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Del Quantitative Easing for the People nell’ultimo periodo si sono occupate molte testate giornalistiche, da Il Manifesto a La Repubblica, passando per l’Itforum di Rimini fino addirittura alla Bce. In realtà è un argomento che da parecchio tempo sta proponendo in Inghilterra Positive Money, una delle diramazioni più attive del Movimento Internazionale per la riforma Monetaria (Immr International Movement for Monetary Reform) che vede rappresentanze in 28 paesi non solo europei e di cui l’associazione Moneta Positiva Italia ha raccolto il testimone. Fabio Conditi (ingegnere e autore del libro “Manuale in 12 passi per uscire dalla crisi”) è l’attuale Presidente del movimento italiano che ha aperto un sito internet collegato alle altre realtà internazionali (www.monetapositiva.it). Dato che l’Immr è stato il primo movimento a parlarne sembra anche giusto spiegare che cosa esso sia.

L’Immr, e la sua rappresentanza italiana Moneta Positiva, propongono una riforma del sistema monetario che passa attraverso tre punti principali: 1) uno Stato deve avere la sovranità monetaria in modo da controllare la quantità di denaro da immettere nel circuito economico e la sua destinazione; 2) il denaro creato deve essere libero dal debito e di proprietà della collettività, piuttosto che creato e gestito dalle banche; 3) il denaro creato deve essere destinato all’economia reale, cioè quella che dà da mangiare alla gente, non ai mercati finanziari.
Sono concetti semplici, facili da digerire e contemplano fondamentalmente il controllo delle banche e della loro attività di elargizione del credito. Questo perché il credito oggi ha ampiamente sostituito la moneta legale, quella che viene creata dalla Banca Centrale, in un rapporto che va dal 93 al 97% a seconda degli Stati contro un misero 3-7%.
Per essere ancora più chiari su come funziona il credito/denaro bancario possiamo fare l’esempio di quando ci si reca in banca per chiedere un mutuo. La banca ci chiederà delle garanzie e poi digiterà la cifra richiesta su un computer accreditando la somma su un conto corrente intestato al mutuatario. La banca non ha bisogno, per concludere questa operazione, di avere delle banconote (se non in una minima parte, pari alla riserva obbligatoria dell’1% sui depositi), cioè moneta legale, e chi richiede il prestito non si recherà in banca con la valigetta dotata di combinazione perché sa benissimo che non riceverà contanti. Quando si recherà dal notaio per la compravendita di una casa o in concessionaria per ritirare la sua auto nuova fiammante, non farà altro che effettuare un trasferimento di fondi, dal suo conto al conto di chi vende (bit elettronici che scompaiono da una parte e riappaiono dall’altra): insomma un sistema di compensazione che funziona fino a quando chi ha richiesto il prestito si recherà mensilmente in banca a restituire il suo debito attraverso il deposito di soldi reali venuti dal suo lavoro, più gli interessi che rappresentano il guadagno della banca per aver schiacciato un tasto.
Sudore, impegno e inventiva in cambio di un click sul computer. Del resto proprio la mancanza di collaterale, a fronte di prestiti effettuati, rende il nostro sistema bancario continuamente a rischio fallimento. E per togliere tutti i dubbi a quanto affermato possiamo aggiungere che Basilea III, l’ultimo accordo europeo in tema di banche e prestiti, prevede un capitale, come collaterale di un prestito elargito, pari all’8% del rischio di credito. Rischio che per un mutuo residenziale è quantificato nel 35%. Cioè se chiedo un mutuo di 100.000 euro, moltiplico l’8% di 35.000 euro e ottengo 2.800 euro. Questo è il capitale che una banca deve dimostrare di possedere per poter concedere un mutuo, quindi non avete più bisogno di chiedere perché una banca può fallire.
Senza perdersi tra i meandri delle contabilità e dei molteplici monumentali regolamenti bancari, l’analisi di Moneta Positiva conclude che le cause delle crisi del sistema economico sono dovute a come il denaro viene creato dal nulla dalle banche con i prestiti: le banche prestano qualcosa che non hanno, pretendono un interesse, danno linfa al sistema finanziario, decidono quando, come e se fare prestiti all’economia reale e poi, se non paghi qualche rata, si riprendono anche la casa. Se, invece, falliscono chiedono allo Stato di tappare i buchi con i soldi della collettività perché se fallimento c’è stato la colpa è anche del cittadino che non è stato attento a controllare.

Spiegato il messaggio di Moneta Positiva e dell’Immr, torniamo al Quantitative Easing for the People; anche qui il concetto in fondo è molto semplice. Forse la sua semplicità lo rende a volte poco accettabile. Del resto come si fa a far passare il concetto dopo che la Banca Centrale Europea ci ha costretto all’austerità per più di sette anni, durante i quali il mantra del “non ci sono soldi” ha portato al suicidio numerosi imprenditori, fatto chiudere aziende che hanno dovuto licenziare tanti dipendenti, peggiorato continuamente i servizi e portato a tal disperazione i Comuni da dover ricorrere alle pecore per far brucare l’erba intorno alle città in sostituzione dei tagliaerba. Dopo tutto questo, come accettare che la Bce, schiacciando semplicemente un po’ di tasti, potrebbe darci dei soldi direttamente nei nostri conti corrente?
Sarebbe da pazzi in effetti crederci se a dirlo non fosse stata proprio la Bce nella persona di Peter Praet, membro del Consiglio Direttivo, in un’intervista rilasciata il 15 marzo scorso a “La Repubblica” e postata in versione integrale anche sul loro stesso sito (qui potete trovate tutti i link e gli stralci dell’intervista http://qe4people01.blogspot.it/2016/03/quantitative-easing-for-people.html).
Ebbene, esiste la possibilità concreta che una Banca centrale dopo averle tentate tutte, anche i tassi negativi di questi giorni, possa lanciare questa operazione. In fondo, a pensarci, il discorso non è poi tanto assurdo, per spiegarlo utilizzo un esempio molto calzante che ho ascoltato da Giovanni Zibordi (autore di “La soluzione per l’euro”) qualche tempo fa: un corpo umano per poter funzionare ha bisogno di sangue altrimenti si ferma, così l’economia per poter funzionare ha bisogno di soldi, moneta che circoli, altrimenti va in crisi e si bloccano produzione e transazioni, quindi se c’è mancanza di moneta/sangue ne va immessa in qualche modo. Lavori pubblici, assunzioni da parte dello Stato o abbassamento delle tasse, e se non funziona si crea denaro e lo si immette direttamente nei conti corrente. L’importante è raggiungere lo scopo: rimettere in moto l’economia, far ripartire le transazioni.

Nella realtà vera, dopo aver compreso che l’operazione è possibile ed è alla portata di una Banca Centrale, quello che probabilmente succederebbe – secondo l’economista – è che l’assegno sarebbe staccato non per i cittadini direttamente, ma per lo Stato, a cui sarebbe fornita la liquidità necessaria attraverso l’apertura di un conto corrente a esso intestato. Lo Stato, a sua volta, farebbe confluire i soldi nel sistema attraverso una serie di operazioni che potrebbero andare da una seria riduzione delle tasse (immaginate se scomparisse l’iva quanto i consumi potrebbero aumentare) a un impegno di lavori pubblici (magari non il ponte sullo Stretto di Messina, ma tanti lavori necessari sui territori come riqualificazione energetica dei fabbricati, messa in sicurezza dei territori stessi).

Rimaniamo in attesa degli sviluppi con la certezza che le politiche economiche attuate finora non hanno dato frutti e che senza un po’ di coraggio dei nostri rappresentanti politici, associato ad altrettanta consapevolezza da parte dei cittadini su cosa realmente sia possibile in economia, continueremo a vivere di promesse disattese, Pil stagnante e livelli di disoccupazione indegni per un Paese civile.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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