Skip to main content

L’abbandono della scuola resta un tema scottante e purtroppo ancora irrisolto. In Europa, il nostro Paese non figura tra quelli più virtuosi in proposito, e questo segnala un deficit importante del nostro impianto educativo, soprattutto in prospettiva futura. Una nostra lettrice ci ha fornito un interessante spunto di riflessione.

di Marcella Mascellani

Ho avuto il piacere di partecipare a due interessantissimi incontri organizzati da Promeco nel 2015 intitolato “Tutti gli adolescenti vanno a scuola” e dall’Assessorato Cultura Turismo Giovani nel 2016 su “Dispersione scolastica: la prevenzione possibile”.
Ero convinta che quella dell’abbandono scolastico fosse una questione ormai superata nel nostro Paese: davo per scontato, cioè, che il minimo scolastico fosse attribuibile, ai giorni nostri, al quinquennio della scuola secondaria di secondo grado.
Mi sbagliavo.
Ci sono ragazzi che abbandonano la scuola con il consenso dei genitori per cultura o per necessità famigliari, ad esempio per andare a lavorare nel ristorante di famiglia o perché madre e padre non credono nel valore culturale dato dall’istruzione scolastica e ragazzi che abbandonano, invece, senza alcun consenso.
L’abbandono scolastico sul quale vorrei puntare i riflettori è, appunto, il secondo, quello, cioè, non sostenuto dall’avvallo dei genitori, quello dove l’allontanamento dal contesto scolastico accende un periodo di travagliati e difficili rapporti famigliari.
Il mio ricordo di scuola dell’obbligo risaliva agli anni fine settanta/ inizio ottanta. Una esperienza, quella della scuola superiore, che ha accompagnato la mia crescita adolescenziale senza particolari traumi, solo qualche sconforto.
Ricordo che per alcuni non era così. C’era chi con la fine della terza media o al massimo della seconda superiore, lasciava la scuola e iniziava a lavorare. L’insegnante sentenziava “suo/a figlio/a non è adatto a proseguire gli studi, non ha le capacità per studiare. Sarà sicuramente un bravo/a lavoratore/ice”.
Per i figli “non dotati” delle famiglie economicamente benestanti, invece, il destino era un altro: era previsto “l’approdo” alla scuola privata che consentiva il completamento del percorso didattico fino alla laurea.
Poi sulla scuola ho sentito teorizzare frequentando pedagogia. Ho ascoltato ipotizzare sulla capacità dell’insegnante di tracciare, attraverso la modulazione della didattica, i segni dell’apprendimento sulla tavola intonsa che è l’alunno.
Dieci anni fa, dopo un lungo intervallo, ho ricominciato ad occuparmi di scuola.
Con mia immensa sorpresa era rimasta quella di ventiquattro anni prima (coincidenti con la fine del mio percorso di scuola superiore) nella didattica e nei contenuti, ma era cambiato il mondo attorno ad essa.
Il patto, l’alleanza generazionale genitori/insegnanti si era rotto, anzi, frantumato.
“Nel nostro tempo l’insegnante è sempre più solo . La sua solitudine non riveste solo la sua condizione di precariato sociale, ma, come abbiamo visto, anche la rottura di un patto generazionale coi genitori”. E ancora…… “genitori sempre più complici e alleati dei figli sempre meno riconoscenti e sempre più pretenziosi, i quali anziché sostenere l’azione educativa della Scuola, di fronte al primo ostacolo, preferiscono spianare la strada ai loro figli, evitare l’inciampo, per esempio cambiando scuola o insegnanti, insomma recriminando continuamente contro l’Altro come fanno i loro stessi figli” – M.Recalcati, L’ora di lezione – Einaudi 2014.
Insegnanti investiti del ruolo di educatori di alunni “ineducati” e genitori “sostegno didattico” dei propri figli. Gli studenti più fortunati hanno a loro disposizione un genitore pomeridiano che impreca ed urla all’orecchio del proprio figlio un’inflessione didattica inesistente, ma che comunque garantisce una presenza. C’è invece chi non ha il genitore presente o disponibile e ricorre, quindi, ad un supporto di insegnamento domestico almeno per il periodo della scuola elementare e gli anni della scuola media.
Insomma, un incalcolabile sommerso di ore di ripetizione di ragazzi di qualsiasi ordine e grado scolastico del quale difficilmente i genitori parlano.
Purtroppo c’è anche chi di una di queste due opzioni non può beneficiare e rischia l’abbandono.
Alcuni anni fa ho partecipato ad una interessantissima serata “Educare insieme” organizzata dalla scuola media T.Bonati di Ferrara. Gli invitati alla serata erano i volontari dall’associazione “s.o.s dislessia” con sede nella nostra città. Gli adulti accompagnavano una decina di ragazzi, ormai frequentanti la scuola superiore, che incominciarono a raccontare la loro esperienza scolastica agli esordi dell’aspetto dislessia/discalculia.
Il loro racconto riportava un denominatore comune: oltre all’angosciante ricordo della loro difficoltà, l’incapacità (o la negazione) da parte dell’insegnante di riconoscere il problema. Paradossalmente se ne erano accorti prima i genitori degli insegnanti stessi, ricorrendo poi ad una certificazione che potesse in un qualche modo tutelare il proprio/a figlio/a. Una gran confusione di ruoli.
Diversi esempi, quindi, per sostenere che la scuola di oggi si trova in difficoltà.
Il frutto di tale problematicità provoca insofferenza, disagio scolastico e disaffezione alla scuola (studenti) e al proprio lavoro (insegnanti).
A volte provoca anche delle vittime: i ragazzi che abbandonano la scuola.
Dietro un abbandono c’è sempre un dramma. Sicuramente un dramma famigliare.
Ogni volta che un ragazzo “si ritira” dalla scuola perde una delle occasioni più belle e importanti della propria vita: l’opportunità unica e irripetibile di condividere una esperienza di apprendimento con il gruppo dei pari. Certo a scuola si può anche decidere di tornare dopo un abbandono, ma non sarebbe più la stessa cosa.
Nei ragazzi che abbandonano la scuola c’è la sensazione che nessuno più creda in loro, che agli insegnanti non importi nulla della loro presenza scolastica.
Nei genitori nasce l’idea di non essere stati sufficientemente in grado di sostenere i propri figli.
La mamma di un ragazzo che ha abbandonato la scuola dopo diversi tentativi di dissuasione da parte della famiglia stessa e di alcuni insegnanti mi scrive: “la scuola di oggi non è preparata a fronteggiare l’idea che nasce nel ragazzo dell’abbandono. Annaspa elargendo servizi di aiuto, ma in realtà difficilmente tale aiuto porta ad un risultato sul predestinato”.
La perdita di autostima dello studente spesso provoca chiusura in se stesso o, per reazione opposta, un comportamento deviante. I genitori e gli insegnanti si sentono destabilizzati e demotivati nel loro ruolo e addirittura incapaci di affrontare un evento del genere.
Importantissima la figura dello psicologo, come esperto esterno, che può contenere i danni che precedono o seguono l’abbandono.
Credo, però, che alla scuola di oggi occorra molto di più.
L’elevato numero di “misurazioni” e “certificazioni” di bambini e ragazzi fanno pensare che la scuola sia un luogo nel quale ci si debba più difendere che apprendere.
Allo stesso tempo agli insegnanti è richiesta una competenza ed una preparazione da un punto di vista della modulazione della didattica che non sempre riescono a mettere in pratica (vi par semplice per l’insegnante muoversi nelle varie sfaccettature dei così detti “bisogni speciali”?).
Ecco perché all’interno della scuola dovrebbe essere prevista una figura pedagogica che aiuti l’insegnante a livello pratico ad una stesura di una didattica personalizzata qualora fosse necessario.
Ecco allora che il genitore non troverebbe così indispensabile ricorrere ad un esperto che “certifichi” un limite o una inadeguatezza.
Supportare, quindi, l’insegnante e l’alunno.
In una sensibilissima nota di M.Recalcati in “L’ora di lezione” (2014) descrivendosi nella sua esperienza scolastica riporta: “Fui bocciato in seconda elementare perché giudicato incapace di apprendere. Quando parlo, cercando di insegnare qualcosa, è sempre a lui che mi rivolgo, al bambino idiota che sono stato. (…………) Nelle persone alle quali mi rivolgo mentre insegno cerco sempre il volto annoiato e un po’ ebete del bambino che sono stato. (…….) Devo rendere accessibile l’oggetto di cui parlo oltre che a me stesso a quell’altro me che mi ascolta e non capisce”.
Concluderei questa mia modesta riflessione sulla scuola di oggi, e in particolare sull’abbandono scolastico, con un quesito espresso da Ermanno Tarracchini e Valeria Bocchini nel loro interessantissimo articolo “La scuola e noi” del luglio 2013. Riferendosi all’ossessione diagnostica dei giorni nostri, ci fanno capire che siamo ad un bivio nel panorama scolastico per quanto riguarda la valutazione dei nostri ragazzi: “L’identificazione e la riduzione della loro persona ad un loro presunto disturbo o bisogno speciale, oppure la valorizzazione di biografie e personalità in continua evoluzione le quali, se non verrà loro impedito, sapranno prima o poi trovare una strada?”
Nella lettura del loro articolo troverete una convincente risposta.

tag:

Redazione di Periscopio

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it