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Sulla vicenda dei salvataggi in mare c’è un aspetto più profondo, rispetto al tema porti aperti/porti chiusi, su cui secondo me varrebbe la pena riflettere e prendere una posizione netta perché implica un’idea precisa di società. Si sta affacciando una pericolosa visione della vita di cui Salvini è portavoce. Una visione totalitaria che non si può accettare. Infatti, dalle sue continue esternazioni sulle navi delle ong sembra emergere una visione nella quale non rientri l’idea che ci possano essere persone che dedicano la propria esistenza a salvare altre vite umane. E fin qui libero di pensarla come crede, anche se è inquietante, tanto più per il ruolo che ricopre. Ciò che è preoccupante, e va contrastato politicamente con forza, è che voglia imporre la sua visione impedendo alle navi delle ong di salvare vite umane in mare. È questo che fa del suo agire un pericoloso declivio autoritario. Va detto però, ad onor del vero, che su alcune ong è giusto fare chiarezza perché non è un caso che associazioni serie e strutturate, come Medici senza frontiere per citarne solo una, abbiano ritirato le proprie imbarcazioni dal Mediterraneo non avendo firmato il protocollo voluto da Minniti. Ma forse c’è anche dell’altro, cioè la consapevolezza da parte di alcune ong che rischiavano di fare il gioco dei mercanti di essere umani.
Per tornare alle posizioni di Salvini, qui non è più questione di porti aperti o chiusi, su cui personalmente ho una visione laica, su chi debba accogliere e chi no, su dove debbano essere sbarcati i migranti salvati in mare, purché le persone siano salvate e messe in sicurezza. Qui è questione di voler imporre una propria visione sul valore della vita che è tipica di una deriva autoritaria. Ciò su cui non ci possono essere margini di discussione o di mediazione è che le vite in mare vanno salvate. Lo ha ribadito anche il comandante della guardia costiera italiana il quale ha ricordato a Salvini che continueranno a rispondere agli Sos che dovessero arrivare dal mare, perché è loro dovere farlo. Dovere che attiene a tutti i natanti per qualunque motivo si trovino in acqua. Che il ministro degli interni lo voglia o no. È la legge del mare.
A nulla valgono gli strepiti sterili del Pd e della sinistra sparsa (per sinistra sparsa intendo quella che per consistenza è poco più che un circolo politico-culturale di testimonianza, tipo LeU e dintorni) che dopo il salvataggio dei naufraghi accolti dalla Aquarius ha parlato di migranti abbandonati per giorni in balia del mare. Non si fa opposizione con le bugie. La politica fatta con le bugie ha le gambe corte, per parafrasare un antico detto. Come tutti sanno quelle persone salvate furono distribuite su altre due navi, oltre l’Aquarius: una della marina militare italiana e un’altra della guardia costiera italiana. Su tutte e tre a bordo c’era personale medico-sanitario esperto e viveri. Quindi furono garantite le migliori condizioni di sicurezza. Ricordo questi che sono fatti incontestabili non per fare l’avvocato difensore di questo governo che non ho votato, ma per sollecitare un’opposizione che sappia discernere ciò su cui vale la pena dare battaglia, su quali sono i valori veri da difendere, perché se si continua su questa linea vuol dire che proprio non si è capito nulla dell’esito elettorale. Infatti, il voto delle amministrative dice proprio che si continua a non capire. La gente è stanca della “mulinazza” della politica. Dall’opposizione di sinistra mi aspetto serietà. Anzi, la pretendo! Come cittadino ed elettore.
Non è un caso, infatti che la Toscana “rossa” non esiste più e che è crollato un altro baluardo emiliano come Imola, che, per inciso, è la città dell’ex ministro del lavoro del governo Renzi e poi Gentiloni, Giuliano Poletti. E non è un caso che ad Imola vinca proprio il partito dell’attuale ministro del lavoro Luigi di Maio.
Metto in fila queste cose, per dire alla sinistra (tutta, dal Pd in giù) di concentrarsi sulla sostanza dei problemi, non sugli epifenomeni. Di guardare ai valori veri da difendere. Di non inseguire la polemica spicciola del giorno per giorno. Di abbandonare il campo da gioco che ha scelto Salvini per lo scontro politico perché sa che su quel terreno lui vince. Ma di essere lei, sinistra, a scegliere su quale campo giocare. La difesa della dignità delle persone (ne ho scritto ancora su queste pagine), il valore della vita umana, la difesa dei più deboli, la qualità della vita di tutti i cittadini nelle città e non solo di quelli delle ztl, come ha scritto qui Francesco Lavezzi. Di guardare alle periferie, quelle delle città e quelle della vita a cui si è smesso di guardare. Di guardare dentro le contraddizioni di questo sistema di produzione. Di guardare alle tante precarietà e di riconoscere che quelle precarietà (le chiamano flessibilità per addolcire la pillola) sono state create anche dalla politica attuata dai governi Pd e alleati e mi riferisco anche ai governi dell’Ulivo. Riconoscere l’errore e rimediare con una politica di segno diverso, più attenta ai giovani che non trovano lavoro e se lo trovano è precario e solo per via degli incentivi alle imprese volute dai governi a guida Pd col sostegno di Forza Italia e della Confindustria. Una volta finiti gli incentivi perché scaduti i termini delle varie tipologie di contratti i giovani spesso vengono buttati via come limoni spremuti. Di guardare ai cinquantenni che perdono il lavoro e fanno fatica a trovarne un altro ed hanno sulle spalle anche il carico famigliare. Di guardare con più attenzione a tutte quelle realtà famigliari dove ci sono sofferenze vere e non ci sono sostegni perché il bilancio dello Stato non ce lo consente, perché la sinistra (il Pd più quelli che ora sulla pelle della gente hanno cambiato idea) ha scelto di stare dalla parte del pareggio di bilancio piuttosto che dei bisogni delle persone. Di riconoscere che non abbiamo risorse sufficienti per dare un’ospitalità dignitosa a tutte quelle persone che legittimamente cercano una vita migliore per sé e per i propri figli e che sono disposti a mettere a repentaglio la propria vita pur di raggiungere questo obiettivo, ma che possiamo accoglierne solo una parte. Di dire, chiaramente, che l’Italia non è il paese migliore dove realizzare i proprio sogni, perché non lo è nemmeno per i propri giovani. Di riconoscere che in dodici anni la povertà assoluta è aumentata tra gli italiani. Le persone che vivono in povertà assoluta in Italia superano i 5 milioni nel 2017. È il valore più alto registrato dall’Istat dall’inizio delle serie storiche, nel 2005. Le famiglie in povertà assoluta sono stimate in 1 milione e 778mila e vi vivono 5 milioni e 58 mila individui. L’incidenza della povertà assoluta è del 6,9% per le famiglie (era 6,3% nel 2016) e dell’8,4% per gli individui (da 7,9%). Entrambi i valori sono i più alti della serie storica. Tra gli individui in povertà assoluta si stima che le donne siano 2 milioni 472mila (incidenza dell’8%), i minorenni 1 milione 208mila (12,1%, dal 2014 il dato non è più sceso sotto il 10%), i giovani di 18-34 anni 1 milione e 112mila (10,4%, valore più elevato dal 2005) e gli anziani 611mila (4,6%). Qualcuno sarà pur responsabile di questo risultato, o vogliamo credere che sia il prodotto di un castigo divino?
Poi, però, non basta dirlo, non basta riconoscere i tanti errori commessi, non basta che quelli che hanno lasciato il Pd si cospargano il capo di cenere avendo operato l’ennesima scissione nella storia della sinistra, come se bastasse a lavarsi la coscienza, anche se averne consapevolezza è già un buon risultato. Quella scissione, però, sarebbe dovuta avvenire nel 2012 all’epoca della legge sul pareggio di bilancio, allora sì che avrebbe avuto un senso e sarebbe nata nel segno di una precisa scelta di campo e forse avrebbe avuto la forza propulsiva per coalizzare una nuova formazione veramente di sinistra e con un peso di consenso di tutt’altra consistenza dall’inutile 3% di LeU. Bastava spiegarla quella legge ai cittadini che avrebbero capito immediatamente quali sarebbero state le conseguenze, perché chi deve arrivare a fine mese sa bene quali sono le conseguenze di far quadrare i conti: tagliare le spese. Altro che tecnicismi difficili da comunicare! Dopo quasi sei anni la scissione ha tanto il sapore di una scelta opportunista tipica del peggior trasformismo della peggiore politica. Ed è esattamente per questi motivi molto concreti che non sono né credibili né affidabili. Infatti gli elettori lo hanno capito e quel 3% rappresenta solo un zoccolo ideologico (nel senso di falsa coscienza). Ma è evidente che all’ombra del Pd si stava sicuri, mentre, come per tutte le separazioni, si trattava di mettersi in gioco. E allora è servito il pretesto per separarsi dato esclusivamente da una lotta di potere tutta interna al Pd che con le ragioni del sociale non ha nulla a che spartire.
Ora bisogna tirarsi su le maniche e impostare una politica di segno diverso. Cominciando a rottamare definitivamente i rottamati riciclati, per intendersi tutti quelli che hanno votato la legge di cui sopra e che ora tentano di rifarsi una verginità. Bisogna sporcarsi le mani stando nelle contraddizioni, ascoltando le persone, facendosi carico dei bisogni, dando ad essi dignità e rappresentanza. Certo, è un lavoro faticoso, occorrono scarpe comode più adatte alle strade accidentate che agli studi televisivi o alle stanze del potere, non aver paura di sudare e di uscire dalle “ztl” dove si corrono meno rischi e dove è più facile riconoscersi tra simili. Francamente, all’orizzonte non vedo nessuno che si sia messo in cammino in questa direzione. Toccherà aspettare tempi migliori, sperando a quel punto non sia troppo tardi.
Giuseppe Fornaro

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