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Il silenzio non fa bene agli animali, soprattutto a quelli destinati agli esperimenti. Ne è profondamente convinta l’associazione Animal defenders, che per domani sera alle 21 ha organizzato una proiezione cinematografica gratuita al Boldini, intitolata “Maximum tolerated dose”, testimonianza di tecnici di laboratorio che hanno abbandonato la sperimentazione animale per non dover affrontare strazianti storie di animali da laboratorio. Animal Defenders si oppone alla costruzione del nuovo stabulario dell’Università finanziato dalla Regione con fondi europei e per ben due volte ha tentato di coinvolgere i ricercatori dell’Ateneo in un confronto sulla vivisezione con Massimo Tettamanti, chimico ambientalista, criminologo forense e animalista scientifico convinto. “L’Università risponde oggi riprendendo un comunicato 21 marzo, afferma di essere aperta alla discussione e di ascoltare le istanze della società civile. Allora mi chiedo il motivo dell’assenza alla conferenza del 10 aprile – dice Marika Taddia, responsabile della comunicazione di Animal Defenders – Abbiamo invitato 12 ricercatori, la prima richiesta è partita l’11 febbraio. Su suggerimento di Tettamanti chiedevamo un confronto organizzato dalla Regione, visto che mette i soldi per costruire lo stabulario, il 20 febbraio in mancanza di risposte, abbiamo ripetuto l’invito estendendolo al rettore. Non c’è mai stato riscontro”.

A quel punto Animal Defenders, d’accordo con il dottor Tettamanti, ha tirato dritto organizzando una conferenza molto partecipata e, a onor del vero, animata da numerosi interventi di studenti in sala. “I punti da controbattere rispetto alla nota sono parecchi, peccato non si sia potuto farlo davanti al pubblico, quando si è presentata l’occasione di un confronto franco – specifica la Taddia – L’Università insiste sul fatto che il nuovo stabulario migliorerà la vita degli animali e ne ridurrà l’uso. Le cose sembrano diverse, nel progetto esecutivo è lo stesso ateneo a sostenere la necessità di uno spazio maggiore per contenere più cavie, conigli, ratti da usare in test commissionati da aziende esterne, che mancano di laboratori. Si tratta di un’operazione di autofinanziamento”. Il polo chimico biomedico, continua, metterà il nuovo edificio a disposizione del laboratorio per le tecnologie delle terapie avanzate del tecnopolo, il costo dell’operazione è di oltre un milione e 600mila euro (1.602.024,36 senza iva, per la precisione). “Sono finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale nell’ambito dell’Asse I, relativo alla ricerca industriale e al trasferimento tecnologico – dice –  il progetto esecutivo conferma che l’Animal Facility sarà composto di diverse tipologie di laboratori per l’allevamento, la riproduzione, la sperimentazione e utilizzazione di animali; in particolare: conigli, ratti, topi e cavie”. Come dire: carta canta.
“E’ davvero spiacevole dover replicare sul giornale quando il vis à vis avrebbe giovato a un tema tanto delicato – prosegue – Dicono che le riviste scientifiche sostengono la sperimentazione animali quale requisito indispensabile per l’esito della ricerca, noi sosteniamo il contrario, c’è un’intera bibliografia da poter produrre”.
Quanto all’affermazione dell’Università di Ferrara “non sono disponibili metodi alternativi alla sperimentazione animale, ma solo metodi complementari”, la replica sta nelle parole del dottor Tettamanti “L’attuale sistema di validazione impedisce il progresso tecnologico, perché ogni metodo scientifico che voglia sostituire l’uso di animali deve per legge dare gli stessi risultati ottenuti su di loro”, ha ricordato. Eppure ciò che funziona su un topo, anche se geneticamente adattato, non è detto funzioni sull’uomo “che comunque proverà il farmaco anche se le reazioni dell’animale sono negative – ha spiegato – I metodi moderni invece forniscono risultati sovrapponibili a quelli che si ottengono nell’uomo”.
Anche l’uomo è una cavia, non è certo una notizia, il tragico effetto Talidomide, giusto per arretrare con i tempi, è una realtà conclamata. “Nel 2012 uno studio condotto da 15 cliniche statunitensi e un paio canadesi – ha ricordato Tettamanti – conclude sostenendo che, rispetto alle risposte genetiche dell’uomo, i risultati sui topi forniscono informazioni casuali”. Una cavia spesso risponde in modo diverso da un criceto. Incertezze scientifiche.

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Monica Forti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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