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I ragazzi degli anni ottanta sono cresciuti con il Commodore 64. In quegli anni, tra gli adulti, molti guardavano i computer con sgomento. Un buon numero di medici si sentivano richiedere certificati che giustificassero l’esonero dall’uso, tanto era il terrore che tra molte impiegate i nuovi strumenti di lavoro suscitavano. Tra gli esperti dilagavano le discussioni circa la possibilità che l’intelligenza artificiale (termine che i più usavano in termini evocativi) fagocitasse, annullandole, le capacità del pensiero umano. Per noi erano, semplicemente, un modo più veloce per scrivere la tesi.
Non ricordo quando ho avuto il mio primo computer, ricordo che è stato amore a prima vista. Anche se occupava molto spazio e faceva un po’ di rumore. Anche se bisognava conoscere le funzioni dei tasti e talvolta digitarne tre alla volta per produrre l’operazione voluta. Il ricordo più dolce era che potevo scrivere con una mano e con l’altra “giocare” con la mia bambina. Poi sono arrivati i floppy, che nome delizioso! Li ho buttati via qualche mese fa, accettando – non senza fatica – l’idea che la mia memoria andasse persa. Anche questa è una conquista nel tempo dell’archiviazione universale.
L’età ibrida è il titolo di un libro recente di A. Khanna e P. Khanna (Codice), il cui sottotitolo è Il potere della tecnologia nello scenario globale. L’argomentazione sbarazza definitivamente qualunque illusione che il mondo possa essere interpretato con le categorie a cui eravamo abituati. Soprattutto, toglie di mezzo l’idea che i nuovi media siano semplicemente strumenti da utilizzare. Le tecnologie sono in realtà un linguaggio che crea un ambiente, un mondo da abitare. Non si tratta di discutere se questo mondo ci piace di più o di meno di quello che abitavamo in passato – la cosa è del tutto irrilevante – si tratta di comprendere quali implicazioni ha questo scenario per le persone, le organizzazioni, le imprese. Un’era, fatta di oggetti, merci, pratiche è finita, un’altra iniziata è in rapidissima evoluzione.
La tecnologia crea e distrugge. La tecnologia è generativa, vale a dire è in grado di generare valore, ma distrugge lavoro; diffonde opportunità, ma è spietata con coloro che ne restano fuori; crea paradossi, ad esempio possiamo impiegare meno tempo da Bologna a Parigi che da Ferrara a Parma; semplifica e complica la vita allo stesso tempo perché genera ridondanza.
Internet moltiplica il tempo e lo fagocita, il tempo digitale non equivale al tempo cronologico, è multitasking e quindi variabile: possiamo fare più cose in contemporanea e vivere più tempi contestualmente. Mentre i tempi si sovrappongono, anche i valori si mescolano e non si dispongono su assi contrapposti. L’ibridazione il tratto di questo tempo.
Sapranno sopravvivere le imprese e le organizzazioni in grado di offrire valore, le altre sono destinate all’estinzione. Sapranno sfruttare le opportunità le persone dotate di capitale culturale e di capacità riflessive. La tecnologia non si riferisce solo a macchine o ad oggetti, ma soprattutto a processi, abilità, comportamenti, presuppone processi di appropriazione e adattabilità.
La tecknick – che gli autori del libro citato definiscono il quoziente tecnologico di una civiltà – è dunque una qualità che tutti dovremmo sforzarci di curare, singoli individui, imprese, comunità, città e nazioni. Conoscenza e innovazione potranno produrre relazioni virtuose, salvaguardando spazi di lentezza per pensare.

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
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