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Dopo settimane di piogge incessanti il 14 novembre l’argine sinistro del Po cede in tre punti, a Canaro e Occhiobello, per centinaia e centinaia di metri, provocando una catastrofe nel Polesine.
La drammatica violenza della natura lascerà ferite profonde.
Alberto Ridolfi esprime la grande paura nel ferrarese e l’amore/odio per il grande fiume.
Gianni Sparapan, polesano, evoca uno degli episodi più luttuosi della rotta dove annegarono 86 fra bambini, donne, uomini, conosciuto come “il camion della morte”.
(Ciarìn)


La pina

Nuvémbar, méś dla paura.
Not pasàdi su j àrźan,
zarcànd ad capìr,
da n’onda ach crés,
s’t’jé iη bòna o s’t’jé iηrabì.
Sachìt ad tèra,
speràηz ad disperà.
Tupinàr maladéti,
màdar di funtanàz.
Àrbul int l’aqua,
fantasma sradiśà coi braz al ziél.
Paùr, magón, biastém,
urazión col rusàri; un oć al nùval.
Sudór, làgarm e pióva
iηmasćià int la fadìga.

… A vièn al Sol.
L’aqua ch’la cala,
tórbia, ma tranquìla,
la s’porta via paùr, biastém;
ma cal magón
al vaηza iη fónd al cuór,
prónt a gnir su a la pròsima pina.
T’am fa paura e a t’odi.
Ma a t’amarò par sémpar,
parché a són tò fiòl:
un fiòl dal Po.

La piena
Novembre, mese della paura. / Notti passate sugli argini, / cercando di capire, / da un’onda che cresce, / se sei in stanca o sei arrabbiata. / Sacchetti di terra, / speranze di disperati. / Talpe maledette, / madri di fontanazzi. / Alberi nell’acqua, / fantasmi sradicati con le braccia al cielo. / Paure, magoni, bestemmie, / orazioni col rosario; un occhio alle nuvole. / Sudore, lacrime e pioggia / mischiate nella fatica.

… Viene il sole. / L’acqua che cala, / torbida, ma tranquilla, / si porta via paure, bestemmie; / ma quel magone / rimane in fondo al cuore, / pronto a tornare alla prossima piena. / Mi fai paura e t’odio. / Ma ti amerò per sempre, / perché sono tuo figlio: / un figlio del Po.

Tratto da:
Alberto Ridolfi, Fóra dal témp : poesii, zzirudèll e sturièli in frarés, Ferrara, Comune di Ferrara, 2000.

Alberto Ridolfi (Ferrara 1931- 2012)
Ingegnere elettronico, insegnante di informatica. Attore dialettale, studioso del nostro vernacolo.
Altre notizie nel “Cantón fraréś” del 3 luglio 2020 [Qui].

Ve ricordèo, el camion de la morte?

In te on zentanaro, i jéra,
dessora el camion ca vegnéa da Fiesso e da la Pincara.

Ma la note negra la orbava el camion,
fermo so la strada
i fanali inpizà a vardare l’àqua in girotondo.
E la zente, in piè sol camion, che la uchelava:
davanti rivava on lièvito de àqua da la Ciésa de Frassinèle
de drìo vegneva on mare de àqua da Capo Rumiati
e l’àqua la coreva par i fossi pieni de àqua,
e la tera la sparìa soto l’àqua,
e l’àqua la sparìa soto la fumara
fissa e spanta drento, dessora e parintorno al camion de i vivi
fermo so la strada longa de àqua
ca portava a la Ciésa de Frassinèle…

Gnanca on puòco de tera no se vedéa, a salvare i vivi,
gnanca che’l puòco de tera ca basta a coaciare i morti!

La note senza stele
la inpastava de àqua e de fumara vivi e morti:
– On zigo solo, se sentiva! –
coacià da la rota
che tuto la porta via
che tuto la portava via
– àqua, fango, paja, rami, morti, bestie, cristian –
e tuto, la ingrumava
ai piè de le piope
sora l’àrzare muto del Canalbianco.

La note tra el quatòrdese e el quìndese novenbre de’l 1951.
A Frassinèle.

Ricordate, il camion della morte?
In un centinaio, erano, / sopra il camion che veniva da Fiesso e da Pincara.

Ma la notte nera oscurava il camion, / fermo sulla strada / i fanali accesi a guardare l’acqua a mulinello. / E la gente, in piedi sul camion, che gridava: / davanti arrivava lievitando l’acqua dalla Chiesa di Frassinelle / dietro veniva un mare di acqua da Capo Rumiati / e l’acqua correva per i fossi pieni di acqua, / e la terra spariva sotto l’acqua, / e l’acqua spariva sotto la nebbia / fissa e sparsa dentro, sopra e intorno al camion dei vivi / fermo sulla strada allagata d’acqua / che portava alla Chiesa di Frassinelle…

Neppure un poco di terra si vedeva, per salvare i vivi, / neppure quel poco di terra che bastava per coprire I morti!

La notte senza stelle / impastava d’acqua e nebbia vivi e morti: / – Un solo pianto, si sentiva! – / coperto dalla rotta / che tutto porta via / che tutto portava via / – acqua, fango, paglia, rami, morti, bestie, cristiani – / e tutto, raggruppava / ai piedi delle pioppe / sopra l’argine muto del Canalbianco.

La notte tra il 14 ed il 15 novembre del 1951. A Frassinelle.

Tratto da:
Gianni Sparapan, El Bonbasin : prose e teatro in lengoa veneta, Rovigo, Europrint, 2003.

Gianni Sparapan (Villadose-Ro 1944)
Insegnante, giornalista, storico della Resistenza e dell’antifascismo nel Polesine. Autore di poesie, racconti, teatro, in lingua e in dialetto polesano, oltre che di un dizionario e di una grammatica della parlata veneta tra Adige e Canalbianco.

 Al cantóη fraréś: testi di ieri e di oggi in dialetto ferrarese, la rubrica curata da Ciarin per Ferraraitalia,
esce ogni 15 giorni al venerdì mattina. Per leggere le puntate precedenti clicca [Qui]

Cover: Adria dopo l’alluvione del 14 novembre 1951 (archivio fotografico del Pci)

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Ciarin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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