Skip to main content

 

“Non siete altro che degli assassini” grida rivolto allo schieramento della polizia in assetto antisommossa che blocca la strada. “Voi sparate, è facile eh?”, continua, alzando il braccio. «Ma noi non abbiamo armi, non abbiamo altro che pietre».

Il frame in bianco e nero che apre il film è un estratto del telegiornale andato in onda in tutta la Francia il 7 aprile 1993. In televisione venivano trasmesse le immagini di violenti e brutali scontri tra polizia e manifestanti durante la notte tra il 6 e il 7 aprile 1993. Le proteste scoppiano in seguito all’omicidio di Makomé M’Bowolé per mano dell’ispettore Pascal Compain. Il giovane ragazzo Zairese di neanche 18 anni era stato fermato la notte precedente con l’accusa di aver rubato delle sigarette con il fine di venderle. Viene arrestato e interrogato per tutta la notte . Sono circa le 6 del mattino quando, minacciato dallo stesso ispettore, viene raggiunto da un colpo di pistola alla testa sparato a bruciapelo ‘erroneamente’.

Da questo episodio il giovane regista ventisettenne Mathieu Kassovitz, parigino di origini ebraiche, decide di girare La Haine. un film iconico che ha segnato intere generazioni di giovani. Esce nel maggio del 1995 e nello stesso anno vince il premio per la miglior regia al 48° festival di Cannes.

Per chi è interessato o non l’avesse mai visto, ecco il film completo nella versione in italiano:

Dopo l’immagine sgranata di quell’uomo che urla, dopo il titolo – La Haine – in bianco su nero come il fulmine di uno sparo riempie lo schermo, una voce fuori campo inizia a parlare:

È la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Il tizio, man mano che cade, si ripete senza sosta per rassicurarsi: «Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui… tutto bene». Ma l’importante non è la caduta. È l’atterraggio.

A parlare è Hubert – interpretato da Hubert Koundé – uno dei tre personaggi protagonisti del film insieme a Vinz (Vincent Cassel) e Said (Saïd Taghmaoui). Hubert è un nero – noir – che come gli altri due vive nei banlieue parigini. Tra i tre quello che sicuramente sembra essere il più maturo, con una visione più razionale della società, mossa non solo da odio ma anche da rammarico e voglia di cambiamento, più che di vendetta. Sarà lui a pronunciare una frase chiave per la lettura del film, in una scena altrettanto importante per il regista: La haine attire la haine. L’odio attira l’odio.
Hubert è cosciente della catena che l’odio provoca, e proprio per questo cerca di spezzarla cercando di non farsi dominare dal desiderio di vendetta nei confronti di società e polizia. Invece Vinz, giovane ebreo, è iniettato d’odio, brama la morte di un poliziotto per ‘pareggiare i conti’, si dice pronto a sparare con una pistola trovata durante il tumulto degli scontri notturni. Said, ragazzo di origine arabe, tra i tre sembra quello più ingenuo, irrequieto ma incosciente, convinto prima a seguire il grido di rabbia di Vinz e successivamente rivisto a concordare con il saggio Hubert.
L’odio di cui tanto si era riempito la bocca Vinz ha l’occasione di esplodere quando nella notte parigina i tre incontrano un gruppo di nazi che se la prendono con Hubert ‘il negro’. Con la pistola puntata alla testa del nazi Vinz tentenna, provocato anche dalle parole dello stesso Hubert, che dalle sue spalle non esita a parlare:
Spara, spara, spara! Porca puttana, spara! Di poliziotti buoni ce ne sono, ma un nazi buono è un nazi morto! Spara porca puttana!

Vinz non ce la fa la violenza non esce dalla canna della pistola, ma sotto conati di vomito.
Hubert l’ha convinto. L’odio chiama solo altro odio. Tornati alle prime luci della mattina nel proprio quartiere, Vinz depone le armi e lascia la pistola nelle mani dell’amico più saggio, considerandolo più capace di portare un tale fardello. 

Sono le 6 del mattino, è la fine del film.
I tre si salutano e Hubert si incammina sulla sua strada. Nel giro di due minuti arriva una volante della polizia. Gli ‘sbirri’ scendono e afferrano Vinz e Said, sbattendoli contro la macchina.
Hubert ha appena il tempo di girarsi, quando uno dei tre poliziotti, vecchia conoscenza dei protagonisti, estrare la pistola e minaccia Viz.
Esplode un colpo a bruciapelo in testa al giovane ragazzo ebreo.
Hubert torna sui suoi passi, a terra il corpo esamine di Vinz, estrae la pistola e la punta in faccia al poliziotto che ha sparato.

Lo schermo si oscura, echeggia un colpo di pistola e di nuovo la voce fuori campo: “È la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Il tizio, man mano che cade, si ripete senza sosta per rassicurarsi: «Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui… tutto bene». Ma l’importante non è la caduta. È l’atterraggio.”.

La caduta che, metaforicamente, sta compiendo la società non si è ancora arrestata. Non siamo ancora atterrati. E sebbene consapevoli di cadere, cerchiamo di rincuorarci dicendo ‘fino a qui tutto bene’.
Nel film i giovani della periferia Parigina hanno un futuro preciso: criminali non per scelta, violenti perché cresciuti nell’odio di chi governa, violenti e scontrosi come la società che li emargina.

Oggi a precipitare siamo tutti noi, tutti i giovani. Abbandonati a noi stessi, con un futuro che non esiste, studenti senza prospettive se non quelle di essere sfruttati, di doversi accontentare, di dover chinar la testa e chiudere gli occhi per sopravvivere.
La crisi di prospettive giovanili porta i ragazzi alla sfiducia nel società e politica, psicologicamente insufficienti e sofferenti. Ne è un esempio come ormai è normalizzato l’uso di psicofarmaci in ragazzi di giovanissima età.

Questa caduta pare inarrestabile. Che alternative abbiamo allora?
C’è chi ci prova da solo, asseconda la caduta e si allinea a logiche individualiste per cui mors tua vita mea.
C’è chi invece crede che per arrestare la caduta, o decidere dove atterrare per farsi meno male, sia necessario creare una comunità forte e consapevole. Creare una comunità vuol dire rifiutare la competizione che vige in questa società, vuol dire cercare di creare un’alternativa per il futuro.
Per un futuro migliore è però necessario lottare nel presente. L’alternativa non è sempre facile da vedere, talvolta lottando ti senti come Don Chisciotte contro i mulini a vento, ma è l’unica alternativa per spezzare le catene dell’odio ed aspirare a una società giusta ed equa per tutti.

tag:

Filippo Mellara

Abito a San Lazzaro (BO) e sono uno studente universitario di scienze della comunicazione. Impegnato socialmente nel cercare di creare un futuro migliore, più equo e giusto per tutti. Viaggiatore nel mondo fisico e spirituale, ritengo che la ricerca del sé sia anche la ricerca del NOI. Cresciuto tra Stato e Rivoluzione e Bertolt Brecht.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it