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In verità il dominio dell’uomo sul bene sul male è pressoché insignificante e, quale che sia il suo sforzo, quale che sia l’estremo a cui giunge, non sposterà d’un capello il cammino del nostro vecchio pianeta. Grandi o piccoli, nello scorrere del tempo noi tutti spariremo e diverremo polvere. Polvere che non conosce né gioia né angoscia. Non ci sono principi al mondo più duraturi di questi: Amore, Verità, Dio. (Jaan Kross, Il pazzo dello zar).

Un romanzo storico avvolgente, elegante, conturbante, intrigante.

Il racconto di un aristocratico che vede la verità, ambientato in un’Estonia, in una Livonia, Lettonia, Lituania e Bielorussia di cui non si sa molto storicamente, nel diario di Jakob Mättik, che incarna il “terzo stato” di cui sogna il protagonista, il barone Timo von Bock. Timotheus von Bock è realmente esistito: nato nel 1787 in Livonia, oggi parte della Lettonia, e morto nel 1836, fu aiutante di campo dello zar Alessandro I durante la campagna di Russia di Napoleone e autore della proposta di una nuova Costituzione per cui scontò una lunga detenzione. Oggi rivive ne “Il pazzo dello zar”, di Jaan Kross.

Jaan Kross
Jaan Kross

Rinchiuso per nove anni nella fortezza di Schlüsselburg, questo brillante aristocratico e colonnello dell’impero russo si era macchiato di una ‘crimine’ imperdonabile, quello di essere un liberale, di non scendere a patti con i propri ideali rivoluzionari. E di averlo scritto allo zar Alessandro I, suo amico d’infanzia, al quale aveva giurato di dire sempre tutta la verità. Fedele fino alla morte a tale giuramento, Timo non aveva esitato a urlare contro l’oppressione, facendosi paladino dei valori inviolabili e sacrosanti della libertà e dell’uguaglianza, anche sposando una contadina, Eeva, e liberando molti suoi servi.

Come “un chiodo piantato nel cuore dell’impero”, il barone porta avanti la sua battaglia. Dichiarato pazzo, viene rinchiuso in una prigione dorata, dove gli è permesso di suonare il pianoforte, ma è privato di pensiero e libertà. Liberato in seguito e confinato con la famiglia nei suoi possedimenti baltici sotto stretta sorveglianza di spie governative, Timo continua a scrivere di quei suoi valori, di una nuova Costituzione che potrebbe illuminare il futuro di una grande nuova Russia, mentre il cognato ne conserva i manoscritti riportandone i contenuti su un diario che arriverà alla fine nelle mani del figlio del barone, Jüri, che al padre ha scelto lo zar. Tranne Jakob, nessuno conosce la reale ragione della prigionia di Timo, nemmeno l’amata Eeva, ma a un pazzo si può concedere molto, tutto, anche se la sua è saggezza nella follia (“vede, io sono pazzo”, dice Timo al signor La Trobe, amministratore dello zar giunto a sorvegliarlo, “e di conseguenza posso dire la verità”). Un uomo integro, il nostro Timo, che della promessa di rivelare allo zar sempre e comunque la verità ha fatto il suo credo e la sua ragione di vita. La voglia di cambiare il mondo, questa magnifica utopia.

Timotheus von Bock
Timotheus von Bock

“… O avete mai sentito parlare di Speranskij? O di certi professori? Per non nominare le migliaia di persone assassinate dai nostri sedicenti tribunali?… ed ecco che all’improvviso appare uno zar benedetto, capo della Santa Alleanza,… che memore della sofferenza di Cristo, rimette pietosamente il suo Impero nelle mani dei leccapiedi ed egli avventurieri; che possiede una collezione di gioielli così enorme che per essa siamo costretti a donargli persino la nostra ultima goccia di sangue; che di tutti noi nobili fa dei pagliacci o dei caporali; che dispone che per un dato giorno tutte le capanne dei nostri contadini siano trasformate in templi greci; che ordina di tenere solo cavalli che mangino avena quando a noi manca perfino la paglia; che proibendo tutti i libri nella nostra lingua, impedisce di fatto qualsiasi educazione domestica e costringe a mandare i nostri figli alle lezioni dei suoi piaggiatori o sotto il bastone dei suoi caporali…”. Parole forti, da far imperlare la fronte di sudore a chiunque le leggesse, righe potenti e sfrontate, da far impallidire o arrossire. Come ci si poteva rivolgere con parole simili ad uno zar? La verità, sempre la verità, questa unica regina del mondo. Quella che va guardata negli occhi, fissata, cullata, regalata, donata, perseguita fino in fondo.

Timo ingaggia una lotta a distanza con il sovrano, che tenta di “guarirlo” con ogni lusinga e persecuzione, in un confronto immenso e infinito fra intellettuale e potere, spirito libero e conformismo, voglia di cambiare e resistenza a farlo, fra due eroi tragici fatalmente legati da un’amicizia impossibile. Parole arroganti che tentano di scalfire e ferire il potere.

Jaan Kross, nato a Tallin in Estonia (terra di secolari invasioni e dominazioni straniere, sovietici, nazisti e ancora sovietici fino al 1992), con il suo arresto da parte dei tedeschi nel 1944 e i suoi successivi otto anni di prigionia nei gulag siberiani, ha dimostrato con queste righe immense che la Storia non si ferma, che i sogni dei sognatori sono destinati a essere sognati, ancora e di nuovo, e che, per quanto folli e a volte difficilmente realizzabili, possono dare dignità all’esistenza. Paladino della denuncia intellettuale, questo scrittore va conosciuto, senza alcun dubbio. Anche per la sua scrittura intensa, la sua tensione morale e una sottile e piacevolissima vena umoristica.

20151218145118_pazzo_DEFJaan Kross, Il pazzo dello zar, Iperborea, 2016, 433 p.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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