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Chi ha avuto a che fare con una compagnia telefonica avrà levato gli occhi al cielo più di una volta.
Per concludere un contratto e avere un servizio, cioè per incassare soldi, qualsiasi operatore può impiegare anche solamente una decina di minuti.
Il tempo necessario per apprezzare i benefici di una tecnologia in grado di facilitare la vita in modo sorprendente.
Poi, dal momento in cui hai messo la firma sopra un foglio, inizia la via crucis.
Possono anche trascorrere mesi prima che qualcuno si faccia vivo e venga a casa per montarti l’attrezzatura arrivata per posta e per la quale hai implorato l’aiuto di un tecnico, perché fra cavi e libretti d’istruzioni, la cui lettura implica tempi di vita davvero poco saturati, uno non sa da che parte girarsi.
Così si entra nel meraviglioso mondo del wifi.
Quando poi si arriva al momento di disdire anche solo una parte del servizio, ad esempio una chiavetta che non si usa, la via crucis si fa anche in salita degna del tour de France.
Torni dall’operatore che ti ha fatto il contratto, il quale ti dice che è semplicissimo. Basta collegarsi in internet sul sito della compagnia e disdire ciò che non serve, oppure ti indica una seconda strada che, anche facendosela spiegare più volte, non si capisce quale sia.
“Ma non potrebbe collegarsi lei direttamente in rete e, dati contrattuali alla mano, farmelo ora?”, domandi. Purtroppo l’operatore ti risponde che non può farlo e nemmeno è possibile parlare con un essere umano che ti faccia la procedura.
Torni a casa e provi. Sul sito della compagnia telefonica per orientarsi servirebbe una guida alpina. Si può addirittura arrivare a chattare con un ignoto operatore, il quale ti sottopone una batteria di domande da fare perdere il senso dell’orientamento. E non solo, per la verità.
Può capitare che l’operatore, che per comodità potremmo chiamare Cristina, mosso da pietà ti chiami pure.
Finalmente, si potrebbe pensare. Nulla di più sbagliato. La telefonata si dimostrerà per niente risolutiva, perché nemmeno la pur suadente Cristina ti dice che può farlo personalmente e che devi ritornare a complulsare il sito della compagnia telefonica. Ha accesso a tutti i tuoi dati contrattuali personali, forse anche quante volte ti soffi il naso in un giorno, ma quella cosa non è abilitata a farla. Salvo, al termine della conversazione, chiederti di valutare da uno a dieci il grado di soddisfazione dell’assistenza.
Dopo ulteriore tempo indefinito di navigazione senza meta e dopo aver oltrepassato barriere di username, password, batterie di domande fino a: “il tuo amico preferito nella vita”, e levato inutilmente gli occhi al cielo per invocare assistenza divina, alzi infine bandiera bianca.
Non rimane che la strada legale, viene da dire, per la ovvia gioia di avvocati e associazioni di consumatori.
Prima considerazione conclusiva: si sbaglia a pensare che burocrazia e muri di gomma siano un problema unicamente della pubblica amministrazione italiana, perché questa cortina fumogena alzata ad arte parla da sola su trasparenza e semplificazione anche nel privato. La formula magica “Customer satisfaction”, non a caso declinata in inglese, assomiglia più alla presa in giro che alla soddisfazione del cliente.
Seconda considerazione conclusiva: mi pare che esperienze come queste siano lo specchio esatto di un Paese, che ha sempre visto i cittadini non come soggetti di diritti ma come delle mucche da mungere.
Il 4 novembre si celebra la festa dell’unità nazionale. Ecco, sarebbe meglio piantarla con i fiumi di retorica sul sentimento di coesione nazionale e cominciare, piuttosto, a far sentire i cittadini italiani meno estranei e più in casa loro, almeno nel proprio Paese.

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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