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di Gian Luigi Zucchini

La scomparsa di Umberto Eco ha movimentato i computer di tutto il mondo. Pertanto tra rievocazioni e ricordi di tanti personaggi, anche importanti e famosi, questo mio breve scritto non vuol essere altro che una riflessione come ricordo per un docente con cui, insieme ad altri, sono stato in diverse sedute di laurea; e di cui ho anche ascoltato varie lezioni, che erano spesso una divertente passeggiata nei diversi meandri della cultura, oppure un gioco di incroci dove memoria, intelligenza, acume critico e levità di linguaggio concorrevano a tener vivo l’interesse anche degli studenti meno attenti.
Mi capitava, quando avevo un po’ di tempo, di entrare di soppiatto nell’aula dove lui faceva lezione e sedermi in fondo, ad ascoltare, soprattutto quando sapevo che avrebbe trattato certi argomenti, come per esempio il fumetto, o la letteratura rosa, o il romanzo d’appendice: tutta merce di scarto, se non addirittura di rifiuto. I cascami della cosiddetta cultura popolare, per di più banale, quindi da non prendersi neppure in considerazione. Invece Eco li ha trattati con un garbo e una finezza critica tali che, da cosucce da niente, sono divenuti ambiti di studio e di ricerca per molti, anche per me, che – debbo confessarlo – in un primo momento mi sentivo abbastanza turbato per quelle scorribande così fuori dalle consuetudini accademiche. Accadeva, infatti, a persone più o meno della nostra età, di ricordare le cautele che genitori, insegnanti, pii catechisti e candidi curati, raccomandavano circa queste pubblicazioni, spesso anche condannandole perché largamente ‘diseducative’, mentre ora se ne discute addirittura nelle aule universitarie e si fanno tesi di laurea su Topolino o Tin Tin o il duo Cino e Franco.

umberto eco
Umberto Eco

Tuttavia, anche per non attardarmi su argomenti ormai dilaganti sui media, scarto subito citazioni relative al ‘Nome della Rosa’, alla vastità di pensiero del professore e alle sue acutissime introspezioni nella filosofia medioevale e nella semiologia, e mi rannicchio in qualche angolino un po’ oscuro, in compagnia di alcune letture che, non molto citate nelle celebrazioni e nei corsivi di rito, hanno offerto a me occasione di riflessioni disordinatamente leggere, eppure culturalmente vaste e forse anche profonde. Furono intanto alcuni saggi sulla cosiddetta ‘letteratura per signorine’, altrimenti detta ‘rosa’, in particolare un’analisi sulla produzione di Carolina Invernizio, Matilde Serao e Liala, in un libretto edito dalla Nuova Italia nel 1979 con ampia introduzione di Eco, che lo stesso aveva allegramente intitolata “Tra donne intorno al cor mi son venute…”. Poi soprattutto il ‘romanzo illustrato’ “La misteriosa fiamma della regina Loana”. Qui si incrociano evocazioni musicali, con le canzonette del Trio Lescano o del Quartetto Cetra, le tronfie immagini del Fascismo, con manifesti, inni, rimette esaltate e idiozie pedagogiche, in cui, per far apprendere ai piccini di prima elementare le più ostiche regole ortografiche, si usava esemplificare con ‘gagliardetti’, ‘camicie nere’, ‘mitraglia’, ‘duce’, ecc. Ma c’erano anche i fogli di soldatini che evocavano Les Images d’Epinal e i fumetti con l’elegantissimo Fantomas, le varie avventure di Topolino, tra Legione Straniera e polizia americana. Su tutto questo nel libro, in particolare sui fumetti, Eco scrive interessanti riflessioni, come per esempio: “Mi sarò forse avvicinato a Picasso sullo stimolo di Dick Tracy?”
E, interrogandomi a mia volta, mi chiedo: le stampe popolari d’Epinal, o certe caricature di Jacovitti, non mi avranno forse un tempo avvicinato meglio a Honoré Daumier o alle sapide deformazioni espressionistiche di Otto Dix?
Ecco, chi l’avrebbe mai immaginato un tempo, quando le maestre requisivano questi documenti costruiti per le fantasie infantili, e li buttavano nel fuoco? Non c’era già lì, in quell’incomprensione verso il libero respiro della cultura della storia, un’inconsapevole valorizzazione dei roghi hitleriani, un valutare l’arte secondo modelli già prefigurati, eliminando quella troppo divergente, già vergognosamente definita ‘arte degenerata?.
“Era sui fumetti che probabilmente mi costruivo faticosamente una coscienza della storia”, scrive ancora Eco. Ed è probabile che la misteriosa fiamma della Regina Loana avesse già in quei momenti cominciato a bruciare nell’ancora infantile fucina dello scrittore, per diventare addirittura un grande rogo, che ha ravvivato tra il millennio scorso e quello appena iniziato il focherello della nostra ormai agonizzante fantasia con i due potenti combustibili della cultura e della ragione.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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