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6 Giugno 2014

Abbasso il Re

Tempo di lettura: 2 minuti


di Salvatore Billardello

Juan Carlos di Borbone, eletto re di Spagna da Francisco Franco nel 1975, nei giorni scorsi ha deciso di abdicare. Come sta reagendo la Spagna? La vicenda di Juan Carlos assurto al trono il 22 novembre 1975, conosce una pagina particolarmente significativa sei anni più tardi, il 23 febbraio 1981, ricordato dagli spagnoli come “23-F”. In quella data il colonnello della Guardia Civil, Antonio Tejero, irrompe armato nell’aula del Congresso, la camera bassa del Parlamento di Madrid, con 200 guardie e poliziotti e tiene in ostaggio i deputati per 22 ore. Ed è proprio lui, il monarca Juan Carlos, a salvare la democrazia, con un discorso in diretta televisiva nel quale denuncia il tentativo di colpo di Stato e si pone come garante della Costituzione del ’78.
La popolarità del re in quel momento è all’apice: agli occhi degli spagnoli, Juan Carlos diventerà colui che traghetta il popolo dalla dittatura alla democrazia. Un consenso quasi pieno che dal duemila in poi ha conosciuto punti acuti di crisi, culminati nella crisi immobiliare del 2008 che ha colpito il Paese e nell’ancor più grave scandalo finanziario che nel 2010 ha visto coinvolti l’infanta Cristina e il genero Inaki Urdangarin in un giro di fondi neri e tangenti. Per tacere delle infinite gaffe coniugali e istituzionali in cui l’anziano e malfermo re di Spagna è precipitato: lo stemma monarchico spagnolo si è col tempo decisamente appannato.

A poche ore dall’annuncio dell’abdicazione fatto in diretta tv del premier Mariano Rajoy, in migliaia sono scesi nelle piazze spagnole per chiedere l’abolizione della monarchia e il ritorno a una più moderna Repubblica. Si innescherà a breve un complicato iter parlamentare che porterà con ogni probabilità il figlio Felipe a diventare monarca entro la metà di giugno, ma sarebbe bene che le istituzioni tenessero in seria considerazione il malcontento spagnolo, espresso nelle strade sventolando con veemenza le bandiere della Seconda repubblica spagnola, riportando alla mente quella fugace ma intensa esperienza che andò 1931 al 1939. I risultati delle ultime elezioni europee, che hanno visto il crollo di popolarità del Pp, l’ascesa vertiginosa dello storico cartello della sinistra Izquierda Unida e una prima affermazione del neonato movimento Podemos, sono l’ulteriore riflesso di un tumultuoso impulso al cambiamento auspicato dagli spagnoli.
Il sogno della terza repubblica diventerebbe un’opportunità di riscatto di segno esattamente opposto al graduale e lento, perché imposto dall’alto, processo di modernizzazione iniziato da Juan Carlos 39 anni fa. Chissà se nel giro di due settimane un insolitamente celere Parlamento porterà Felipe VI sul trono e riuscirà a spegnere gli ardori iberici o se la “seconda transizione”, come la chiama il giornalista Isaac Rosa, avverrà secondo modalità impreviste.

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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