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da: Avv. Edoardo Nannetti

Ho letto della lettera di 23 colleghi avvocati del foro di Ferrara che chiedono al Presidente del Tribunale di ripristinare i crocifissi rimossi dalle aule di giustizia. Conosco molti dei firmatari ho un rapporto di antica conoscenza, simpatia, amicizia e stima. A maggior ragione quindi credo di poter esprimere il mio dissenso rispetto a questa iniziativa che oltretutto, al di la delle intenzioni dei promotori, rischia di apparire come espressione degli avvocati ferraresi mentre così ovviamente non è. Dissento sia come ‘laico’ che come cristiano. Non sono un fautore della totale ‘areligiosità’ dei luoghi pubblici, che talora raggiunge estremi preoccupanti e illiberali, tuttavia le aule di giustizia coinvolgono questioni non secondarie sia sul piano della laicità che su quello della fede.

Come laico non credo sia sufficiente sostenere che c’è una circolare ministeriale che dispone l’affissione dei crocifissi nelle aule di giustizia, trattandosi di materia che coinvolge simbolicamente delicati temi di rilevanza costituzionale e di convivenza civile. Una circolare emanata da un ministro del governo fascista nel 1926 è argomento debole: una circolare non è fonte normativa e, ove contrastante con fonti normative, va semplicemente disapplicata. Dopo la circolare fascista del 1926 sono intervenute molte altre norme e, tra esse, la Costituzione della Repubblica la quale caratterizza lo Stato italiano come non confessionale e laico e, segnatamente all’art. 3, riconosce ai cittadini “pari dignità…senza distinzione di razza, di lingua , di religione…”. Ogni cittadino ha diritto di essere giudicato esclusivamente sulla base delle leggi emanate dallo stato e non sotto l’egida di una qualsiasi religione. Il crocifisso appeso dietro il giudice pretende che una religione ispiri il giudicante e le parti senza tenere conto che il giudice, i difensori e le parti possono essere di religioni differenti o di nessuna religione. La dignità delle persone richiede il rispetto anche delle convinzioni religiose di ciascuno. Sostenere che il crocifisso è il simbolo unico di verità e giustizia evidentemente non è vero (tutte le fedi e le filosofie si ispirano a tali valori ma nessuno pretende che i propri simboli siano messi nelle aule di giustizia); affermarlo simbolicamente in un’aula di tribunale contraddice la Costituzione. E’ apprezzabile la frase della lettera dei colleghi che intende relativizzare la giustizia dei tribunali con la più alta misericordia divina, tuttavia non è questo il senso dei crocefissi nei tribunali voluto dal governo fascista. La circolare Rocco, oltre ad affermare la già contestata esclusiva del crocifisso in tema di verità e giustizia, aveva chiaramente ben altri intenti: mettere la religione al servizio del potere, cosa che i poteri fanno da secoli strumentalizzando la fede religiosa, spesso contraddicendone i veri contenuti.

E qui entriamo nei motivi di dissenso che esprimo come cristiano.

Un crocifisso messo sopra la testa di chi presiede un collegio giudicante viene palesemente associato all’esercizio del potere statuale, potere che si basa sull’esercizio potenziale della violenza della forza pubblica. Si tratta di un accostamento che poco ha a che fare col Vangelo. Associare poi la giustizia divina a quella umana è ulteriormente lontano dal cristianesimo: la giustizia umana si basa su regole codificate, quella divina (associata alla misericordia) segue ben altre strade. La giustizia umana, ai tempi della circolare Rocco, era quella che opprimeva il popolo con una feroce dittatura anche se c’erano i crocifissi nella aule di giustizia dove si applicavano leggi oppressive. Quei crocifissi voluti dal governo fascista assumevano pesanti significati in uno stato che adottò tra l’altro leggi razziali e fece deportare gli ebrei a morire in germania. Anche oggi si possono commettere errori giudiziari: associare il crocifisso ai soprusi di allora come alla naturale fallibilità della giustizia umana di oggi non mi sembra sensato.

Non mi sembra neppure fondata l’idea che un crocifisso appeso nell’aula dovrebbe ispirare gli operatori della giustizia. E’ ben strano, dal libro di Geremia in poi, che un credente debba avere bisogno di questo per portare il Signore nel suo cuore a guidarne l’azione: so di alcuni colleghi che ogni mattina assistono alla messa con il lodevole intento di farsi ispirare dal Signore in tutta la loro giornata (non solo in tribunale); chi ne sentisse i bisogno potrebbe ben portare il suo crocifisso al collo e sul suo petto. Perché dunque la necessità di ‘brandirlo’ appeso al muro verso tutti? L’imputato ebreo o musulmano dovrebbe sentirsi rassicurato da chi pensa di essere l’unico depositario di verità e giustizia e magari nutre ostilità verso altre religioni? Non dimentichiamo che anche in nome della religione cristiana sono stati compiuti nei secoli (ed anche in tempi non lontani) atroci misfatti e persecuzioni. Ancora, il giudice ebreo dovrebbe sentirsi ispirato dal simbolo di una religione che non è la sua o non potrebbe invece sentirsi delegittimato nella sua personalità?

L’idea poi che anche i non cristiani vogliano il crocifisso nelle aule in quanto espressione delle tradizioni giudaico-cristiane fondamenta dell’Europa, da un lato è affermazione difficilmente generalizzabile (non ci sono solo gli atei-devoti ma anche i non cristiani e basta); dall’altro lato come cristiano mi pare improprio che un non cristiano intenda usare il crocifisso per imporre scopi estranei alla fede nel Signore fattosi uomo morto e risorto per tutti (non solo gli europei o per i giudaico-cristiani). Poi identificare i valori giudaico-cristiani dell’Europa con il crocifisso, sarebbe come a dire che la tradizione giudaica sia valida solo se evoluta nel cristianesimo (il che alimenta un’aura di intolleranza); in secondo luogo le tradizioni che hanno fatto l’Europa sono molte altre; infine questo tema riduce il cristianesimo a tradizione, circoscritta, eurocentrica mentre la chiesa è per definizione cattolica, cioè universale e non bandiera di una parte del pianeta. Brandire Cristo per affermare supremazia non ha nulla a che fare con Cristo. Il cristianesimo deve poter parlare con tutti con apertura e rispetto reciproco. Non è un caso che il Papa tuoni spesso contro il proselitismo, che anziché avvicinare allontana e non incarna lo spirito evangelico.

Come si vede il discorso va al di là delle intenzioni dei colleghi estensori della lettera, si fa più complesso e richiederebbe altro approfondimento qui impossibile. Voglio però concludere con l’esortazione evangelica “date a cesare quel che è di cesare e a Dio quel che è di Dio”. Lo Spirito Santo non ha bisogno di barriere ma di libertà, anzi, per dirla con Gioacchino da Fiore, esprime l’era della libertà.

Cari colleghi, portiamo lo Spirito Santo nel nostro cuore e vedrete che sarà più efficace di un crocifisso appeso al muro.

 

 

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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