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Il noto critico d’arte Vittorio Sgarbi, in qualità di candidato per i Verdi a sindaco di Urbino, qualche giorno fa ha concesso un’intervista al giornale dell’Istituto per la formazione al giornalismo “Il Ducato online”. Esprimendo il proprio pensiero a proposito della proposta di rendere il centro storico accessibile attraverso l’uso di scale mobili e di ascensori gratuiti, il nostro ha dichiarato: “Mi fa schifo solo la parola. Una città civile non ha né ascensori né scale mobili. Solo quelle abitate da nani, zoppi e handicappati hanno le scale mobili. Se le devono mettere nel culo”.
Ora, non intendo entrare qui nel merito del tema “accessibilità”, ma soltanto fermarmi al giudizio su alcune espressioni usate nell’intervista, perché non penso che le parole volino, anzi, al contrario, credo che esse aprano delle strade, disegnino orizzonti, traccino futuri, abbiano una loro vita.
Da un’analisi sintetica del pensiero del critico ferrarese si può dedurre che se “nani, zoppi e handicappati” non possono vivere nella città civile ideale di Vittorio Sgarbi, dovrebbero stare in una città separata. Per questo la frase pronunciata da Sgarbi si può considerare offensiva perché il vocabolario della lingua italiana definisce l’insulto una “grave offesa ai sentimenti e alla dignità, all’onore di una persona, arrecata con parole ingiuriose, con atti di spregio volgare o anche con un contegno intenzionalmente offensivo e umiliante.” E’ inoltre una frase indiscutibilmente razzista perché il razzismo è “ideologia, teoria o prassi politica che, fondandosi sulla presunta superiorità di una razza sulle altre e sulla necessità di mantenere la purezza, favorisca o determini discriminazioni sociali”. Infine, la frase risulta essere decisamente volgare poiché sempre secondo il nostro vocabolario, volgarità è “mancanza di cultura, di educazione, di finezza e di signorilità, di elevatezza e di nobiltà spirituale. Modo di comportarsi o di esprimersi grossolano e offensivo del buon gusto e della decenza”.

Proprio ieri l’ufficio stampa del critico d’arte, in seguito alle polemiche suscitate dalla sua uscita verbale, ha diffuso una nota in cui, fra l’altro, è scritto: «Ogni mio riferimento agli “handicappati” e agli “zoppi”, ovviamente, non ha niente a che fare con la realtà fisica, e solo pensare che io volessi umiliare i disabili, mi offende. Le mie parole sono state volgarmente equivocate. E a offendere i disabili è chi li utilizza come argomento per imbastire una polemica inutile contro di me. Io alludevo all’infermità mentale di certi amministratori, mentalmente handicappati e zoppi, oltre che nani mentali, perché non hanno consapevolezza del patrimonio storico, artistico e architettonico di Urbino“.
Già! Con la più classica rovesciata, ecco che la frittata è rivoltata. Siamo noi che abbiamo volgarmente equivocato, e non lui che ha invitato qualcuno “ad infilarsi le scale mobili nel culo”. Siamo noi che abbiamo sbagliato e non chi ha invitato “nani, zoppi e handicappati” ad andarsene fuori dalle città civili o a restarsene in un angolino. Ormai viviamo in una situazione talmente paradossale, che le persone volgari riescono a dare del “volgare” a chi si indigna per la loro volgarità senza nemmeno vergognarsene. Del resto cosa potevamo aspettarci? Non è forse questo il Paese degli Equivoci e delle Smentite, dove la Volgarità diventa lo Stile dominante? Non è forse il nostro il Paese dove si offrono candidature politiche di importanza direttamente proporzionale alla volgarità del candidato? Non è forse l’Italia il Paese che offende la sua grande bellezza, accettando di farsi rappresentare da persone volgari che invece la trascurano.
Scriveva Vittorio Foa: “Il degrado del linguaggio non è un problema di parole, ma deriva da un comportamento pratico, cioè dall’esempio”. Colpisce sempre anche me constatare che non esiste l’esempio come categoria di giudizio del proprio e dell’altrui comportamento. Eppure, dovrebbe essere così emotivamente naturale e razionalmente umano trarre le proprie conseguenze dopo aver osservato, nelle persone, lo spazio che c’è tra il dire e l’essere, la distanza che esiste tra l’apparenza e l’essenza. Non mi aspetto certo che proprio chi ha messo questo Paese alla rovescia si impegni per raddrizzarlo, spero invece che tutti coloro che sentono forte l’odore pesante della volgarità, decidano di deodorarlo offrendo un esempio limpido di un bel modo di essere, di fare e di far politica.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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