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Mio fratello Giovanni è tremendo. È biondo con gli occhi verdi, piccolo e molto agile. Va in giro con i suoi amici per i campi e lungo i fossi. Pesca con una canna di bambù che ha fatto lui e tira su i pesci con esche di lombrichi che dissotterra dal nostro orto.

A Cremantello ci sono due grandi fossi: la Tiria e la Calamazza, che qui tutti chiamano i navigli, e lui va lì a pescare e a nuotare. Nei fossi vivono piccoli pesci d’acqua dolce come le Amboline e i Pesci-gatti e a volte lui riesce a pescarli e noi li mangiamo fritti, dopo che mia madre li ha depurati dalle interiora e lavati per bene.

Lo scorso dicembre, mentre si stava dondolando su un ramo di un albero radicato sulle sponde di un fosso, è incappato in un incidente. Il ramo si è spezzato e lui è piombato nell’acqua sottostante. È finito nel fosso gelido e, dopo essere uscito bagnato e pieno di melma, ha dovuto attraversare tutto Cremantello per venire a casa.

Quando è arrivato tutto bagnato, i miei parenti si sono spaventati  – Preghiamo che non gli venga la polmonite – ha detto Ciadin e subito dopo ha estratto dal suo grembiule il rosario di legno d’ulivo, che predilige, e si è messa a borbottare sottovoce la prima decina di “Ave Maria”, snocciolando con le sue mani esperte i primi grani della santa collana.

Giovanni è stato immerso in un bagno di acqua calda presa dal pozzo e fatta bollire per l’occasione in una pentola sulla stufa. Il rimedio è stato molto efficace, si è riscaldato, asciugato e non gli è venuto neppure il raffreddore.

Appurato che non aveva nulla, si è preso una bella sgridata da mia madre Adelina che, essendo l’unico genitore che ci è rimasto, incarna sia il ruolo di madre che quello di padre.

Per due settimane gli è stato vietato di uscire di casa e così lui si è messo a saltare dal fienile al pollaio, atterrando sulla paglia dove le galline nascondono le loro zampe mentre fanno le uova.

Ha fatto qualche frittata estemporanea poco gradita dai nostri familiari, fatta eccezione per Toti, che ha leccato con piacere il vischioso impasto giallo rimasto a terra, scodinzolando soddisfatto.

Tra il fienile e il pollaio c’è un salto di due metri che mio fratello fa senza alcuna preoccupazione. Non si può di certo dire che sia un bambino tranquillo, ma è buono e molto intelligente.

Quando era molto piccolo mia madre legava il girello, con il quale stava imparando a camminare, al piede del tavolo, in modo che le sue passeggiate assistite avessero un perimetro limitato. Non si sapeva altrimenti dove avrebbe potuto arrivare e soprattutto come avrebbe potuto tornare.

Mi ricordo che quando aveva un anno andava ‘a quattro zampe’ praticamente ovunque e se lo perdevi di vista anche solo un attimo si avventurava sulla strada, dove passano i carretti oppure nel pollaio, dove gli animali da cortile sporcano continuamente.

Fino a due anni fa, andava in colonia sulle rive del Lungone (che passa a cinque chilometri da Cremantello) in un paese che si chiama Tortolano. I bambini di Cremantello erano dei pendolari, passava il carro a prenderli la mattina e li riportavano la sera.

La colonia era gestita da uno dei curati di Tortolano, ma poi un ragazzo è annegato nel fiume e il pover’uomo ha chiuso l’attività estiva in preda allo sconforto. Quello sfortunato prete non si è mai più ripreso dalla disgrazia di quel ragazzino che proveniva dalla città e, non essendo abituato alle insidie del fiume, è finito in uno dei suoi infernali vortici senza più riuscire a riemergere.

Il Lungone è molto pericoloso. È un grande fiume che sembra scorrere piatto e lento ma al suo interno ha dei violenti mulinelli, pericolosi, silenti e poco visibili. Quella meravigliosa acqua piatta e verde, che rasserena guardandola, nasconde la morte. Come un bellissimo fungo velenoso che ammazza incantando, che ti attira inneggiando alla bellezza.

Bisogna conoscere il fiume per frequentarlo, così come bisogna accogliere le sue insidie per amarlo. I bambini che crescono lungo un fiume imparano a conoscerlo.

Non fanno mai il bagno da soli ma sempre in due o tre. Così se uno finisce in un vortice gli altri hanno buone probabilità di riuscire a tirarlo fuori e a trascinarlo a riva. Bisogna accorgersene subito, il risucchio può essere tanto violento quanto imprevisto e il salvataggio ha ottime probabilità di giungere a buon fine se compiuto subito.

Eppure, nonostante ciò, tutti i nostri bambini vanno a fare il bagno al fiume e i genitori non se ne preoccupano affatto, perché anche loro da piccoli ci sono sempre andati, si sono divertiti, sono cresciuti tra l’acqua e le fronde e hanno imparato ad amare il fiume con tutte le sue insidie.

I grandi amori crescono un po’ alla volta, maturano con la vita e non ti lasciano più. Ogni grande amore nasconde dei pericoli, ma non per questo smette di chiamarsi amore. Il Lungone conquista tutti, un po’ alla volta, un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro e a un certo punto scopri che non ti lascerà più, che non lo lascerai più.

Dallo scorso anno la colonia estiva è organizzata a Corte dei Marchesi e passa sempre un carretto a prendere i bambini la mattina e a riportarli la sera. È gestita dal parroco di Corte, che può disporre di un seminarista e di alcuni ragazzi grandi che lo aiutano.

Anche Corte dei Marchesi è sul fiume e la quotidianità della colonia è molto simile a quella di Tortolano. Spiaggia, giochi, pranzo in riva al fiume, un po’ di preghiere e, una volta digerito il pranzo, il bagno.

L’immersione nell’acqua, che chiude la giornata e ben predispone gli animi alla serata in avvicinamento, è momento più atteso, il più divertente, il più rilassante e rinfrescante. Senza il fiume non ci sarebbe la colonia estiva.

È la corrente del Lungone che tiene vivo il divertimento, la sua acqua che accoglie, i suoi alberi che permettono il riparo necessario per apprezzare le lunghe giornate estive trascorse lungo le rive sabbiose e bollenti di quegli argini amici.

A volte i ragazzi si siedono tutti sotto gli alberi e cantano.
Siam tre piccoli porcellin, siamo tre fratellin/mai nessun ci dividerà,/trallalla-lallà./ …” e dedicano la canzone ad un bambino non particolarmente esile.

La colonia dura quattro settimane, da metà luglio a metà agosto. Giovanni arriva a casa ad ora di cena, si lava, mangia un pezzo di formaggio e poi si addormenta perché è stanco morto.

La mattina dopo si alza presto e ricomincia con i preparativi per la giornata. Riempie il suo sacchetto con i sandali, un berretto, la canna da pesca, un piccolo cuscino e qualche caramella di zucchero, che non mangia lui perché non gli piacciono, le regala a qualche bambino, o a qualche bambina.

I dolci che riceve per Santa Lucia li mangio tutti io. Lui se li dimentica e li fa ammuffire nella credenza della cucina. Non vedo perché li dovrei lasciare là: sprecare cibo non è una bella cosa, la mamma ce lo dice sempre.

Così i dolci me li mangio io e nessuno si lamenta; mio fratello se li dimentica e mia madre trova il comportamento coerente con i suoi insegnamenti e non può rinnegare quanto predica sempre, semplicemente perché invece di un pezzo di carne si tratta di rapanelli di zucchero.

Quando Giovanni ha finito di riempire il suo sacchetto, esce di casa e aspetta davanti alla vetrina della nostra merceria, il carretto che passa a prenderlo. A volte esce anche Toti e gli scodinzola intorno, salutando il suo padrone insieme al nuovo giorno che comincia.

Andare a Corte dei Marchesi gli piace tanto perché è libero di fare quello che vuole, organizzare giochi, stare all’aperto e respirare l’aria buona che profuma di vegetazione e fiori di sambuco. Il sambuco è uno dei nostri alberi autoctoni, ce ne sono ovunque e sono molto belli e ricercati. Quella pianta ha dei fiori e delle bacche bellissime.

Sono andata in biblioteca a Vergania a cercare alcune informazioni su questo arbusto e ho trovato che: “Il sambuco è una specie botanica di origine antichissime. Tracce di bacche di Sambuco, sono state addirittura rinvenute in insediamenti del Neolitico. Il suo utilizzo è altrettanto antico. Nella tradizione popolare, a questa pianta venivano attribuiti poteri magici. L’etimologia del nome deriva dalla parola greca sambike, ossia un flauto ricavato dalla corteccia della pianta. Anche oggi se ne apprezzano le sue qualità. Parti della pianta vengono utilizzate per essere trasformate in preparazioni farmaceutiche o per scopi alimentari.”

Anche i nostri bambini fanno i flauti col sambuco, in colonia tutti ne hanno almeno uno e i Tre porcellini vengono un po’ cantati e un po’ zufolati con questi artigianali strumenti musicali. Una allegra brigata davvero.

Alcuni zufoli suonano meglio di altri, alcuni suonatori sono più esperti, ma non è questo lo spirito con il quale si usano. Gli zufoli di sambuco sono per tutti, grandi e piccini, belli e brutti, agili e impacciati e sono gratis.

Se si rompono si possono rifare subito, basta trovare un bel ramo dritto, svuotarlo del midollo e poi fare i buchi sulla corteccia, infilandoli in maniera simmetrica.

I ragazzi grandi della colonia li sanno fare velocemente e li fanno ogni estate per loro e per i più piccoli. Si sente così un’allegra zufolata un po’ stonata che sa di giochi in riva al fiume e di tanti presagi per un futuro felice.

Io non vado in colonia, perché sto sempre in negozio ad aiutare mia madre, ma aspetto sempre il carretto che porta a casa Giovanni. Quando sento il rumore del carretto e gli zufoli dei bambini, mi sento in pace.

La giornata sta finendo, il mio fratellino sta tornando a casa e la mia famiglia si sta ricomponendo per aspettare la sera e la notte, senza preoccupazioni.

La presenza di Giovanni e di mia madre è la miglior musica possibile per le mie orecchie. Anche a me piacciono gli zufoli di sambuco, soprattutto quando mio fratello li suona a casa, guardando il cielo che diventa blu.

N.d.A. I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

Per leggere tutti i racconti di Costanza Del Re è sufficiente cliccare il nome dell’autore.

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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