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“Le persone credono solo a quello che gli racconti” (Steven Spielberg, “Catch me if you can”)

L’idea medesima di sala cinematografica sta rapidamente evolvendosi. Forse colpa delle nuove tecnologie, come l’utilizzo invadente dallo smartphone, per cui per molti andare al cinema corrisponde a chiudersi in una sala dove non “c’è campo”; oppure del luogo comune per cui si va al cinema quando non si ha niente da fare (il De Andrè di “buttarsi in un cinema con una pietra al collo” da “Verranno a chiederti del nostro amore”, da riascoltare…); o della dilagante pirateria, prontissima a proporre film in streaming sul web.
E ora si propone in modo sempre più aggressivo il Vod ossia Video on demand. Anche in Italia oramai le nostre distribuzioni, considerato l’ingorgo dei titoli in uscita, anche con dieci/dodici debutti nella stessa giornata, cominciano a utilizzare questo strumento. Pratica già molto diffusa negli Usa, dove i film a budget medio-basso trovano spesso nell’on demand uno sbocco di mercato che non troverebbero nel normale circuito delle sale.
E così una stanza di casa, attrezzata con un videoproiettore, oramai con costi molto contenuti, diviene una sala cinematografica, sottraendo al cinefilo l’onere dell’uscire di casa, parcheggiare, fare file etc.
Il difficile momento economico e sociale, il diffuso pessimismo, la difficoltà di individuare i titoli giusti in un mercato troppo ricco di titoli, con programmazioni oramai anche di una settimana, il timore di sbagliare nella scelta, i costi non proprio bassi di quello che per decenni era un rito, il film per la famiglia, portano ad un uso sempre maggiore di alternative alla classica sala.
Con buona pace nostra che, cresciuti nelle salette di periferia, continuiamo a pensare che la sala sia il luogo dove vedere cinema, condividere emozioni, discutere, insomma essere pubblico attivo e partecipe (evitando magari il morettiano dibattito con la casalinga di Treviso o con il pastore lucano).
Certamente è sempre più necessaria una promozione della cultura cinematografica, ad esempio nelle scuole, come da un precedente articolo uscito su questa rubrica [vedi], anche tenendo presente che, inevitabilmente, è sempre più accentuata la divaricazione tra il cinema che possiamo definire di “intrattenimento”, con i suoi effetti speciali e computer grafica, e il cinema inteso come prodotto culturale.
E comunque il vero cinema non morirà, ma continuerà attraverso imprevedibili e certamente affascinanti mutazioni a raccontarci le sue storie. E noi saremo lì, seduti nella sala buia…

TEST DI CULTURA CINEMATOGRAFICA
Stavolta il gioco è indovinare il titolo del film da una frase, con qualche piccolo aiuto…
Per le risposte clicca qui

1) “Io sono ancora grande, è il cinema che è diventato piccolo.” (film emblematico della diva decaduta)

2) “Chi salva una vita salva il mondo intero.” (su un eroe sepolto nel cimitero dei Giusti, il cui nome è scritto sulle scale mobili…)

3) “Prima di cambiare il mondo, devi capire che ne fai parte anche tu: non puoi restare ai margini e guardare dentro.” (film con una corsa a perdifiato dentro il Louvre, che cita Godard)

4) “E’ soltanto nelle misteriose equazioni dell’amore che si può trovare un’equazione logica.” (film sulla vita di un matematico e premio Nobel)

5) “Mi piacerebbe conoscere quello che ha inventato il Tavor: lui sì che fa stare bene la gente, lui sì.”( film italiano vincitore della Palma d’oro)
Risposta – La stanza del figlio

6) “Non ballare, un uomo non balla. Pensa a Schwarzenegger: cammina a stento” (uno dei primi outing gay del cinema con Kevin Kline)

7) “Non posso avere la nausea quando ascolto Ludovico Von… vi prego… Lasciate stare Beethoven, lui non ha fatto niente, ha scritto solo Musica!” (questo è facile…)

8) “Nun è che ce sei stata a letto…? No!!!…l’avemo fatto pe tera” (duetto Manfredi-Vitti nella Roma papalina)

9) “Io, guarda, non è che son contrario al matrimonio, che non son venuto… Solo, non lo so… Io credo che, in particolare, un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi tra di loro. Troppo diversi, capisci?” (riflessioni sull’amore di un comico napoletano, scomparso troppo giovane)

10) “Qualsiasi donna, al momento giusto, al posto giusto, con le circostanze giuste, farebbe qualunque cosa.” (amara riflessione di un pugile italoamericano)

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Massimo Piazza


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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