Skip to main content

Con un titolo emblematico, “Generation Uphill”, l’Economist del gennaio scorso segnalava le difficoltà di una generazione che nonostante le opportunità – impensabili per le precedenti – rischia di vedere disperso un patrimonio di intelligenza e di risorse. In tutto il mondo sono 1 miliardo e 8 milioni i giovani tra i 15 e i 30 anni, circa un quarto della popolazione totale. Anche se le differenze tra i paesi sono ovviamente rilevanti la loro situazione è straordinariamente simile: sono cresciuti nell’era degli smartphone e all’ombra di un disastro finanziario globale; vivono la difficoltà di ottenere una buona istruzione, un lavoro stabile, di avere una casa e di farsi una famiglia.
Per certi aspetti i giovani non sono mai stati così bene: vivranno più a lungo rispetto a qualsiasi generazione precedente. Sui loro smartphone possono trovare tutte le informazioni immaginabili, godono di libertà che i loro predecessori avrebbero a malapena potuto immaginare. Sono anche più scolarizzati, i punteggi medi sui test di intelligenza sono aumentati da decenni in molti paesi, grazie a una migliore nutrizione e all’istruzione di massa.
Eppure, gran parte del loro talento è sperperato. Nella maggior parte dei paesi hanno almeno il doppio delle probabilità di essere disoccupati. Oltre il 25% dei giovani residenti in paesi a reddito medio e il 15% dei residenti nei ricchi sono fuori dall’istruzione/formazione e dall’occupazione. L’istruzione è diventata così costosa che molti studenti sono costretti ad accumulare debiti pesanti per ottenerla, d’altra parte il mercato del lavoro in cui stanno per entrare non è mai stato così competitivo. Anche la casa è costosa, soprattutto nelle grandi città globali dove le opportunità di lavoro sono migliori.
Per entrambi i sessi il percorso verso l’età adulta, dalla scuola al lavoro, al matrimonio e ai figli, è diventato più lungo e complicato. Molti giovani oggi studiano fino a 25 anni e formano famiglie più tardi in attesa di posizioni più stabili e sicure. Purtroppo, l’orologio biologico non si adatta a queste esigenze della vita lavorativa e le conseguenze sulla natalità sono pesanti.
Inizia ad emergere un conflitto inedito tra generazioni. Da sempre gli anziani hanno sostenuto finanziariamente i più giovani, all’interno delle famiglie i trasferimenti intergenerazionali scorrono quasi interamente dai nonni ai nipoti. Ma nei paesi ricchi il flusso ha già iniziato ad invertirsi, per i vincoli della spesa pubblica in larga parte dedicata alle pensioni e all’assistenza sanitaria.
Le democrazie faticano ad ascoltare i giovani e questi votano sempre più raramente. Solo il 23% degli americani di età compresa tra 18-34 ha partecipato alle elezioni del 2014, rispetto al 59% degli over 65. Nel 2015 in Gran Bretagna ha partecipato alle elezioni solo il 43% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, mentre ha votato il 78% degli over 65. In entrambi i paesi il partito favorito dagli elettori più anziani ha ottenuto una vittoria evidente. I giovani esprimono del resto un forte interesse per cause politiche, ma una mancanza di fiducia nei partiti politici. Sempre secondo i dati dell’Economist, in tutti i paesi i giovani sono delusi: solo il 10% degli intervistati cinesi ritiene che le prospettive di carriera dei giovani si fondino sul lavoro o le qualità personali e non sui legami derivati dalla posizione familiare.
Tutti i paesi, quindi, hanno bisogno di porsi il problema delle opportunità di futuro per i giovani. Se ciò non accadesse, i talenti un’intera generazione potrebbero essere sprecati.

Maura Franchi vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

tag:

Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it