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Da ufficio comunicazione

In questo frangente, ove la speranza è rimasta solo a denominare sulle carte il capo a sud dell’africa, mi sono fatto convinto che ai menagrami  capaci di demolire con arguzia e tempismo ogni ipotesi costruttiva e di alzare spallucce di commiserazione e sufficienza di fronte a qualsivoglia progetto che non li veda committenti, d ancor meglio protagonisti nella esecuzione,  occorrerebbe imporre, per ogni badilata impegnata a seppellire l’dea altrui,  un’opera forzata di bene: una semina, un innesto, un concreto contributo che illumini sul cosa si vuole e  sul come fare diversamente,  per restituire bellezza e senso a questa nostra comunità.
Non mi accingo certo a questa riflessione spinto dalle quotidiane beghe di bottega, quanto piuttosto  ancora oggi tormentato dalle  vicende locali nelle quali giovanissimi protagonisti hanno toccato l’abisso del matricidio e del parricidio.
Lascio ai genitori come me, alle nostre famiglie  il compito di guardarsi dentro ed osservare i ragazzi, gli adolescenti soprattutto, per insinuarsi fra un “like” ed una risposta assente davanti all’ipad, con uno sguardo od una parola che ci dica “nuovamente connessi”. 
Mi preoccupo invece di rifletter sul modello di sviluppo in queste nostre terre collocate in un angolo di pianura lontana dai fari della via Emilia e dei viali Ceccarini della Romagna, dove i ragazzi, come sempre i più sensibili,  non a torto, si sentono “ ai margini” della crescita economica, ai margini della cultura, in una parola ai margini della vita;  così dinamicamente irresistibile vista sul web dopo una serata al bar del paese.
Per anni noi amministratori abbiamo ritenuto che il nostro dovere fosse quello di portare a Ferrara risorse economiche:  tradotte in strade, ponti, ciclabili, parchi, sagomature di canali, contributi alle aziende e questo era vero e giusto: si è trasformato in lavoro, in sicurezza idraulica, in agricoltura avanzata,  serve ancora, ma oggi non basta più.
Non basta lavorare sull’hardware della nostra comunità ossia le infrastrutture, la sfida nel mondo è nel  software ossia sulla conoscenza : è qui che si vince la competizione per “abitare in centro”.
E’ successo nel mondo dei computer dove sono i produttori di  sistemi operativi ad aver vinto sui produttori di processori e così anche qui saranno le persone, le loro menti, le loro capacità di relazione e di analisi a vincere le distanze ma anche la sfida delle nuove occupazioni .
Non tanto diversa dovette essere la ragione del successo per l’abazia di Pomposa  attorno al mille, così come oggi lo è per le software house indiane, fino a ieri  in polverose e sudice periferie oggi leaders nella competizione globale.
Per questa ragione la candidatura di Comacchio come capitale italiana della cultura, banalmente letta da alcuni come velleitario tentativo di utilizzo strumentale della cultura per la promozione turistica del territorio, è invece, per quanto mi riguarda, un segno importante e lungimirante di guardare oltre.
Certo anche qui hanno giocato e giocano un ruolo  fondi europei, risorse regionali per il restauro di edifici e capanni, ma a nulla servirebbe tutto questo se la cultura, che ti permette di conoscere la storia , la conformazione del tuo territorio, le straordinarie risorse della natura, ma anche i linguaggi per comunicare questa ricchezza, lingue straniere e linguaggi della tecnologia, non divenisse la vera protagonista del progetto.
Lo stesso ragionamento appena accennato su Comacchio  vale per tutto il nostro territorio, i giovani rischiano di rimanere distaccati osservatori della costruzione di nuove arterie di comunicazione,  siano d’asfalto o d’acqua, assai più urgenti quelle telematiche, se in quei contesti non saremo capaci di innestare progetti di sviluppo che sviluppino conoscenza, investano sulle persone, sulle loro idee, la loro fantasia, l’amore per la loro comunità.
Per questo, siccome siamo all’interno di una  programmazione europea e nazionale che tra fondi strutturali e diretti alle “aree interne” ci beneficerà di risorse rilevanti, dobbiamo investire sul nostro software che è l’intelligenza e la creatività dei nostri giovani, sulle scuole, sulla loro formazione, sui sistemi di “connessione”  a distanza fra le persone con i migliori linguaggi di oggi, magari chiedendo ai grandi operatori come Oracle o IBM di collocare a Ferrara scuole di alta formazione.
Se, su altro profilo, alla presidenza del Nuovo Parco Interregionale del Delta fossimo in grado di designare una persona di grande spessore culturale, un uomo capace di rappresentare il desiderio di queste terre e di questi ragazzi di diventare protagonisti della scena europea, dove di luoghi così straordinari non ce ne sono, magari rinunciando alla usuale soluzione standard buona per tutte o tante altre stagioni, daremmo un segnale bello qualcuno comincerebbe a crederci.
Se poi la più grande infrastruttura turistica italiana, ovvero la ciclovia VEN (ezia) TO (rino) incontrasse sul suo percorso un paesaggio straordinario non sarebbe merito nostro, ma se incontrasse una generazione che parla le lingue del mondo, capace di accogliere a Serravalle danesi nostalgici del Mississippi  o a Codigoro un gruppo di artigiani innovativi che realizzano borse con la canapa o mille altre diavolerie e le vendono on line in tutto il mondo, insomma  una realtà “che abita in centro” perchè capace di annullare le distanze e di trasformarla in nuove occasioni di lavoro e di incontro,  allora ciò sarebbe perché ci abbiamo pensato oggi e forse le ferite di Pontelangorino e dintorni ci avrebbero insegnato qualcosa. 
Tiziano Tagliani

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COMUNE DI FERRARA


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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