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Da: Associazione Musicisti di Ferrara

Giovedì 23 gennaio 2020 alle ore 21,00 nell’aula magna Stefano Tassinari della Scuola di Musica Moderna di Ferrara in via Darsena 57 verrà presentato il libro di Giorgio Rimondi “Nerosubianco,Fenomenologia dell’immaginario jazzistico” (Arcana)

a seguire momento musicale con Organic Trio (Massimo Mantovani tastiere, Roberto Formignani chitarra, Roberto Poltronieri batteria, l’ingresso è libero.

L’incontro fa parte di un mini ciclo di presentazioni letterario musicali organizzato da AMF dal titolo Nero su Bianco.

“Ho letto Nerosubianco con morbosa curiosità durante due lunghi viaggi aerei Parigi-Santiago-Parigi, trovandolo davvero interessante. Tra le nuvole ho sfogliato queste pagine e mi sono divertito a scoprire particolari insoliti, immagini curiose e storie di cui non sapevo nulla. Allora ho pensato che un libro come questo mancava. Così ho accettato volentieri l’invito a scriverne qualcosa. Ma piuttosto che a una lunga prefazione ho pensato a una breve nota introduttiva, in quanto il lavoro di Giorgio Rimondi è di per sé ricco ed esaustivo. Perché racconta un pezzo di vita del jazz attraverso il mistero di una foto, lasciando così al lettore la libertà di immaginare altre storie”.

Con queste parole Paolo Fresu, uno dei maggiori jazzisti italiani, inizia la sua nota introduttiva a Nerosubianco. Fenomenologia dell’immaginario jazzistico, un libro che Giorgio Rimondi ha pubblicato per le edizioni Arcana di Roma (pp. 144, euro 16,50). E come precisa lo stesso Fresu, anche se affronta il jazz a partire da alcune immagini fotografiche si tratta indubbiamente di un libro musicale, sia per l’argomento scelto sia per come viene trattato.

Da un punto di vista storico, infatti, la nostra conoscenza del jazz si basa essenzialmente sull’esistenza degli archivi, siano essi sonori, bibliografici o fotografici. E se pure sappiamo che questi tre livelli tendono a influire gli uni sugli altri, determinando le modalità della nostra ricezione, è abbastanza insolito che un libro decida di farli cortocicuitare, incrociandoli e sovrapponendoli gli uni agli altri.

Eppure è proprio questa la sfida del libro di Rimondi: passare dalle immagini ai contenuti storici, da questi alla cronaca, quindi ai temi estetici e a quelli sociali, utilizzando le immagini come se fossero suggestioni narrative, spunti per costruire racconti utili a ripercorrere (e ripensare) il senso della storia del jazz. Giocando sull’ambiguo legame che unisce la fotografia a quel microtesto che va sotto il nome di “didascalia”, a cui solitamente è consegnato il compito di “chiarire” il senso delle immagini, l’autore si infatti prende la libertà di dilatare le didascalie fino a trasformarle in piccoli racconti, ognuno dei quali parte da una specifica immagine (o da una sequenza di immagini) per cercare di delineare l’orizzonte di un più ampio immaginario.

L’idea di fondo, quella che sorregge il progetto dell’autore, si collega infatti alla convinzione che insieme alla storia della musica il jazz abbia saputo rinnovare anche la nostra visione del mondo, e dunque il nostro immaginario. E non c’è dubbio che l’immaginario novecentesco sia stato influenzato dalle fotografie, e naturalmente anche da quelle jazzistiche, ovvero dai ritratti dei grandi interpreti del jazz: Louis Armstrong, Charlie Parker, Duke Ellington, Billie Holiday…

Del resto alcuni dei pensatori più sensibili lo avevano capito già all’inizio del XX secolo: “Gli analfabeti del futuro non saranno quelli che non sanno scrivere”, osservava infatti Walter Benjamin, “ma quelli che non capiscono l’importanza della fotografia, l’importanza delle immagini”. Poiché come scrive Rimondi alla fine del primo capitolo, dedicato al mitico trombettista Buddy Bolden, “Le immagini chiedono sempre di essere pensate. Anche quando sembra il contrario”. Per questo nella postfazione al volume, intitolata Dall’immagine all’immaginario, riflettendo sull’importanza della fotografia anche in ambito jazzistico egli aggiunge queste parole:

Pensare le immagini in relazione alla conoscenza significa accettare che esse orientino la nostra vita e la nostra riflessione, producendo quell’“irruzione del vedere nel pensare” di cui parlava la filosofa María Zambrano.

Non si tratta solo di una bella metafora, ma forse della condizione stessa del pensiero contemporaneo. Che non può più permettersi di ignorare le questioni sollevate dalla pratica fotografica.

Il libro si divide in dieci capitoli, ognuno dei quali dedicato a un musicista, a un autore o un/a fotografo/a che hanno avuto rapporti con la musica.

Questo l’elenco: Charles “Buddy” Bolden (Archeologia della visione); Ernest Belloq (L’immagine ferita); Wanda Wulz (Ritratto in jazz); Cole Porter (Il signore della melodia); Nat King Cole e Frank Sinatra (Fly Me to the Moon); Billy Strayhorn (L’ombra del nome); Jack Kerouac (The Beat Goes On); Theonious Monk (Morfeo Negro); Miles Davis (Gli occhi dello sciamano); Val Wilmer e Ornette Coleman (Costruzione dell’immagine).

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