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Da: Giuseppe Vancini

La Riforma delle Camere di Commercio, che prevede la riduzione del loro numero con accorpamento di quelle con meno 75 mila imprese iscritte, sta creando divisioni tra le forze economiche della nostra provincia. Da oltre un anno le associazioni discutono sulla direzione cui guardare, ossia Romagna – quindi Ravenna – o via Emilia, quindi Modena, Bologna, Reggio. Come Confartigianato abbiamo sempre sostenuto questa seconda strada, nel rispetto della tradizione manifatturiera della nostra impresa. E con nostra, non intendo della Confartigianato, ma del territorio. Oggi pare che la maggioranza delle associazioni – seppure prese di posizioni pubbliche, purtroppo, negli ultimi tempi mancano – propenda per Ravenna, scartata dagli stessi enti camerali romagnoli. La ragione sarebbe che Modena non reputa Ferrara sufficientemente appetibile.
Eppure, un confronto vero, qui, è mancato. Non ricordiamo incontri, approfondimenti, confronti.
Non ricordiamo posizioni ufficiali da parte di Modena contro Ferrara. ll ragionamento ad oggi è: Ravenna è talmente debole che altri non la vogliono, Ferrara è talmente fragile che Modena non la prende in considerazione. Quindi cosa facciamo, uniamo due debolezze! E con quali risultati? Può essere questa una strategia di respiro, slancio, crescita economica? Secondo noi, no. I tempi sembrano maturi per prendere una decisione definitiva. Come Confartigianato, ripeto, siamo contrari a Ravenna, che ha una tradizione più turistica, quindi fatta di servizi, con competenze che attengono più alla Regione che alle Camera di Commercio. E che niente aggiungerebbe all’economia ferrarese. Siamo per la via Emilia, oltre che per vocazione manifatturiera, come detto e ripetuto, per questioni logistiche e culturali. Pensiamo alla realizzanda autostrada Cispadana, per il cui completamento a parole ci battiamo tutti da anni proprio a garanzia di collegamenti veloci e sicuri. O al Ducato estense annunciato dal Ministro Dario Franceschini, che comprende Ferrara, Modena e Reggio. Noi non smetteremo di spingere verso questa soluzione. Poi, ovviamente, i numeri decideranno. Se la scelta definitiva dovesse ricadere su Ravenna, auspichiamo che, oltre alla cariche, si guardi anche alla sede e si lotti per mantenere, come unica, quella di Ferrara.
Altrimenti perderemmo anche un punto di riferimento per i nostri imprenditori.

Giuseppe Vancini,
Segretario Generale Confartigianato

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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