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Ritornando su “Il giovane favoloso” [vedi], il bellissimo film di Martone, ho molto apprezzato il commento di Valerio Magrelli su “La Repubblica”. Lo scrittore propone un inusitato paragone tra Leopardi e l’Uomo ragno, due super eroi solitari che si realizzano nel mito e nel simbolo del sacrificio e della salvezza. Non voglio commentare questo curioso ma non poi così bizzarro paragone. Ciò che invece riempie il cuore di speranza e d’emozione sta nel fatto di constatare l’enorme successo di questa opera presso un pubblico giovanile normalmente più attratto dalle situazioni dell’horror o dei vampiri innamorati o dei lucchetti sul ponte segno d’eterno amore.

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La locandina del film

La protesta di Leopardi (e uso questa bella definizione coniata dai più innovativi studiosi del poeta, Binni e Luporini, che ancora regge dopo decenni della sua formulazione) sembra scuotere la presunta indifferenza dei giovani e avvicinarli a un personaggio-poeta direbbe il grande Contini reale e nello stesso tempo simbolico visto e commentato attraverso due arti che in sé contengono il massimo di verità: la poesia e il cinema. Credo che la qualità dell’opera di Martone consista non solo nell’interpretazione critica del poeta di Recanati ma nella sua resa simbolica e filmica. Giacomo ovvero della scoperta della necessità della vita e dell’impegno (e non mi vergogno ad usare un termine che produrrà qualche brivido d’insofferenza presso i ‘colleghi’ accademici) nella social catena umana che spazza via ogni sentimentalismo e sospiro verso il destino dell’”infelice” per eccellenza, qui visto secondo il suggerimento di Magrelli. Come il supereroe che sconfigge i mostri provocati dal sonno della ragione. Tutto questo con un uso raffinatissimo dell’immagine giocata con riferimenti straordinari alle arti visive del neoclassicismo e del primo romanticismo. Come mi attestano due cari amici tra i massimi studiosi di quel periodo storico, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, che hanno offerto al regista e alla moglie, storica dell’arte, indicazioni figurative straordinarie. Dal riferimento palese a ambientazioni ‘Empire’ nelle strepitose immagini della Firenze qui descritta, tra le citazioni palesi a opere di Canova e di Foscolo o di Roma vista con gli occhi dei viaggiatori del “Grand Tour” o dei pittori della scuola di Posillipo per l’eruzione dell’Etna o della Napoli infernale, dove però il punto di debolezza del film sta nell’episodio di Giacomo al bordello con quel gioco del ‘s’agapò’ assai discutibile. Ma ciò che tiene è la robustezza del linguaggio filmico, anzi come si diceva una volta dello “specifico filmico”. Un’operazione che ricorda certe scelte di Antonioni per “Deserto rosso” o per “Blow Up” con le costruzioni del paesaggio non reale ma derivato dalla sua cultura artistica. Più delle sontuose messe in scena di Visconti a cui sembra talvolta ispirarsi Martone (e penso a “Morte a Venezia”).

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Il regista, Mario Martone

Insomma sempre più innamorato di quelle scelte e di quella dichiarazione artistica del film di Martone, sottolineo di nuovo la grande importanza e la scommessa vinta non solo dal regista ma di tutta l’équipe: dal grandissimo Elio Germano (e ai ‘supercilious’ che trovano grottesco il suo cambiamento fisico dovuto al progredire della malattia consiglio una maggiore informazione specifica ‘de visu’) ai comprimari (esclusa forse la troppo popputa Silvia), che hanno provocato e che provocano tanto entusiasmo nei giovani.

E a ragione un’insegnante protesta in una lettera aperta contro la discriminazione sociologico-culturale che intenderebbe separare la visione del film, adatta ai liceali e non invece a tutti i giovani studenti, qualsiasi scuola essi frequentino.
Da parte nostra non vogliamo essere di nuovo portatori, come purtroppo i tempi della contemporaneità politica inducono a sospettare, di una nuova e ben più pericolosa distinzione mediatica tra le diverse forme d’insegnamento. Ma per fortuna i giovani questo infido suggerimento lo snobbano e lo disprezzano.

di Mario Martone, con Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Valerio Binasco, biografico, 137 min., Italia, 2014

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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