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“Ripartire dal territorio per un nuovo modello di sviluppo” è la sintesi di una lettura apparsa su l’Aratro, il mensile della Coldiretti di Ferrara.
Si parte dal made in Italy, dalla qualità delle produzioni, dal turismo con un nostro brand, poi le direttrici dello sviluppo sostenibile e le reti delle piccole imprese, per concludere che “da diversi anni nella nostra provincia – secondo Sergio Gulinelli – non si riesce ad essere partecipi dei grandi momenti che stanno ridisegnando il sistema… per tentare di valorizzare il made in Ferrara”.
Provo a soffermarmi su questi brevi appunti anche pensando a quanto è stato fatto nel grossetano, nella maremma toscana, nelle politiche agricole di quel territorio con l’elaborazione, nel lontano 2003 del professor Pacciani, della costruzione di un distretto rurale.
Oggi quella felice intuizione ed esperienza ha dato ampi e proficui risultati, basta andare sul posto, muovere alcuni passi e percorrere qualche itinerario, anche, se si vuole, navigando sul portale web.
Importanti, quindi, sono gli elementi costitutivi di un distretto: un quadro coerente di assi strategici, il sistema territoriale di qualità, il substrato della struttura sociale ed economica e, soprattutto, creazione di relazioni stabili con l’ispessimento dei rapporti per fare sistema.
Si parte con un “Tavolo verde” con tutti gli attori diretti e alcuni stakeholder, poi una cabina di regia, una governance, il dare metodo al progetto, l’attuazione di un patto territoriale generalista e con specializzazioni in agricoltura, pesca e turismo, le varie versioni dei programmi leader, i contratti di programma per l’agro-alimentare e i piani locali di sviluppo rurale.
Appare allora evidente che in questo modello di sviluppo si profila un nuovo soggetto protagonista, il sistema territoriale, che ha come collante una radicata identità culturale e una memoria storica assai viva.
Il Distretto, quindi, riannoda i fili dell’economia esistente per inserirli in modo sistemico in un modello di sviluppo in grado di potenziare l’economia di tutto il territorio: in questo senso si qualifica come modello di sviluppo endogeno, intersettoriale, sostenibile e integrato. Ma soprattutto, in quanto distretto, si caratterizza per la sua visione strategica che mette a sistema tutte le articolazioni del tessuto economico, civile, culturale.
All’interno del distretto, grazie all’uso di strumenti di concertazione, programmazione bottom up e alla promozione delle relazioni pubblico-privato, si riesce a creare una relazione sistemica tra progetti privati e pubblici e tra risorse private e pubbliche, e questo è l’avvio di un processo virtuoso capace di generare risorse aggiuntive per le imprese e per il sistema territoriale locale nel suo complesso.

Ho, volutamente, richiamato questo punto di vista – espresso in un convegno promosso da Accademia dei Georgofili e Studi Sviluppo Rurale – perché ben si attaglia anche quello spazio che la Coldiretti indica, nel made in Ferrara, e che trova difficoltà di apprezzamento negli interlocutori, nella politica e nelle istituzioni.

Che più di qualcuno pensi, ancora, che sia un sogno, una utopia irraggiungibile forse è nelle cose ferraresi, in una conservazione impossibile da schiodare, in una statica condizione sociale senza fine, anche se ci sono alcuni segni che fanno ben sperare.
Proviamo a pensare: le pere, le mele di pianura, le carote, l’aglio, i cereali, le produzioni ittiche di valle e di sacca, le singolarità dei nostri terreni, l’ambiente pedo-climatico.
E poi: l’agro-alimentare delle cooperative e dei grandi gruppi privati, i mercati contadini e le fattorie didattiche, la strada dei vini e dei sapori, la cultura e la civiltà contadina,
Ancora: i turismi della costa e il parco del delta, gli itinerari dei beni artistici e culturali del rinascimento, la destra Po, i tratti del Volano e l’idrovia, i piccoli milieu culturali e le tradizioni locali, i life natura e gli ambienti dell’agenda ventuno.
Un distretto quindi si può fare, ci sono i presupposti, le condizioni e le risorse, anche europee.
Basta uno sforzo ed una volontà.

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Enzo Barboni


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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