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Da Organizzatori

L’Italia è una repubblica fondata sull’arte e la bellezza, si potrebbe perfino affermare che è una repubblica fondata e rifondata dagli artisti. Ad Assisi, in una delle volte della Basilica Superiore, Cimabue ha scritto Ytalia a margine di una rappresentazione di città, sicuramente Roma, nella quale si riconoscono alcuni edifici: Castel Santangelo, forse San Pietro o San Giovanni in Laterano, il Pantheon, il Palazzo Senatorio e la torre dei Conti. La città eterna, vista dall’alto e racchiusa entro la cerchia di mura, rappresenta per quell’artista una primissima affermazione dell’esistenza della civiltà italiana, a cui guardare, di cui sentirsi parte e farsi promotore. Con quella segnaletica, Cimabue sancisce che i confini nazionali –siamo tra il 1280 e il 1290 – sono prima artistici che politici, e che l’identità nazionale è fatta di cultura classica e umanistica, di bellezza pagana e spiritualità cristiana.
In fondo poco è cambiato nel corso dei secoli di massimo splendore, e fino al Novecento. In tal senso, all’interno della comunità artistica internazionale, l’arte italiana – da Giotto a Piero della Francesca, da Michelangelo a Caravaggio, e da questi fino ai Futuristi e oltre – ha fatto scuola, è stato il modello per il mondo intero, perché nei nostri manufatti artistici si è potuto apprezzare il perfetto equilibrio di classicità e anticlassicità, di eclettismo e purismo, d’invenzione e citazione, d’immanenza e trascendenza.
Partendo dalla citazione medievale di Cimabue, e in concomitanza con lo svolgimento della 57º Biennale di Venezia, periodo di massima attenzione intorno al contemporaneo nel nostro paese, la città di Firenze ospita – sino al 1 ottobre – ‘Ytalia’, una imponente mostra collettiva sull’arte italiana contemporanea ideata e curata da Sergio Risaliti. La rassegna organizzata dal Mus.e, coinvolge diversi luoghi del paesaggio fiorentino, ‘Ytalia. Energia Pensiero Bellezza’ si dispone in un paesaggio architettonico nel quale gli echi storici si sovrappongono per accumulo, ponendosi nel solco di quell’“anacronismo delle immagini”, per citare lo storico dell’arte e filosofo francese Georges Didi-Huberman, che ci porta a intendere questo percorso fiorentino non tanto come un palcoscenico, ma come una stratificazione di memorie, di corrispondenze e di analogie, di visioni che si dispiegano tra assonanze e differenze concettuali. Muovendo dai bastioni di Forte Belvedere, dove è allestito il monumentale scheletro ‘Calamita Cosmica’ di Gino De Dominicis , allineato idealmente con la cupola di Santa Maria del Fiore, si passa alle opere concepite appositamente per questa occasione espositiva, come quelle di Marco Bagnoli, Remo Salvatori, Giovanni Anselmo, Giulio Paolini e Nunzio, oppure già note ma riproposte in allestimenti inediti, quali ‘Lo spirato’ di Luciano Fabbro o ‘Particolare’ di Giovanni Anselmo nella cappella Pazzi a Santa Croce.
Un ‘Senza titolo’ di Jannis Kounellis è proposto a Palazzo Vecchio, mentre ‘Elegia’ di Giulio Paolini è presentata nella sala di Venere alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, dove è esposta la ‘Venere Italica’ di Canova. Un quadro di Domenico Bianchi è invece collocato nella cornice lasciata libera dalla ‘Madonna dell’Impannata’ di Raffaello ora in restauro. Nella sala delle Nicchie sono visibili le ‘Mappe’ di Alighiero Boetti ed al secondo piano alla Galleria d’arte moderna, le opere di Mario Merz. La fontana del Nettuno del giardino di Boboli accoglie ‘Deriva’ di Mimmo Paladino e lo stesso artista espone nell’albertiana cappella Ruccellai contigua alla Chiesa di San Pancrazio (Museo Marini). Al Museo del Novecento, infine, si assiste a un inedito confronto tra le opere di due artisti decisivi per le vicende dell’arte non solo italiana, Alighiero Boetti e Gino De Dominicis.
La mostra quindi non ha un taglio storico ma cerca di dare l’occasione di scoprire le opere in ‘connessione’ con il contesto e con le storie, nel divenire delle poetiche degli anni Sessanta fino a quelle realizzate site-specific di oggi. In un evolversi eccentrico di confronti e relazioni dialettiche che si rinnova con la proposta espositiva. Nell’insieme del progetto emergono alcuni tratti comuni, valori condivisi, e sostanziali differenze, tra ispirazioni e processi formali, come situazioni peculiari della storia artistica italiana, in cui individualismo e policentrismo predominano a siglare ogni più esemplare sperimentazione, ogni più singolare ricerca.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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