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Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

TV Eye The Stooges.

Oggi compie gli anni la Merkel e per quanto mi riguarda può anche esplodere la Quarta Guerra Mondiale, perché la Terza ce la stiamo vivendo, ma senza la fionda di cui parlava Einstein.
Io non avrò comunque orecchie perché 17 luglio per me vuol dire una cosa sola: Ron Asheton.
Nasce infatti il 17 luglio 1948, l’uomo che per me é LA chitarra elettrica.
Adesso persino Rolling Stone è sceso dal pero e lo piazza al numero 60 della “Classifica dei Migliori Chitarristi”, ma quando nel 1969 lui e gli Stooges se ne uscirono col primo album prodotto da John Cale, Rolling Stone prese una delle sue tantissime cantonate definendo gli Stooges “sballati scioperati”.
Era un’epoca in cui andavano le false finezze, se così le possiamo chiamare, ovvero assoli, assoli e assoli.
Di chitarra, di batteria, di pernacchie, di tutto.
Assoli ovunque, attaccati lì con lo sputo. Mi sa che anche il commesso al supermercato faceva gli assoli per battere gli scontrini.
E gli assoli possono essere una figata, sì, ma non sono per tutti. O almeno, fare degli assoli non è timbrare il cartellino, come sembrava d’obbligo allora, per dio.
Gli accordoni apparentemente semplici di Ron Asheton furono capiti da pochi, un po’ come accadde con la banana dei Velvet Underground.
Il vecchio Lester Bangs, però, capì al volo sottolineando anche come gli Stooges fossero la prima band americana a dichiarare l’influenza di quel disco con la banana in copertina.
Ascoltando Asheton sul primo disco si può intuire che suonasse la chitarra da neanche due anni.
Ma è in quei momenti di “inesperienza” e “incertezza”, che, soprattutto nel r’n’r, esce il meglio.
Perché ti trovi costretto a trovare il TUO modo e, come sottolineava Bangs, “This is possibly the ultimate rock ‘n’ roll story, because rock is mainly about beginnings, about youth and uncertainty and growing through and out of them.”.
Lo stile di Ron Asheton può sembrare sì grossolano, ma anche ben lontano da tutto ciò che alla lunga trasformò gran parte del rock’n’roll in paccottiglia.
Un pezzo come I Wanna Be Your Dog però brilla di un minimalismo e di una sobrietà molto più vicine a certa musica indiana e a certi compositori minimalisti che alla ginnastica da manico che tanto andava nel 1969.
Anticipa pure roba come Glenn Branca e, in campo strettamente r’n’r, praticamente TUTTO quello che venne dopo.
Dai Ramones che gli devono tutto, ai Joy Division, ai Sonic Youth e ai Nirvana, fino a certa drone music in cui si è infangato il metal da un po’ di anni a ‘sta parte.
Asheton assimilò la lezione di Hendrix, l’eleganza dei Doors e il rumorismo dei primi Velvet facendo confluire il tutto in uno stile davvero suo, figlio anche delle sue orecchie sottili da cultore del jazz.
E infatti è in Fun House, l’album successivo, che il tutto esplode in una sua crescita enorme e in uno stile ancora più aperto e libero ma sempre fedele a quel suo “less is more” e lontano anni luce dai dozzinali numeri circensi di cui si diceva prima.
C’è di mezzo una divertente storia di droga ma se anche uno come Miles Davis, proprio nel 1970, arrivò a dire “gli Stooges hanno una grande anima”, io dico che non c’è altro da aggiungere.
Purtroppo gli Stooges non durarono perché la loro etichetta li silurò quell’anno stesso a causa dei soliti motivi: i ragazzi non facevano girare un granché di soldi.
Il bubbone però nel frattempo era esploso e nel 1977 la cosa arrivò anche alle orecchie dei sordi.
Nel 2004 circa, fortunatamente, gli Stooges si riformarono per una delle poche reunion sensate.
Iggy ormai era il Papa del punk o “uno dei grandi estremisti della musica americana”, come disse Simon Reynolds. Ron Asheton, invece, non se la passava molto bene a suonare per pochi e a vivacchiare a casa della madre con gatti e birrette.
Ad ogni modo, gli Stooges ho avuto la fortuna di vederli nel 2006, dopo due giorni senza dormire, bevendo solo acqua e con un panino in corpo.
Era il primo concerto a cui andavo, un superfestival di quelli molto caotici.
Suonavano anche i Damned ma io ero lì solo per gli Stooges.
E alla fine fu un’epifania e, se fu un’epifania quella, non oso immaginare cosa potesse essere un loro concerto nel 1970.
Ron Asheton era irriconoscibile, sembrava Peter Griffin, come mi disse un amico che era lì davanti con me.
Ma dio, quando ha cacciato il primo accordo… la sua chitarra era ancora QUELLA.
Io ho imparato a suonare sui suoi pezzi e ancora oggi quando me li risuono, ogni volta in quegli accordi scopro ancora cose nuove.
Soprattutto quando mi butto su Fun House che, come dichiarò una volta Iggy, non è nient’altro che “variations on a theme by Ron”.
Ecco quindi una di quelle variazioni, con tanto amore e gratitudine eterna a un uomo che, purtroppo, fu costretto a giocare le proprie carte nell’età d’oro dei bari più cialtroni.

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3 Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano attorno ad esso.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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