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Con quella voce roca e un po’ strascinata Vasco Brondi racconta il mondo da un punto di vista che ogni volta ti colpisce e ti sorprende. Perché parla di cose comuni, che hai sotto gli occhi, ma ne mostra un lato che ti era sfuggito, un’angolatura sbieca come quella voce lì. Lo fa quando canta con il nome suggestivo e un po’ ingannevole di Luci della centrale elettrica, ma anche quando chiacchiera a ruota libera. Può essere in un’intervista tv con Daria Bignardi, sul palco di una sala, in strada o – adesso – tra gli scaffali di una libreria cittadina. La cosa strana è che, quando parla, ti incanta uguale a quando canta. Perché ha proprio lo stesso modo di descrivere fatti e situazioni, di farti entrare nei suoi pensieri, che è il tratto distintivo dei suoi testi; e fa effetto vedere come quel modo gli venga naturale anche mentre risponde e ti porta dentro i suoi circuiti mentali, nella stradina inclinata e attenta con cui attraversa la vita.

Il libro è “Anime galleggianti” e racconta un viaggio che è quasi dietro casa eppure inaspettato: tre giorni “dalla pianura al mare tagliando per i campi”. Cosa ci fanno due cantautori insieme su tre metri quadrati di alluminio che galleggiano sull’acqua del fiume? Cosa vedono e che emozioni scoprono dentro a questo canale del Po i rappresentanti emiliani di due generazioni diverse della musica d’autore? A raccontare il viaggio lungo uno dei luoghi-simbolo della terra padana sono appunto Vasco Brondi, 32 anni, famoso con il nome d’arte di Le luci della centrale elettrica, e Massimo Zamboni, 50enne tra i fondatori del mitico gruppo dei Cccp e poi dei Csi. Loro la definiscono una “crociera nel posto meno turistico del mondo”.

Il libro, fresco fresco di pubblicazione, viene presentato per la prima volta in un tour che parte da Ferrara, poco distante da dove inizia il viaggio che c’è dentro, nella città dove Vasco Brondi è cresciuto e poco lontano dalla “patria” di Massimo Zamboni, che è di Reggio Emilia e ne è sempre andato fiero. A chiacchierare con loro – davanti a un pubblico che mescola fan ventenni da concerto e parenti e amici di ogni età – è Paolo Foschini, giornalista del Corriere della sera, che a Ferrara ci è nato e torna qui con gli occhi di chi sta a Milano da anni, ma si ritrova perfettamente a suo agio sui temi della sua adolescenza, circondata dai dischi dei Cccp ancora ben custoditi nella vecchia cameretta.

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Vasco Brondi, Paolo Foschini e Massimo Zamboni (foto Giorgia Mazzotti)
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Il cantante Vasco Brondi con il giornalista Paolo Foschini alla libreria Ibs (foto Giorgia Mazzotti)
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Dialogo tra il cantautore e il giornalista nella libreria ferrarese (foto Giorgia Mazzotti)
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Vasco Brondi durante la presentazione del libro “Anime galleggianti”

Il fiume riporta tutti quanti qui, nel cuore della pianura da cui è partito il cammino di ciascuno: dei due musicisti, del fotografo e del giornalista.

“Vasco – scherza Foschini – scrive come il trentenne che è, parlandoti subito di quello che sta facendo. Massimo, invece, parte da un pochino più indietro, dallo storico incontro tra  papa Leone I e Attila il re degli Unni (anno 452, ndr) avvenuto in un piccolo paese tra Mantova e Ferrara. Perché è in questo posto, che si chiama Governolo, che più di mille anni dopo si rinnova il senso dell’incontro tra noi e i disperati che arrivano da chissà dove”. Dopo questo viaggio – ribatte il chitarrista e fondatore del gruppo punk rock degli anni ’80 – dovranno scrivere che in quel posto si sono incontrati anche Brondi e Zamboni… “Lo scriveranno a pennarello, però!”, commenta ridendo Vasco.

Viaggio memorabile dunque, questo del libro, perché attraversa quella regione che non esiste, che si chiama Polesine, dove i cartelli segnalano il passaggio dal Veneto alla Lombardia all’Emilia-Romagna. Ma la geo-politica non la vedi, e nemmeno la pianura, perché a mollo nel canale domina la natura e un’umanità fuori luogo e fuori tempo, dai tratti spesso esotici. Come a Castelguglielmo  (in provincia di Rovigo, ndr) – fa notare Zamboni – dove ci dicevano: ‘Quando arriverete lì, vi sembrerà di essere in Amazzonia’. E ce lo diceva uno che, in Amazzonia, non c’è mai stato; e non ci sono mai stato neanch’io.  Eppure, quando arrivi lì, hai davvero l’impressione di essere in Amazzonia, immerso in una vegetazione esuberante, persino con le palme che i barcaioli devono tagliare con il machete per farsi largo”. O come un altro signore – ricorda Vasco – che diceva che lui veniva da Pavia e che quando è arrivato da queste parti ha deciso di fermarsi. E lo raccontava con lo slancio di Gauguin, quando è arrivato in Polinesia! “Quando sei lì e ti guardi intorno – ammette il cantautore di Le luci della centrale elettrica – non capisci bene cosa ci sia di così speciale. Poi, come ha spiegato il fotografo che era con noi, Pier (Piergiorgio Casotti), ti rendi conto che attorno hai cose silenziose, che le riesci a vedere solo dopo che ti sei ben ripulito gli occhi e le orecchie. Allora sì, ti accorgi che sono speciali”. Più che i posti “è il movimento stesso che diventa importante, sentire l’odore che fa, l’effetto dell’aria sulla pelle”. Ecco allora l’incontro di due generazioni, la scoperta che folgora Vasco quando, ragazzino, inizia ad ascoltare i Cccp che ormai, forse, si erano anche già sciolti. Vasco spiega: “Da adolescente rimasi colpito dal fatto che i Cccp dicevano ‘Non a Berlino ma a Carpi’ e io non capivo bene in che senso… Così con un mio amico a sedici anni abbiamo preso un paio di treni e siamo andati a Carpi a vedere cosa c’era, dal momento che la consideravano addirittura meglio di Berlino. Abbiamo trovato una piazza enorme deserta, tantissima gente normalissima, nessuno vestito come noi, ma ci è piaciuta comunque. Forse alla fine abbiamo capito che più o meno era come stare a Ferrara e allora ci è venuto il dubbio che intendessero che i nostri posti andavano benissimo e che anche lì i desideri si possono realizzare. Anzi, sono posti cruciali perché non accade niente, e se vuoi che succeda qualcosa lo devi fare succedere tu”.

Eccolo, l’incanto del viaggio, che non importa tutto sommato dove arriva (e qui, la meta, era il mare di Porto Levante), ma quello che attraversa.

Anime galleggianti: dalla pianura al mare tagliando per i campi” di Vasco Brondi e Massimo Zamboni con fotografie di Piergiorgio Casotti, edizioni La Nave di Teseo, Milano, aprile 2016, 164 pagine, 15 euro

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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