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Proviamo ad immaginare questa scena che viene riportata in “Genealogia del canale Panfilio di Ferrara” scritto storico del 1845 ad opera del colonnello Francesco Avventi.
“Per continuare cronologicamente la storia del Canale, che ci serve di argomento, conviene rammemorare le nozze seguite in Ferrara nel 1598, di Filippo III re di Spagna con Margherita d’Austria rappresentato il primo da Alberto Arciduca d’Austria, e la seconda dal Duca di Sessa. Tra i molti spettacoli, feste, ed allegrezze che si praticarono in quella circostanza, nella quale vi assisteva di presenza il Pontefice Clemente VIII, dobbiamo citare che ni 15 di novembrenfu eseguita una Regata, o Corsa di Barche nel Canale dei Giardini, che si tenevano allora ad un livello d’acqua eguale a quello del Castello. La corsa fu eseguita da trenta donne Comacchiesi, che furono chiamate a Ferrara per questo oggetto. Stavano tali donne in quattro per barchetta: tre remigando, e la quarta seduta in poppa coronata di fiori suonando il Crotalo: le Barchette erano sei distinte dai varoi colori de’ vestiti delle remiganti, e corsero a tre per volta: era la Meta al punto ove le fosse mettono capo in faccia alla Giovecca: il Pontefice ed i Principi ne furono spettatori dalla loggia annessa alla Torre dei Leoni verso tramontana. Le vincitrici furono premiate con tele di raso, e le altre con altri doni, e la festa riuscì a tutti molto gradita, tanto più che nel corso alcuna di quelle donne fingeva cadere nell’acqua e poi nuotando rimettevasi nei piccoli legni”.

Il canale Panfilio che collegava il Po da Pontelagoscuro fino al castello di Ferrara, non serviva dunque solo come via d’acqua per il trasporto delle merci, ma veniva anche valorizzato come elemento ludico del paesaggio. Un’accezione importante che ci fa subito pensare a Venezia, e ci racconta di tempi in cui la città era vivace e intraprendente.
A pensare a quel che c’è ora in quell’ultimo tratto dell’antico canale, quel che va dalle poste centrali al castello, quel ben triste giardinetto, con quei ben tristi palazzi e quel tetro porticato, viene davvero la voglia di prendere la pala e scavare per riportare alla luce l’antico fossato.
Al castello, per chi viene dalla stazione, manca la prospettiva che merita, manca quell’avvicinamento progressivo e maestoso, quell’ingresso trionfale, quel tappeto rosso urbanistico che invece un corso d’acqua potrebbe dare.
Non si propone di riaprire l’intero tratto del canale Panfilio, sarebbe bellissimo ma inverosimile, si dice: perché non ripristinare quel breve tratto di canale dove ora ci sono i giardinetti cosiddetti della Standa?

I detrattori subito dicono: diventerebbe una pattumiera liquida a cielo aperto, un enorme brodo di coltura per le zanzare. Ma no, perché allora lo stesso dovrebbe valere anche per l’acqua del Castello, vogliamo togliere anche quella? Non è prosciugando ogni goccia d’acqua che la nostra città diventa più salubre. L’acqua è anzi elemento vitale dell’ecosistema, ma anche dello spirito. Soprattutto per Ferrara, dove terra e acqua coesistono da sempre e ogni cosa ne evoca la presenza. E quando non c’è l’acqua attorno a noi, manca, crea un senso di vuoto.

I detrattori dicono anche che ora in quei giardini si ritrovano le badanti, i migranti dell’est, che hanno ridato vita ad un luogo che i ferraresi snobbavano. E’ vero, ma mica se ne dovrebbero andare… avrebbero anzi le suggestive rive del canale, con panchine e chioschi dove continuare a incontrarsi. E forse a loro si unirebbero tanti curiosi attratti da questa antica novità riportata alla luce. Si potrebbero liberare, come in Castello, specie di pesci che possono controllare il proliferare delle zanzare. E quello specchio d’acqua potrebbe anche servire all’università per svolgere delle ricerche, al vicino Museo di storia naturale per delle attività e delle visite. E ci si potrebbero riportare le barchette per crogiolarsi d’estate.

I detrattori dicono infine che è una spesa inutile, che è una cosa che non serve a niente in questo momento di crisi. Innanzitutto non sarebbe una spesa così ingente, perché non si tratta di edificare, ma di scavare e recuperare qualcosa che sotto c’è già, anzi potrebbero anche emergere le antiche rive.
Inoltre se debitamente sfruttato e promosso, il recupero di questo breve tratto di Canale, potrebbe generare piccole attività economiche tutto attorno, e riportare vita in una zona che ora è di puro transito, nonostante sia a ridosso del più importante edificio storico della città.
Infine farebbe bene agli occhi e allo spirito, come scrive ancora il colonnello Avventi, raccontando che nonostante negli ultimi tempi fosse stato sempre più abbandonato, il Canale regalava scorci suggestivi.

“Quantunque però degradato, ci conserva tutt’ora un vago e prospettico punto di vista all’occhio guardandovi dalla Giovecca alla Spianata, od all’inversa dai Ponti che lo attraversano alla gigantesca mole dell’Estense edifizio; ed è principalmente osservandolo dal Ponte della Rosa e dalla sponda del Canale, che fa di sé miglior mostra il sontuoso monumento; infatti tra l’infinito numero di stampe, dipinti, quadri, nei quali lo vediamo rappresentato, egli è dall’indicato punto del Canale Panfilio, che ne trassero ad ammirarlo i più abili disegnatori. Che se poi ti piaccia recarti in quella stanza del Castello stesso ove è posta la loggia, o su quell’angolo della loggia che volge a quella parte, spingendo di colà lo sguardo lungo i ponti che il canale attraversano e sull’ora in ispecie del tramonto; ne avrai una prospettiva di sorprendente aspetto”.

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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