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Non è tempo di Grecia, ma proprio per questo lo è. Il default, le code ai bancomat, i pensionati in lacrime, il destino incerto di un popolo non può passare sempre e soltanto sotto la lente dell’analisi economica. C’è anche la solidarietà tanto più che, nonostante le rassicurazioni del nostro governo, noi non possiamo dirci al sicuro. Data la situazione risulta naturale, persino doveroso, “cantare” la Grecia. Al dramma della sua gente si contrappone la bellezza delle sue isole. La mia preferita è Milos, nelle Cicladi. E’ l’estate che non finisce, la storia, la gentilezza di chi la abita. Galleggia sul mare blu, snella, assolata e, in ottobre, quando l’ho conosciuta, è quasi deserta. Proprio come nei sogni. Acqua specchiata e sabbia bianca, nera, rosa, dorata. E’ la tentazione dei geologi, il trionfo dei colori in natura innervati nelle sue rocce e dispersi nella sabbia delle spiagge.  In autunno l’isola riprende la sua identità, nei caffè di Tripiti si gioca a tabli, si discute ad alta voce, spesso di politica e ce n’è da dire. I milesi siedono al bar, sotto la pergola, tormentando con le mani una specie di braccialetto di pietre simile a un rosario grossolano. Aspettano la sera. Seppure in bancarotta hanno dalla loro un grande lusso: il tempo. Amaro certo, ma sicuramente più umano rispetto al nostro incedere affannato e poco proficuo. Chi arriva da queste parti ha 125 chilometri quadrati da esplorare per capire come il denaro non sia tutto, per respirare un’aria diversa e scoprire una terra ruvida, spazzata dal vento, coperta di ulivi e dagli arbusti della macchia mediterranea. Un’esplosione di profumi.

 

Con la Matiz su e giù per l’unico nastro d’asfalto dell’isola e per una mulattiera arrampicata sulla montagna, ho scoperto tanti mondi diversi. Un esempio? Baia di Agios Joannis, quando si offre allo sguardo è come vedere il paradiso. E’ il giusto premio per aver guidato ai margini di uno strapiombo a discapito delle sospensioni. Il consiglio è arrivare in aereo o in nave e affittare l’auto, in ottobre la spesa è low cost, adatta anche ai turisti di un fanalino di coda dell’Europa quali siamo noi. In autunno si dorme con pochi euro al porto di Adamas o nella raffinata Plaka, la capitale arroccata su un cucuzzolo dell’isola da dove il panorama è toccante. Non servono segnalazioni di hotel o di stanze in affitto, posti liberi ce ne sono a palate, solo l’imbarazzo della scelta. Quello che in agosto pagate 90 euro ne costa 40 in bassa stagione e i bagni, qualche volta, si fanno anche a Natale. E’ entusiasmante il panorama, ma anche la cucina casereccia delle taverne non è male, c’è l’ottimo Petrino a Zefira, Barko sulla strada che da Adamas porta a Plaka e, a metà via, il nome è mistero, ma fate conto di partecipare ad una caccia al tesoro, c’è un caffè-taverna, è proprio di fronte all’unico ufficio postale dell’isola, lo frequentano gli isolani, piatti del giorno, prezzi tranquilli e sapore di Grecia nostrana. Un’altra dritta, più per simpatia che per gastronomia: a Plaka, prima della piazzetta centrale, c’è la taverna Pharas, non la trovate sulle guide, è aperta tutto l’anno. Il gestore, ex marinaio di lingua Esperanto, serve  ai tavoli piatti di tradizione, ce ne sono due, al massimo tre al giorno, il titolare raccoglie in sé l’essenza del sorriso e offre l’uva del suo giardino: merita tutta l’attenzione possibile.

 

Poi ci sono le spiagge: Sarakiniko è speciale, sembra di camminare sulla luna, Triades è meravigliosa, un’infilata di baie da urlo e anche Gerontas, sabbia scura e rocce chiare, dice la sua così come Filiplaka. Tutte scomode da raggiungere, ma perfette da vivere. L’infinita Paleochori è scaldata in alcuni punti da polle di acqua calda, poco distante c’è addirittura un “bagno turco” naturale raggiungibile a nuoto, lo zolfo riempie la grotta e l’acqua del mare ribolle, un tuffo in un’era lontana, quando tutto doveva ancora cominciare. Dov’è? Fossi matta a svelarvelo, se siete viaggiatori, scopritelo da soli. Ah, ancora una cosa, portate a casa gli scarti del vostro pranzo e le cicche fumate, come ci si aspetta dalle persone civili. Viaggiare non vuol mica dire devastare, cribbio.

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Monica Forti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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