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di Gianni Venturi

S’arriva a Roma in una mattina di sole e resti senza fiato: nessuna coda ai taxi fuori stazione Termini, un silenzio irreale. Chiedi di portarti all’albergo dietro Campo dei Fiori. La bellezza diventa sempre più struggente. Il pesciaiolo di fronte all’hotel ti guarda stranito e tu sali le scale del vecchio albergone costruito sul teatro di Pompeo. Sì proprio là dove hanno ucciso Cesare. Arriva Portia e andiamo a mangiare. Sono le una e il ristorante è vuoto. Ci portano un sacchetto di tela: è pieno di tartufi e non resisti; così ti fai le fettuccine con il tubero, ma il ristorante resta vuoto.
A Campo dei Fiori i pakistani ti offrono meravigliose tuberose e rose e ancora rose. La città è quasi deserta. I turisti non arrivano e non sai se sia per l’effetto Isis o perché l’Europa è diventata meta pericolosa per le altre parti del mondo. Gran parte dei programmi universitari americani a Roma come in altre città italiane non riescono a coprire i posti. Molte Università americane quindi dovranno chiudere l’anno prossimo.
Alle tre l’appuntamento è nei locali di Civita, l’associazione culturale che possiede la più straordinaria terrazza di Roma: di fronte a Palazzo Venezia e, sotto, il più alto concentrato di bellezza e di storia. Così i ricordi si affollano: le conferenze in quel luogo promosse da Carife e dalla Fondazione nella illusione convinta che quello era il compito e il destino della “nostra” banca. Impercettibilmente l’idea della bellezza vira nel suo contrario, in quella storia della bruttezza –storia e non più idea- narrata da Umberto Eco in un importante libro. Cominciano i conversari, le idee, le proposte. Siamo in tanti a misurarci sulla occasione del Centenario della nascita di Bassani: politici, studiosi, artisti. Tutti offriamo il nostro contributo a un progetto che proietterà la figura del grande scrittore nel mondo intero.
Ma il sole che accarezza i monumenti più belli del mondo sbiadisce e s’intristisce al ricordo di ciò che ha offeso “Frara” città del Worbas. Usciamo alle prime ombre mentre s’illumina il grande albero di Natale ( vero e non di vetro) di fronte alla maestà dell’Impero e ci affrettiamo alla Casa delle Letterature in Piazza dell’Orologio, un luogo amato dallo scrittore ferrarese. E si passa per la Chiesa Nuova e per via del Governo Vecchio mentre i ricordi tumultuano e vogliono uscire. Lì alla casa delle Letterature si celebra un pomeriggio dedicato alla Luminosa, la mia Elsa Morante. Figure note, vecchi amici e giovani studenti: ognuno di noi dovrebbe leggere una pagina, una lettera, un documento che riguarda Elsa. Io non leggo nulla: ricordo solo la mia schiavitù d’amore per chi ha cambiato la mia vita, la grandezza di un ricordo che non cessa di alimentare ciò che resta del giorno. Roma silenziosa e deserta: un’esperienza mai provata. Poi nelle Grotte di Pompeo ci raccontiamo momenti della storia che ci ha in qualche modo resi intrinseci non solo all’arte ma alla vita dello scrittore ferrarese.
E, implacabile la televisione, mentre ricerchi il sonno ristoratore, ti trasmette le ultime informazioni sullo scandalo delle quattro banche. Nemmeno nella tragedia riusciamo a mantenere il primo posto. Immediatamente scippata dalle vicende della banca dell’Etruria quella della banca ferrarese sembra farci fare la figura dell’allocco. Nel gioco al massacro rimaniamo buon ultimi: gabbati e mugugnanti. Ma silenziosi. Come sempre.
Ora alcune voci di protesta sembrano alzarsi a fendere la nebbia fitta che materialmente e moralmente sembra gravare sulla città estense. Ma lo sconcerto rimane. E il dubbio: che fare?
Nel frattempo la Freccia argentea appositamente presa per evitare la discesa agli Inferi a cui approdano quelle rosse spaccando il minuto giunge a Bologna. La scelta sibillina era duplice. O prendere quella precedente 5 minuti prima di questa che fermava a Rovigo e poi con un regionale veloce tornare a Frara, oppure, nel pensiero sembrava logico, salire su un meglio identificato Bologna-Ferrara che partiva di lì a poco e che ovviamente si fermava a tutte le stazioni. Tempo previsto 55 minuti. Esattamente lo stesso tempo previsto per attraversare l’Appennino da Bo. a Fi. Eppure nel lento rantolare del trenuccio in evidente difficoltà di percorso la mente annebbiata guarda fuori e vede sfilare la bruttezza somma di paesini un tempo fieri di una loro dignità estetica e ora sfigurati dalla bomba della crisi economica. Capannoni dismessi, sporchi, diruti creano una monotona processione appena vivacizzata dai cosiddetti artisti di strada. Tra una bruttura e l’altra qualche casale ancora mantiene la dignità. Dall’erba giallognola dei campi arati perfettamente una palma a pena svetta; direbbe il poeta.
Poi la bruttezza s’impossessa anche di quel poco che resta di un paesaggio storpiato dalla demenza umana e dall’ingratitudine di chi ha pensato alla natura come opaca risorsa senza anima e storia. Come mai ci siamo ridotti a vivere nell’inferno della bruttezza?
Qualche lacerto di campagna si vede vicino a Coronella, nome gentile e pieno di ricordi. Poi inesorabilmente entriamo nella bruttura della periferia dove inutili imponenti opere mostrano le lro finestre cieche, chiuse perché nessuno ci abita.
Continuiamo a vivere così e forse ci accontenteremo di discutere sull’albero di vetro o sulle casette tirolesi del mercato. Questo sì che appassiona e ci consola (?) per lenire il costante pensiero di ciò che abbiamo perduto oltre ai nostri risparmi: la bellezza.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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