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da: Società Filarmonica di Voghenza APS
Gentile Redazione,

a nome della Filarmonica di Voghenza – e ringraziando l’assessore alla Cultura di Voghiera per la collaborazione al comunicato stampa di cui sono autore – invio testo (con alcune foto) relativo al centenario dalla scomparsa di Maria Waldmann. Artista di grande talento, ferrarese d’adozione dopo il matrimonio col conte Galeazzo Massari.
La Waldmann fu voce verdiana per eccellenza, l’Amneris di Verdi, amica e confidente del maestro fino alla morte di lui. Ci è parso doveroso – essendo musicisti e avendo la Waldmann quale “vicina di casa”, Villa Massari è giusto di fronte alla sede della nostra associazione – ricordarla a un secolo dalla morte: avvenuta il 6 novembre 1920.
Mi auguro che questo nostro ricordo possa essere condiviso – seppur brevemente e con tutti i tagli necessari – nei vostri spazi. L’idea della Amministrazione comunale di Voghiera – come anticipato dall’assessore alla Cultura Ganzaroli – è creare in un prossimo futuro un premio dedicato proprio a Maria Waldmann.
Gaia Conventi
per Filarmonica di Voghenza e Scuola di Musica Voghenza
Maria Waldmann (1876) – Archivio Storico Ricordi

Maria Waldmann come la mitica Thule: conosciuta, ammirata e perduta, da molti incredibilmente
dimenticata. Qualche cenno su Wikipedia, accanto al nome di Giuseppe Verdi che in lei vide la sua
ideale Amneris. Il mezzosoprano verdiano per eccellenza e per sempre Amneris, anche nelle lettere
amichevoli che Maria e Verdi si scambiarono per anni. Maria Waldmann grande interprete
dell’opera del Maestro di Busseto, in seguito contessa e duchessa Massari, grazie al matrimonio con
Galeazzo Massari.
Una vita dedicata al teatro, al canto, alle opere verdiane e infine alla famiglia, agli affetti. Senza
scordare quel piccolo teatro – un vero gioiello! – che le sopravvive a Villa Massari – a Voghenza,
via Provinciale 69 – e che porta il suo nome. Mirabile scrigno in cui sembra di poterla ritrovare,
quasi l’ambiente respirasse i grandiosi successi della sua madrina.
Maria Waldmann nacque a Vienna il 19 novembre 1845, in una famiglia della buona borghesia dove
la musica si faceva per diletto, per passione, dove il padre suonava il violino e la sorella Carina
Catharina la cetra. Marie – divenne Maria quando si trasferì in Italia – a quindici anni si iscrisse al
Conservatorio dell’Imperial Regia Società degli Amici della Musica di Vienna. A diciassette anni,
grazie alla splendida voce e alla cura meticolosa nella preparazione musicale, fu nominata membro
dell’Opera di Corte. Non paga dei risultati raggiunti in patria, dopo aver conquistato il pubblico di
Vienna e delle maggiori città tedesche e olandesi, Maria Waldmann decise di perfezionarsi al
Conservatorio di Milano, sotto la direzione di Francesco Lamperti. Lamperti fu Maestro di canto dei
maggiori talenti dell’epoca, tra loro anche Teresa Stolz, che la prima dell’Aida consacrò come
soprano di indubbia grandezza.
La voce e le doti interpretative di Maria Waldmann portarono l’artista a girare il mondo, eppure la
sua carriera italiana partì da una piccola cittadina: la nostra Ferrara, era il 24 aprile 1869. La rivista
Il mondo artistico di Filippo Filippi descrisse la sua interpretazione di Fede nel grand opéra Il
Profeta di Giacomo Meyerbeer con toni entusiastici: «La signora Waldmann è un cannone rigato.
Le note escono dal suo petto come da un mortaio di bronzo. Alla potenza della voce del più puro e
limpido metallo accoppia uno slancio drammatico irresistibile. La parte di Fede non poteva meglio
essere interpretata. Brava signora Waldmann: voi avete inaugurato assai bene sulle scene italiane la
vostra splendida carriera di artista, ed il vostro battesimo è stato glorioso. Altro cielo, maggiore del
nostro, vedrà fra poco rifulgere quest’astro. Noi dovremo accontentarci di guardare il luminoso
solco che lascerà dietro di sé con la sua scomparsa».
Ma noi sappiamo che quello di Maria a Ferrara non fu un addio, soltanto un arrivederci. Nel
frattempo però quel successo le procurò numerosi contratti, e fu proprio Bartolomeo Merelli –
impresario, librettista e sostenitore di Giuseppe Verdi fin dagli esordi come compositore – a
scritturarla per i teatri di Mosca e Varsavia. E poi la Scala di Milano e il Comunale di Trieste, fino a
divenire Amneris nella seconda rappresentazione europea dell’Aida, nel 1872: ruolo che più d’ogni
altro le regalò applausi e fama, l’Amneris per eccellenza, l’Amneris di Verdi.
In quell’occasione conobbe il Maestro, tra i due nacquero amicizia e stima, sentimenti che
perdurarono per decenni. Giuseppe Verdi ebbe una venerazione artistica per Maria Waldmann,
riconoscendo in lei immenso talento e rare doti interpretative: «Non credevo mai che quella tedesca
lì sarebbe stata la mia interprete ideale» ebbe a esclamare il Maestro.
Nel 1872 Giuseppe Verdi, Giuseppina Strepponi – la sua seconda moglie – e il soprano Teresa Stolz
condivisero la stagione artistica di Carnevale e Quaresima al Teatro San Carlo di Napoli; la lunga
permanenza partenopea cementò la loro amicizia, prova ne sono le tante lettere che intercorsero tra
loro fino alla scomparsa di Verdi, nel 1901. L’ultima lettera di Giuseppe Verdi a Maria Waldmann è
datata 22 dicembre 1900, alla morte del Maestro l’autografo di quella missiva fu donato dalla
Waldmann in persona alla Biblioteca di Ferrara.
Nel 1874 Verdi volle Maria Waldmann accanto a sé nella memorabile esecuzione della Messa da
Requiem a un anno dalla morte di Alessandro Manzoni: il 22 maggio nella Chiesa di San Marco, a
Milano. Seguirono repliche e una grande tournée europea. Ma nel 1876, dopo tanti successi, Maria
Waldmann decise di lasciare le scene: nel settembre di quell’anno sposò infatti a Torino il Conte
ferrarese Galeazzo Massari Zavaglia, divenuto poi Duca nel 1882 e Senatore del Regno d’Italia nel
1891. I due forse si erano conosciuti proprio sette anni prima, al debutto italiano di Maria
Waldmann al Teatro Comunale di Ferrara, dove i Massari – come gran parte delle famiglie più in
vista – erano proprietari di un palco. Nell’autunno del 1878 nacque il figlio Francesco.
Maria Waldmann e il marito trascorsero la vita tra la casa di città – il palazzo in Corso Porta Mare a
Ferrara – e la villa di campagna, a Voghenza. Maria Waldmann, poco più che trentenne, entrò a far
parte di una ricca e importante famiglia nobiliare italiana ma rimase legata a Verdi che in lei vide la
perfezione adamantina dell’artista. Perse l’amico Giuseppe Verdi nel 1901, l’amato marito Galeazzo
nel 1902, si spense il 6 novembre 1920. Un secolo fa.
Ricordarla e ricordarne il talento artistico è dovere della sua gente, di quella Voghenza dove tanti
anni ha trascorso come nobildonna. Dove ancora c’è il piccolo teatro che porta il suo nome e che
come uno scrigno accoglie i ricordi di una carriera strepitosa, dell’arte ai suoi massimi livelli. Lì,
dopo aver lasciato la carriera, Maria Waldmann continuò a esibirsi in forma privata e in concerti di
beneficenza.
In occasione del centenario della sua morte, l’Amministrazione comunale di Voghiera e la
Filarmonica di Voghenza – da sempre legate a Villa Massari e alla cultura musicale del territorio –
la ricordano con affetto. «Sono orgoglioso di essere un musicista e di vivere nel paese che ha
accolto Maria Waldmann, il suo talento e la sua cultura musicale» spiega Emanuele Ganzaroli,
assessore alla Cultura del Comune di Voghiera e clarinettista. «Già nel 2016 la Filarmonica di
Voghenza, la Scuola di Musica di Tresigallo e gli alunni della Scuola Media di Voghiera –
coadiuvati dall’Amministrazione comunale di Voghiera e dall’assessore regionale Patrizio Bianchi –
tennero un concerto verdiano a Villa Massari, riaffermando la stretta correlazione tra il compositore
e la nostra comunità. Oggi tributiamo i giusti onori a Maria Waldmamm, con l’impegno di dedicarle
in futuro un premio speciale rivolto ai nostri giovani: artisti di un Paese in cui l’arte e la cultura
devono tornare a essere protagonisti».

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Riceviamo e pubblichiamo


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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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