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di Alberto Amorelli

Ci avevo scritto sopra pure una poesia.
Una di quelle poesie da neanche ventenne, romantiche e un po’ disperate, piene di se e di ma, di riflessione e struggimento, una bella poesia d’amore.
Faceva così:

Era bello di notte stare seduto
sulla spiaggia con te.
Gli unici che ascoltavano i nostri
segreti erano gli astri splendenti.
Le onde erano nostre consigliere.
Sapevo che se solo tu l’avessi voluto
il mio mondo si sarebbe fermato
per te.
Sotto il portico di casa tua
ho sempre saputo che
avrei dovuto baciarti.
Quelle notti sono passate.
Ora ci divide solo questo
immenso scuro mare.
Strano che sia tu quella
a cui paradossalmente sono
indissolubilmente legato.
Affido il mio amore ad una bottiglia
che la corrente porterà chissà dove.

Non male per un ragazzo di 16 anni.
Recentemente l’ho anche modificata, migliorata, l’ho fatta crescere, anche perché di tanto in tanto, non ostante gli anni, certe sensazioni ed emozioni non cambiano, e questo è il grande dono della poesia.
Ma torniamo a noi, chi era lei? Si chiamava Agnese come nella grandissima canzone di Ivan Graziani, che tra l’altro, coincidenza delle coincidenze è dell’anno della mia nascita.
Ma alla fine questa poesia era la fine della storia, la fine di quell’estate, l’estate del ’96, che se la giri diventa l’Estate del ’69 come la canzone di Bryan Adams, altro pezzo immenso. Comunque diciamo che, per chi conosce le due canzoni, la mia storia era più come quella di Graziani, con tanto di mare, biciclette malinconia abissale e cosmica.
Quell’anno ero andato al mare prima del previsto, le vacanze di famiglia in montagna a S.Vigilio di Marebbe erano già finite, solo quindici giorni quell’anno, e la casa dei miei al Lido di Spina era libera, la sorella di mio padre non era scesa quell’anno, non ricordo più per quale ragione. Della mia compagnia del mare non c’era ancora nessuno, a parte pochissimi sporadici elementi che erano al mare da giugno, il grosso sarebbe arrivato ad agosto, come sempre. Quindi quel Luglio era particolare, solitario, sembrava che tutto il Lido fosse nostro, cioè mio e di Lele, un ragazzo di Como con cui avevo preso a far “squadra”, uniti dall’essere praticamente gli unici due presenti in spiaggia, certo ad eccezione delle ragazze. Ecco la pietra miliare di ogni estate, le ragazze, sfuggenti, giovani, fresche ed ingenue lontane anni luce delle vamp sedicenni che girano adesso in tanga ai Lidi, ah sia chiaro, non sto criticando, ogni tempo ha i suoi protagonisti, ma non posso negare che nel ’96 tutto fosse più semplice, più ingenuo e diretto, c’era veramente poco di costruito, oppure così ci sembrava, cosa volete vi dica, probabilmente quegli anni ci ritornano alla mente, rilucenti d’oro e con un’aura innaturale che ci fa sorridere e che ci intenerisce il cuore, quelli erano anni grandiosi, non avevamo nulla e non avevamo bisogno di nulla, solo un sorriso di una ragazzina, una bici scassata, parole grosse come “ti amo” che non ci sembravano le incredibili montagne che ci sembrano ora, la notte, la musica lontana di una festa e i primi tremori, il brivido unico che esplode prima di un bacio agognato lungamente. Erano anni così, nessuno me li toglierà mai, non sono durati per sempre, come pensavamo, erano solo un hic et nunc, ma nei nostri ricordi ci strappano ancora un sorriso, quasi da fratello maggiore.
Io e Lele passavamo le giornate a cazzeggiare fondamentalmente, eravamo i due ragazzi più grandi a Luglio, lui di un anno più vecchio, e tutti gli altri erano bambini agli occhi nostri, si prendeva il sole e si giocava a beach volley al bagno della spiaggia e poi come se avessero aspettato proprio il mio arrivo fuori stagione, comparvero loro. Le Ragazze, il miraggio dell’autunno e dell’inverno, in bikini, t-shirt e jeans tagliati. Erano quattro, tutte di Ferrara, alcune pure del mio stesso liceo, c’era Annalisa, piccolina, minuta, carina da morire, poi Cristina, bionda, riccia, splendidi occhi azzurri e un sorriso che levati, Michela sempre bionda, lentiggini una specie di fatina trilly ed infine c’era Agnese, carnagione olivastra, capelli castani e occhi che così neri non ne avevo mai visti, quasi senza distinzione tra pupilla e iride, come se fosse un betazoide di Star Trek, emanava un’aura di malinconia e timidezza, una perfetta ragazza della porta accanto.
Ricordo ancora che io Lele stavamo risalendo dalla spiaggia, puntando verso lo stabilimento balneare dopo un lungo bagno quando le avevamo viste sedute a bere una granatina e giocare a carte, tutte carine, da sole e a portata di mano. E ora lo so, non ci fosse stato Lele probabilmente sarebbero rimaste li, ma lui, sapete, era quello grande, atletico, capello scuro e occhi di ghiaccio, lui era quello figo della squadra e io l’altro, come quasi sempre ero stato, ma la cosa non mi aveva mai dato nessun problema, ogni dinamico duo ha bisogno di un mattatore e di un spalla, ecco quell’estate io ero la spalla. Lui era quello che aveva già avuto almeno due ragazze, io costellavo amori platonici. Anche le ragazze ci notarono, o meglio notarono lui che era già al mare da inizio luglio ed era super abbronzato, io probabilmente facevo ancora riflesso al sole, anzi peggio avevo l’abbronzatura da montagna, quella con il segno delle maniche corte, la coppa rossa e la gamba dal ginocchio in giù, probabilmente non mi aiutava nemmeno il ciuffo a banana stile Brandon di Beverly Hills 90120, ma tant’era.
Ricordo che ci sedemmo ad un tavolo non lontano da loro e tra un magnum e una coca cercavamo d farci notare, facendo un po’ gli sbruffoni, quelli grandi e un po’ cercando di capire di cosa parlassero. Giuro che non ricordo come riuscimmo ad attaccare bottone, non lo ricordo proprio, ma successe e mentre iniziavamo a conoscerci un’illuminazione colpì la mia sedicenne mente. Io conoscevo già due di loro, non so per quale strano caso, Annalisa era nella compagnia del mare l’anno prima e quindi era il mio asso nella mia manica, la mia possibilità di non essere un completo estraneo per loro e incredibilmente trovavo Agnese familiare, come se l’avessi già vista in precedenza. Ricordando l’estate prima iniziammo a parlare del più del meno, e da subito notai che Lele aveva “puntato” Cristina, riservandole il suo miglior sorriso alla Clark Kent a cui la ragazza rispondeva senza esitazione, quasi fosse scattato un qualche interruttore, io parlavo con Annalisa che trova molto carina in effetti, e, quasi quasi, un pensierino ce l’avrei pure fatto se non fosse che la silenziosa presenza di Agnese stesse gravitando la mia attenzione irrimediabilmente, già presagivo languori e amori non corrisposti, non perché non avessi particolare fiducia nelle mie capacità ma perché ero abituato a non concludere mai nulla, a farmi illusioni e castelli in aria, ma che dire avevo sedici anni e forse tutto mi sembrava possibile, sentivo una buona predisposizione per quell’estate.
Finalmente, dopo esserci aggiornati un po’ su come era passato l’anno scolastico, mi venne in mente dove avevo visto Agnese, lei era la mitica primina con cui avevo attaccato bottone a scuola nella primavera passata. Scusate la digressione ma questo tassello ha avuto una discreta importanza nel tutto, anche se mi ero quasi dimenticato di lei. Era la fine dell’intervallo di un maggio non troppo fresco, ed ero davanti ad uno dei nuovi distributori automatici che avevano inserito da quell’anno anche nelle succursali del Liceo Ariosto dove smistavano durante la settimana i vari studenti, io e la mia classe eravamo quasi sempre al Varano, una vecchia ed imponente scuola elementare in disuso nella zona di via Carlo Mayr. Stavo per inserire la mie cinquecento lire quando mi ero reso conto che dietro di me c’era una ragazzina, una primina, circa quattordici anni, caschetto castano e sguardo timido e sperduto, mi sembrava di fretta, la campanella stava quasi per suonare, io ero invece più tranquillo perché l’ora dopo avevamo Religione e il profe era sempre un po’ in ritardo.
“Devi prendere qualcosa?” Domanda banale ovvio, ma, che dire, io ero quello di terza e lei di prima potevo me lo potevo permettere. In realtà il problema è che senza saperlo, quello sguardo scuro un po’ triste mi si era già in qualche modo attaccato dentro.
Lei aveva annuito e io con un gesto di galanteria, propria di me, mi ero fatto da parte per farle inserire prima le sue cinquecento lire. Mi aveva sorriso, anche un po’ stupita, quasi non fosse abituata a chi era gentile con lei, mi era passata di fianco e aveva inserito i soldi, non era tanto alta, maglietta bianca e jeans, io probabilmente sfoggiavo una delle mie improbabili camice a scacchi a mezze maniche. Aveva digitato il numero e aspettato che scendesse il pacchetto di tarallini, poi si era chinata e rialzata, dopo di che mi aveva guardato.
«Grazie, davvero! Se no facevo tardi.»
«Nessun problema figurati…» avevo risposto con un’alzata di spalle che avevo valutato essere molto figa. Poi in uno slancio di coraggio mi ero presentato.
«Agnese.» Aveva risposto. Tempo di un sorriso, di una campanella ed era fuggita. Mi era rimasta in mente per un po’ poi il mio momentaneo amore platonico per una delle mie compagne di classe aveva preso il sopravvento. E l’avevo dimenticata, almeno fino a Luglio.
E così eccoci tornati a quel pomeriggio, seduti al bagno della spiaggia. Le cose si stavano mettendo bene, in serata si sarebbe usciti tutti insieme, forse andando a fare un po’ di struscio sul vialone di Lido degli Estensi, che per noi di Spina rappresentava all’epoca il non-plus ultra della movida dei lidi ferraresi, le ragazze sembravano a loro agio e persino Agnese, solitamente silenziosa, aveva iniziato a parlare del più e del meno, Lele guardava Cristina, lei guardava lui, Agnese li osservava attenta, ed io guardavo il quadro d’insieme contento per come quello strambo luglio si stava mettendo, certo, come di mio solito mi stavano sfuggendo i particolari.
Così quella sera, biciclette alla mano andammo in giro per Lido degli Estensi, noi due e le quattro ragazze. C’è da dire che la serata non fu lunghissima, non era come adesso, tutti noi avevamo un coprifuoco anche abbastanza presto nella serata, verso le undici e mezza, ogni tanto noi maschi riuscivamo a tirare mezzanotte, io per tutto il tempo avevo intercettato alcuni sguardi tra Lele e Cristina, occhi che si incrociavano e subito si distoglievano, una deriva fisica che li portava ad essere vicini, quasi fossero catalizzati l’uno dall’altra. Ricordo che quella sera Agnese era carina, in jeans e maglioncino a “v” blu, tennis e un bel sorriso, era contenta e di riflesso lo ero pure io, le stavo appiccicato, ma a lei non sembrava dare fastidio, e questo non poteva che farmi piacere.
Verso mezzanotte ci ritrovammo solo io e Lele, seduti su una panchina del Centro DeRica grande e iconico ritrovo di noi ragazzi di tutte le estati, mangiavamo una piada presa al chioso della Livia dall’altro lato della piazza, era un rituale, l’avevamo sempre fatto, da che avevo iniziato a fare le vacanze a Spina non mi era mai mancata la classica piada della mezzanotte, crescendo negli anni era diventata quella dell’una, delle due o del dopo Barracuda.
«Mi piace Cristina…» stava dicendo Lele, tra un morso e un altro.
«A me piace Agnese, credo…» questa è una differenza che sarebbe sempre stata la mia croce, con lei e con molte delle ragazze che avrei incontrato in futuro, l’indecisione. Mi piaceva da matti una tipa, però anche di un’altra magari vedevo i lati positivi e me ne sentivo attratto. Certe sfide non sono fatte per essere vinte, ma solo per testarci, ma allora non lo sapevo.
Sorseggiai la mia cola.
«Si, credo che ci proverò…» Sorrise Lele, con lo sguardo che si illuminava.
«Fai bene!»
Questa convinzione ci portò attraverso le tre serate seguenti, c’erano sicuramente stati dei cambiamenti, loro due stavano più vicini, qualche volte, con mia gioia, avevo notato anche si erano presi per mano, ma non c’era ancora stato il grande passo, il bacio che avrebbe sancito il tutto, o meglio così ancora credevo in quegli anni. Un bacio ed era tutto a posto, non esistevano nella mia mente baci rubati, il toccarsi delle labbra era la sigla di un bel film che avrebbe visto lui e lei come felici protagonisti, innamorati per tutta la vita, non avevamo la percezione che tutto a quell’età durava il tempo di una canzone, solo una canzone dell’estate.
Quella terza sera mentre ci mangiavamo un gelato sul viale di Estensi, Agnese mi prese da parte per parlarmi, e, come si può immaginare, io ero a mille e la radio della gelateria accompagnava la serata con la hit di quell’estate, Lemon Tree dei Fool’s Garden.
Ero io il ragazzo grande, ma volete mettere l’effetto che fa vedere una ragazza che con un sorriso ti chiede di parlare in privato, chissà quali segreti, chissà quali rivelazioni, fuochi d’artificio e champagne. Così con questa predisposizione mentale mi appartai con lei e le riservai anche uno dei miei sorrisi migliori.
«Volevo chiederti una cosa su Lele e sulla Cri…» ed ecco come crollano i castelli di carte. Non ricordo, forse fui bravo a mascherare la delusione, ma tant’è che Agnese non si accorse di nulla.
«Dimmi pure…»
Sembrò pensarci un attimo mentre leccava la menta dal cono.
«Lele fa sul serio?»
Feci spallucce e spostai lo sguardo verso gli interessati che parlavano fitti fitti sulle panche di pietra della gelateria.
«Non so. Di sicuro le piace…» Come tu piaci a me, avrei dovuto aggiungere, ma le parole mi si incastrarono tra i denti.
Agnese rimase pensierosa per qualche istante.
«Perché a lei piace, e anche parecchio e non vorrei ci rimanesse male, sai…» schiacciò la voce su quell’ultima parola, con fare complice. Io annui senza sapere a cosa si stesse riferendo in effetti, la perspicacia mi aveva sempre un po’ difettato.
«Non credo abbia intenzioni da carogna…è un bravo ragazzo…» Mi venne spontaneo difenderlo anche se a tutti gli effetti lo conoscevo da dieci giorni e probabilmente l’idea che potevo essermi fatto di lui non poteva essere così precisa come stavo dando impressione fosse. Negli anni poi avrei scoperto che avevo assolutamente ragione, e che la mia prima impressione era stata quella corretta.
«E’ che lei non ha mai avuto un ragazzo…e lui abita anche lontano…non so se una storia a distanza…»
«Sono abbastanza grandi per decidere…non credo dovremmo preoccuparci…» Ripensandoci ora, il dire sono abbastanza grandi a sedici anni era estremamente fuori luogo, ma si sa, l’età in cui viviamo fino ad un certo periodo ci sembra l’unica e anche le parole guadagnano un significante specifico nel periodo esatto in cui le stiamo pronunciando e vivendo.
Agnese aveva sorriso.
«E’ mia amica, mi preoccupo per lei…tutto qui…»
Le misi una mano sulla spalla e le sorrisi per rassicurarla.
«Non ti preoccupare, tutto andrà per il meglio…» Ah le convinzioni dell’adolescenza! Miele bollente con cui ricoprire tutto il nostro essere affacciati per la prima volta alla finestra di un mondo così vasto e così sconosciuto, le insenature e i meandri del sentire e dei sentimenti, l’unica materia che non si smette mai di studiare.
«Credi la bacerà?»
«Non so, sicuramente lo vorrebbe, ma anche lei immagino…» Almeno quanto io vorrei baciare te in questo momento, ma l’idea mi si arenò sul palato, bloccata dai paletti dell’insicurezza.
Agnese mi guardò, molto nel profondo, e per un attimo, solo per un infinitesimale attimo mi sembrò quasi stesse sondando i miei tumulti interiori, gli occhi nerissimi indagatori rovistavano tra le mie mal celate intenzioni, con un facilità disarmante. Un leggero sorriso le si profilò sulle belle labbra carnose, poi inclinò il capo.
«Torniamo?»
«Torniamo.» Asserii.

Finimmo la serata a raccontarcela tutti assieme seduti sui lettini umidi di un bagno a caso di Estensi, la luna era alta sull’orizzonte di acque nero, quasi un perfetto cerchio, pallido e rilucente, catalizzava l’attenzione di tutti e mi scoprii ad ammirare come la sua luce argentata giocava con i lineamenti giovani e morbidi di Agnese, il sorriso, le belle labbra piene, il naso un po’ tondo ma grazioso e quegli occhi che, nonostante fossero una propaggine della notte intorno a noi, risplendevano come specchi bagnati dalla luminescenza delle stelle sopra di noi. Anche quella sera, con l’oscuro mare a fare da contraltare alle gioiose risate, giungeva alla sua naturale fine e per quanto sia Agnese che io a questo punto fossimo molto interessati ai mutamenti del rapporto tra Lele e Cristina la situazione non cambiò, nessun bacio, nessun inizio di una storia. Niente, solo un’altra splendida cornice adolescenziale.

Mezzora dopo seduti a mangiare una piada Lele sembrava preoccupato.
«Che c’è?»
«Eh, ho saputo che non ho molto tempo…a fine Luglio Cristina torna a casa…»
«Ma è già il 26…»
Lui annuì tristemente.
«Quindi penso succederà domani sera.» concluse dando un ultimo morso alla piadina.
«E poi?»
«Non so, lei mi piace, io sarei per continuare a stare insieme anche se io abito lontano, potrei venire a trovarla a Ferrara in treno…»
«Potrebbe essere un’idea…»
«Vedremo, comunque domani sarà una serata decisiva…»
«Beh cercherò di tenere lontane le altre…»
«Non serve, ci saremo solo noi quattro, io, lei, te e Agnese…le altre, se ho capito bene dovrebbero essere impegnate, sai i genitori di Michela sono ad una cena allo stabilimento in serata, i gestori fanno pesce alla griglia, e Annalisa, essendo ospite loro, sarà li pure lei…»
«Quindi un’uscita a quattro…»
Lele annuì.
«Fatti valere anche tu, che a fine Luglio torna a Ferrara pure Agnese…»
Ricordo ci rimasi di sasso, questo non lo sapevo, non mi era nemmeno passata per la testa l’idea che in effetti per alcuni villeggianti le ferie al mare stessero finendo, pensavo di avere tutta l’estate davanti ed invece non avevo proprio nulla, sabbia tra le dita. Percepii un baratro aprirmisi sotto i piedi e passai tutta la notte a scivolarci dentro lentamente e inesorabilmente.

Dormii male e la mattina ero ancora stanco quando mi alzai per andare allo stabilimento.
La mattina passò tranquillamente, prendemmo un po’ di sole, Agnese aveva uno splendido costume blu, cioè con il senno di poi era molto normale, ma a me sembrava stupendo, e mi persi a fantasticare sulle sue gambe lisce, sul seno piccolo e persino sulla leggera cicatrice di un’appendicectomia che sbucava più bianca dal costume, e che faceva un affascinante contrasto con l’abbronzatura sulla pelle olivastra.
Facemmo il bagno, e mangiammo al bar della spiaggia. Una normale e lineare giornata al mare, l’unico dettaglio era una certa tensione che sentivo crescere in me mano a mano che lo scoccare delle ore si mangiava la mattina e il pomeriggio avvicinando la serata. Notai che anche Lele e Cristina sembravano tesi, carichi di un’aspettativa montante fatta di foriere promesse, l’unica tranquilla, in effetti, sembrava Agnese, manteneva quel suo fascino ombroso che già mi aveva provato nei giorni precedenti.

Alla fine arrivò la sera. L’appuntamento era fissato, io e Lele saremmo passati a prenderle a casa e poi avevamo optato per boicottare per una sera Estensi e rimanere nei locali di viale Raffaello o al massimo al Cutty Sark, grandioso posto che forse meriterebbe una parentesi per l’importanza che aveva riservato per me al Lido Spina dai quattordici anni fino a quando non era bruciato nel 2000. Era il tipo di locale che rimaneva aperto praticamente tutta notte e che spesso avevamo usato come base per la colazione dell’alba, quando decidevamo di fare il falò in spiaggia e di passare la notte a suonare la chitarra per tutta la notte. Ma questa è davvero tutta un’altra storia.
Una delle immagini più vivide di quella serata ricordo essere stata assolutamente Agnese seduta sul cannone della mia bici mentre ci spostavamo per il lido. C’era vento quella sera e l’aria mi portava il profumo dei suoi capelli e il buon odore che ho sempre associato a lei, e poi praticamente l’abbracciavo, chinò sul manubrio, eravamo veramente vicinissimi, tant’è che probabilmente si fosse girata in fretta ci saremmo baciati, ovviamente, come potete immaginare, ciò non accadde, ma era bello pensarlo, dava un sapore speciale alla serata. Quella sera lei aveva una polo a righe, verde e blu, jeans e adidas ai piedi; è incredibile quello che ci si fissa nella memoria anche ora che ci sto ripensando quella polo è ben ancorata alla mia memoria, portava il colletto alzato e potrei giurare fosse della ralph laurent, i tre bottoni erano slacciati e le righe delineavano perfettamente il seno, non era un abbigliamento particolare, era semplice, era questo che me lo rendeva vincente, la semplicità completa e la naturalezza del suo portamento. Non ho più memoria di come fossero vestiti gli altri e di quello che indossavo io, sicuramente legato in vita avevo il mio maglione a “v” preferito, blu chiaro a costine. Nulla importava, l’immagine che è impressa nella mia mente è Agnese, sul cannone della mia bici, in polo e con quel profumo pungente e speziato che soffia intorno a noi.
Come da programma alla fine uscimmo dal Cutty Sark verso le dieci e mezza e puntammo diretti alla spiaggia, sembrava la scelta migliore, la notte, il vento fresco, le stelle e tutto il contorno. La radio del locale suonava la solita Lemon Tree, e io potevo quasi percepire il palpitante cercarsi di Lele e Cristina, e sapevo per certo che nel momento in cui si fossero trovati soli tutto si sarebbe svolto come doveva.
Lasciate le biciclette nella rastrelliera i due accelerarono il passo, Agnese stava per fiondarsi dietro l’amica, ma la fermai.
«Non disturbiamoli dai…guardali…»
Lei si era fermata e sospirando aveva annuito, osservando la coppia che guadagnava le ombre, fuori dalla luce fioca dello stabilimento balneare.
«Che facciamo?»
«Scendiamo in riva anche noi…» dissi nel modo più semplice possibile. Fianco a fianco ci incamminammo per lo stradello che tagliava le file degli ombrelloni chiusi nella scura spiaggia.
Ecco, ora è difficile con molti più anni sulle spalle, dire perché quei momenti mi rimasero così in testa, forse era quel palpitare costante del mio cuore che mi rimbalzava dal petto alla gola mentre vicino ad Agnese lentamente camminavamo. Forse era quel lieve vento che increspava il lento sciabordio del mare, la luna imponente nel cielo blu, o magari solo il fatto che forse era la prima volta che mi trovavo con una ragazza da solo, nella notte promiscua nel romanticismo di una notte di luglio al mare. Non saprei, ma quell’immagine rimane.
«Eccoli li guarda!» Esclamò lei indicando Lele e Cristina che si spostavano dalla passerella fino alla terza fila di ombrelloni. Agnese iniziò a deviare in quella direzione.
«Ma non vorrai mica seguirli??» Alla fine ero divertito.
«Dai! Voglio vedere…sono in pensiero!» Mi afferrò per una mano tirandomi.
«Ma che ci interessa? Su dai non sta nemmeno bene spiarli così…»
Era inamovibile, così ovviamente, come sempre facevo, mi feci trascinare. Ero sicuro che i due se si fossero voltati ci avrebbero visto sicuramente, non c’era nessuno praticamente in spiaggia e la luna illuminava bene tutto. Scendemmo fino alla stessa fila. Ora li vedevo abbastanza distintamente, si erano seduti a cavalcioni di un lettino, uno davanti all’altra, erano molto vicini, sembrava stessero parlando. Era il loro momento, non mi andava di rovinarlo così mi fermai all’improvviso, e di riflesso anche Agnese si fermò e lasciò la mia mano. Mi guardò interrogativa.
«Dai non roviniamo questo momento. Se proprio vuoi seguire lo svolgimento della situazione, sediamoci qui, siamo ad almeno cinque lettini di distanza, non diamo fastidio e se proprio vuoi, li puoi comunque spiare…» con un sorriso calcai volutamente la voce sull’ultimo verbo.
Agnese ci pensò un attimo, poi annuì.
«Ma non li spiamo, controllo solo…non voglio che la Cri faccia qualcosa che non si sente…» Asserì mentre si sedeva pure lei a cavalcioni di un lettino, io mi sedetti di fronte.
«Non succederà nulla di male…»
«Ma qualcosa succederà vero?» Sembrava ansiosa.
«Ti piacerebbe succedesse qualcosa, o no? Non ho mica capito…»
Fece spallucce e storse le labbra.
«Si, cioè no…non voglio succeda nulla che non vogliano…sarebbe bello ma anche difficile…lei vorrebbe ma credo abbia paura e quindi potrebbe tirarsi indietro…»
Ecco, qui mentalmente chiesi la resa. Stavo incominciando a capire quanto potessero essere complicate le ragazze, e questa consapevolezza non mi avrebbe mai abbandonato. Non sapevo cosa avrebbero fatto i due, sapevo cosa avrei voluto fare io, tirarla a me e baciarla, era così vicina. Peccato che tenesse la faccia praticamente sempre voltata verso Lele e la Cri. Potevo solo seguirne il profilo incorniciato nello scuro orizzonte, era una situazione assurda e ironica. Così se lei ha mai saputo che in quel preciso istante l’avrei baciata come se non ci fosse stato un domani, perché a sedici anni è un po’ così, sembra davvero non ci sia mai una seconda possibilità, e forse è davvero così chissà, chissà se certi treni ripassano?
«Perché Cristina ha paura?» Chiesi nel tentativo di far girare Agnese verso di me.
Mi guardò, con un lieve sorriso, un po’ storto.
«Non ha mai baciato nessuno…è la prima volta…non vuole fare una brutta impressione…»
«Non credo possa esserci una brutta impressione in un bacio…» risposi facendo spallucce.
Lo sguardo che mi dedicò fu incredibile, sembrava carico di milioni di domande che io non mi ero mai posto e di cui lei aveva già invece le risposte. Le ragazze e le donne hanno sempre già le risposte per qualsiasi domanda che tu abbia mai pensato di porti, è così, gente, abituatevi.
Tornammo a guardare i due. E come potevamo largamente immaginare, finalmente, l’ombra di Lele si chinò verso l’ombra di Cristina e si baciarono. Agnese trattenne il respiro e mi artigliò la mano destra, appoggiata sul mio ginocchio.
«E’ successo!! Hai visto!!»
«Beh, non potevo non vedere…»
«Chissà cosa succederà ora??»
«Non credo siano più fatti nostri sai? Senza contare che probabilmente stanotte quando andrete a dormire Cristina ti racconterà tutto…»
«Questo è vero…» e si girò finalmente verso di me, completamente. Poi non saprei spiegarvi cosa accadde, ma rimanemmo lì a fissarci, mano nella mano, perché lei non aveva lasciato la mia, occhi negli occhi, come se non sapessimo bene cosa fare. La mia gola era secca e la testa era in confusione, forse lei si sarebbe aspettata qualcosa, o forse no, forse eravamo anche noi preda di quel misto di paura/attesa, schiavi della risacca, della luna furba e del sussistere in quell’istante l’uno per l’altra. Nel mio vago ricordo di quello stato confusionale, forse mi verrebbe da dire che ebbi l’istinto di baciarla ma non lo feci, non so. Dopo non saprei nemmeno quanto lei si girò, mi diede le spalle e si accucciò contro il mio petto guardando il mare, e davvero in quel momento non potei fare a meno di sentire il lontano fischio di un treno che si allontanava e le ultime note di una canzone portate dal vento e riversate chissà da dove. Mi limitai a cingerla con le braccia, quando ebbe freddo le diedi il mio maglione, perché è questo quello che si deve fare quando una ragazza ha freddo. Lei nascose le mani dentro le lunghe maniche del maglione, impregnandolo con il suo dolce profumo, poi poggiò la testa all’indietro sulla mia spalla, per un attimo i sui capelli mi fecero solletico sul collo e sentii la calda presenza della sua guancia vicino alla mia. Poi fummo trascinati via anche noi dal mare, dal vento, da tutto, soffiati via su malinconiche note musicali.
E come in quella vecchia canzone, ancora oggi ogni tanto fantastico sul come e fantastico sul perché. Non ho risposte ora come non ne ebbi allora, mi rimane un sorriso dolce amaro sulle labbra perché, alla fine, non era nulla di più che questo, un’altra vecchia canzone d’estate.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it