Skip to main content

Finalmente febbraio, e tiri un sospiro di sollievo. Le giornate iniziano ad allungarsi, si lasciano dietro le notti lunghe di dicembre e gennaio. Uno sprazzo di sole ti sembra già una promessa di primavera. Tutto tira su il morale, quando ti ritrovi sul parallelo che va dal Labrador alla Kamchatka. Settimane di piogge ininterrotte e giochi delle maree fanno sì che spesso Cork si ritrovi abbondantemente sott’acqua. I locals sembrano infischiarsene o al limite prenderla con filosofia. Il centro città sommerso diviene occasione di svago e fare un po’ di craic, ovvero passare una serata al pub con risate, chiacchiere, musica e varie pinte di birra. E c’è chi se ne approfitta per farsi una vasca in centro, stavolta nel vero senso della parola.

Al St.Valentine weekend, cambiare aria non sembra più una proposta così assurda e forse, per un atavico istinto di sopravvivenza, ti lasci convincere a lasciare la città inondata e partire per uno “short break”. Condizioni necessarie: individuare una località rinomata e vagamente romantica, “Grand Hotel” stile Shining, ristorante chic “Georgina Campbell guide” nelle vicinanze con prezzi da Manhattan ed atmosfere alla Masterchef, dolce compagnia al seguito. Insomma quanto basta per scatenare sane invidie nell’entourage e chiudersi in bagno a piangere all’arrivo del prossimo estratto conto.

Piove a diretto ma è troppo tardi per cancellare tutto. Con umore alla Furio – e la Madga di turno a pagarne le conseguenze – lasci la città, questa volta verso est. Verso Waterford, storica città di vichinghi, vescovi e cristalli. Appena fuori Cork incontri le prime cittadine sulla costa, località di villeggiatura rinomate prima che i charter e i voli della “Ryan” iniziassero a trasportare  migliaia di vacanzieri verso le spiagge di Spagna e Portogallo: Ballycotton, Yoghal, Dungarvan, Tranmore, Dunmore East. Tempi dei quali rimangono cartoline ed immagini vintage anni ‘70. Fotografie ingiallite di famiglie in spiaggia a prendere il sole, con cestino del picnic. Tutto il mondo è paese.

Tempo infame, strada monotona, umore basso. La tentazione di fare marcia indietro è forte. Ma quando meno te lo aspetti, le colline si aprono a sud, lasciandoti vedere uno scorcio d’oceano. Davanti a te la distesa d’acqua grigia e schiumosa, tra la pioggia onde spinte dal vento che si infrangono feroci sulle scogliere. All’orizzonte un raggio di luce taglia le nuvole, il suo riflesso nell’acqua quasi ti abbaglia. In un secondo sei ripagato di tutto, il tuo viaggio potrebbe anche finire qui. Il Furio che e in te è già lontano, la tabella di marcia idem. Cerchi una scusa per fermarti a bordo strada. Il tempo di una sigaretta fumata in silenzio, sufficiente per imprimere quell’immagine nella tua memoria: l’Irlanda è fatta di dettagli, luci oblique che filtrano tra le nubi e rendono lo stesso paesaggio sempre diverso, ogni giorno.

La strada e l’umore diventano meno pesanti. All’arrivo l’Hotel a Dungarvan è come te lo aspetti. Hall immensa e semideserta, moquette, carta da parati giallastra, mobilio austero, quadri con scene marine. Mare in burrasca e foto di JFK al muro. Il concierge ti guarda severo da dietro gli occhiali e ti viene da parlare sottovoce. Forse da qualche parte c’è un senatore, un cardinale o un capitano di vascello da non disturbare. Ma è solo un’impressione, perché sei sempre in Irlanda e, mano a mano che il tempo passa, il bar-ristorante comincia a riempirsi. Camerieri vanno e vengono con vassoi di birra e Fish & Chips. Clientela composta e variegata in totale relax. Un gruppetto di pensionati, famiglie con bambini al seguito, una coppietta che avrà poco più di vent’anni. Tutti con la necessità di rompere la monotonia dell’inverno irlandese, prendere il tempo di ritrovarsi, anche se solo per una notte o un fine settimana. In camera, come sempre, le contraddizioni della cattolicissima Irlanda: bibbie che saltano fuori come funghi dagli armadietti e stampe vagamente osé alla Salomé sui muri. Ladies & Gentleman, fate pure quello che dovete fare ma, se possibile, senza esagerare. Dopo cena, trovi il pub giusto, legno, brusio, odore di cane bagnato. Un tavolo d’angolo occupato da un gruppo di musicisti alle prese con i loro strumenti. Una live session di musica tradizionale: violini, bodhran, banjo, fisarmoniche, flauti. Bevi in silenzio e tieni il tempo col battito dei piedi.

La mattina è ancora una sorpresa: durante la notte il forte vento ha spazzato via le nuvole ed è un piacere passeggiare per la cittadina. Case multicolore che si affacciano sulla baia, bar e negozietti decrepiti dall’atmosfera realmente marinara.

Torna il sorriso, le giornate buie e la stanchezza di lunghe settimane di lavoro spariscono in un momento. Ritrovi la capacità di vedere il mondo e la sua bellezza, di ricambiare l’affetto di chi ti sta a fianco. Ti rendi conto di quanto sia importante il rito irlandese dello short break. Ora non hai più voglia di tornare a casa, la tentazione di proseguire verso i musei e i palazzi di Waterford o perdersi alla scoperta dei villaggi sulla costa è forte. Ma non c’è più tempo. Non senza un filo di dispiacere, riprendi la strada verso la città. Non fa nulla, sai che per qualche minuto ti terrà ancora compagnia la vista dell’oceano grigio, ora calmo, quasi azzurro.

tag:

Vittorio Sandri

Vittorio Sandri, nato e cresciuto a Ferrara, si e’ diplomato al Liceo Ariosto della città estense, al quale ha fatto seguito un percorso di studi in scienze politiche iniziato presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e proseguito a Parigi presso l’Institut d’Etudes Politiques (Sciences Po) con l’ottenimento del Diplôme du programme international e terminato con il successivo conseguimento della Maîtrise en science politique all’ Université Paris Nanterre. L’autore ha trascorso lunghi perriodi in Europa tra Spagna, Francia e Inghilterra. Tutt’ora vive e lavora all’estero anche se considera la citta della metafisica, immutabile nella sua bellezza, un porto senza mare nel quale e’ sempre possibile fare ritorno.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it