientifica e approccio rigoroso ai problemi.
In Italia, tuttavia, si ha l’impressione che il titolo di Dottore di Ricerca non costituisca curriculum in nessun ambito e purtroppo noi “PhD” sappiamo bene che in Italia il titolo di Dottore di Ricerca è carta straccia… ma ciò non significa che bisogna continuare a trattarlo come tale.
Purtroppo, per mia esperienza, solo pochi Dottori di ricerca rimangono all’interno dell’università italiana. La maggior parte finisce nella grande industria e, se rimane nel mondo della ricerca, va a lavorare all’estero proprio perché il titolo che ha acquisito vale poco o nulla, perfino in ambito scolastico, dove in Italia il titolo di Dottore di ricerca non è abilitante all’insegnamento.
Un’industria prima di investire nella formazione di un dipendente ci pensa molte volte,perché deve spendere tanti soldi e una volta formato se lo tiene ben stretto perché, di fatto, ha investito del capitale su quella persona.
Io invece sono fortunato perché sono libero… Ringrazio quindi lo Stato Italiano per aver INVESTITO TANTO su di me e soprattutto perché non vuole che io sprechi le mie conoscenze al suo interno come ad esempio nella scuola: meglio andare all’estero!”

prof. Romano Pesavento
Presidente Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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