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In via Montebello, angolo Giovecca, tanti anni fa, partecipai ad un incontro del professor Luigi Pedrazzi del Mulino di Bologna ed un amico presente mi indicò: “E’ Tiziano, quello dell’Azione cattolica”.
Ero curioso, soprattutto del pubblico, una ventina di persone, cattolici in politica, dal dissenso gentile e quasi democristiani.
Poi seguii Tagliani nei luoghi dei non brevi percorsi istituzionali fino a Sindaco della Città, incontrandolo e parlandoci più volte, ultimamente, messaggiandoci in ore del suo breve tempo libero.
Penso che si possa dire che le sue azioni abbiano prodotto e lasciato più di un segno, sia nell’amministrazione municipale che anche, per quel suo pellegrinare insistente, nei rivoli che contano attorno ai palazzi e nei linguaggi comuni della gente, scendendo dallo scalone e, anche in bicicletta.
Bisogna risalire al lontano Roberto I d’Este per trovare un cambio di passo, anche se il Duca aveva il Pci e il Rinascimento e, sapeva farci, anche per la genialità politica di quel “patto per lo sviluppo”.

Parto da questi rapidi passi, guardando indietro, perché solo con il miglior antico, pur recente, si può stare nel futuro di una comunità e di un paese.
Ora che il primo cittadino ha messo in ordine alcune poste delle entrate e del debito, ma anche l’avvio di un primo inizio di un welfare community avanzato, non può più sottrarsi a guidare la città provincia su nuovi sentieri, anche se il compito non sarà facile ma spetta, comunque, alla politica farlo.
L’avvocato sa bene come e dove muoversi, conosce anche nei particolari come “schiodare” la città, stenta però a percorrere i sentieri necessari, anche perché complicati, per evitare, crudamente, la rotture di schemi estensi e marxiani.
Sappiamo anche che la contemporaneità prevede un cambio ulteriore di passo, lo sa, sicuramente, Ferrara, le sue vie medioevali, l’addizionale erculea, anche la parte ancora addormentata del passato che resiste al cambiamento.
Ci vuole un passo che, partendo dalle prossime elezioni amministrative di maggio, dovrà farsi impronta, serve una impronta profonda per la città.
Serve una visione lunga per andare oltre il perimetro delle mura, guardando più fuori che dentro; la città scende e volge lo sguardo dalla prospettiva di corso della Giovecca all’orizzonte per farsi sistema, luogo largo di più luoghi.
Una idea, quindi, dove la somma faccia il totale, osservando così:
l’entroterra, la costa, la destra Po, le terre del Volano, il mare e le spiagge, le valli e le oasi, il delta, una ruralità diffusa e di qualità, i turismi e viale Carducci, il life del naturalismo d’ambiente, innovazione e tecnologia, arte e cultura e i tanti diffusi saperi.
Inoltre, è necessario si aprano gli attori e gli stakeholder delle periferie e comincino a guardare dentro le mura , anche con le loro Delizie e bellezze, per costruire quel lontano “cono“ d’ombra del Censis.
Una rete, tante maglie e altrettanti nodi perché insieme, città e periferie, possano pescare nell’alveo di un nuovo sviluppo, un benessere diffuso, essere costruttori di una area vasta per stare tra la via Emilia e la dorsale centrale veneta.
Tagliani sa che ci sono risorse, strumenti, capacità da spendere per poter fare un ulteriore passo in avanti; sa anche che bisogna correre e ricostruire forti relazioni, farsi capofila e creare governance, e attivare significativi rapporti esterni.
Bisogna partire, anche rischiando, anche sconvolgendo, anche con un di più, perché questo è il tempo giusto, anche se la legislatura potrà non essere sufficiente.
Serve non solo vincere con un ampio consenso, serve una direzione di marcia ed alcuni obiettivi, anche se i sentieri saranno stretti ed irti.
Signor Sindaco, ci pensi bene, faccia uno sforzo, tanti auguri e buon anno.

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Enzo Barboni


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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