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“Io la pallamano la conoscevo di nome…” comincia così l’intervista a Luciana Pareschi, ex professoressa di educazione fisica al liceo classico Ariosto” di Ferrara, artefice della straordinaria cavalcata che ha portato la sua giovane squadra a vincere tutto in ambito nazionale.

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Luciana Pareschi fonda nel ’74 il gruppo sportivo Ariosto

In un attimo riavvolgiamo il nastro della sua vita e ci catapultiamo in anni di grandi cambiamenti, anche a livello scolastico: “Al liceo Ariosto di quel periodo si sperimentava un nuovo modello di scuola con metodologie di apprendimento diverse: fu in quest’ottica che il preside di allora, Modestino, mi chiese di fare un progetto innovativo da inserire all’interno del nuovo piano di studi. Io non sapevo cosa fare perché le metodologie di base di ogni sport sono già impresse in ragazzi ormai grandi (eravamo alle superiori); pensai così ad uno sport che nessuno dei ragazzi conosceva, per sorprenderli. Il problema è che non lo conoscevo nemmeno io! – ride. Sapevo che all’Iseef di Bologna c’era un insegnante che faceva corsi di apprendimento e così andai.” Un’avventura nata quasi per caso, anche in maniera rocambolesca: “I primi tempi insegnavo con il libro sotto, con tecniche di base e avviamento. Metodologie che io intraprendevo e sviluppavo insieme alle ragazze (poi in seguito anche i ragazzi) che cominciavano con me, per cui non c’erano “fenomeni” – e questo fu un bene – erano umili e tante volte erano le giocatrici stesse che mi dicevano di cambiare qualcosa”. E’ schietta e lucidissima nel ricordare quei momenti, Luciana.
Nel luglio del 1978 a Bari, la rappresentativa di pallamano femminile del liceo, allenata da Luciana, conquista il titolo italiano nei Giochi della gioventù promossi dal Coni: “…e pensare che ci eravamo iscritti per vedere a che punto fossimo del nostro cammino, nessuno si aspettava di vincere. Le ragazze venivano da vari corsi di studi, così abbiamo fondato il gruppo sportivo, composto da maschi e femmine e successivamente una società sportiva su base liceale (anche se il contributo era minimo, circa 400 mila lire) che fu la prima in Italia. Facevamo il campionato con la scuola: cominciammo dalla serie C, poi serie B e finalmente serie A (abbiamo aspettato un anno prima di approdarci perché ci fu la revisione dei campionati) dove abbiamo castigato un po’ tutti. Nel ‘78 abbiamo vinto il primo titolo italiano, altri 3 successivi anni d’oro, poi un secondo posto e un terzo. Quando hanno capito che eravamo forti ci hanno escluso, hanno cominciato a fare regolamenti strani, però giusti secondo me, circa i tesseramenti”.

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Luciana Pareschi e Francesca Bozzi oggi, nella sede del Coni

Un’avventura che, soprattutto all’inizio, si sviluppò in modo particolare: “Loro (le sue “sportive”) provenivano da sport e discipline diverse con gesti tecnici differenti che adattavano alla pallamano, così ho fatto fare degli stage per adeguare l’atleta più competente al ruolo più appropriato. Avevo capito – intuizione di chi non è nato in quello sport e quindi lo vede in maniera diversa – che tutti i ruoli avevano caratteristiche particolari, con abilità specifiche. Così, i terzini le presi dalla squadra di pallavolo della Vis che si era sciolta, chi faceva atletica pensavo fosse portato per fare l’ala, coloro che giocavano a tennis, per affinità di movimenti, sarebbero potuti diventare buoni portieri. Provai questa “furbata ragionata” e i risultati furono soddisfacenti. Facendo la selezione dei futuri portieri venne fuori Francesca Bozzi, la più reattiva e veloce fra i pali.” Fu il primo portiere della squadra e anche lei è presente all’incontro: “ero all’ultimo anno del liceo, un pomeriggio mi chiesero se avevo voglia di provare un nuovo sport, vidi l’allenamento e di lì a poco diventai il capitano poiché ero la maggiore. Furono anni davvero incredibili, giocammo su campi innevati a -5 gradi nel Nord Italia fino ad arrivare ai grandi palcoscenici internazionali: incredibili i palazzetti di Basilea e Ankara”.
L’umiltà del gruppo insieme alle illuminazioni di Luciana furono il mix giusto per raggiungere grandi traguardi, del tutto inaspettati: “Andammo avanti con la loro intelligenza e le mie intuizioni – racconta Luciana – non venivano ad allenarsi per mettere solo il fisico a mia disposizione, ma anche e soprattutto la mente, erano aperte e mi seguivano… chissà quante cavolate gli ho raccontato! – ride di nuovo – Fu questa la chiave: la pallamano è uno sport dinamico e di testa: devi pensare e capire cosa farà il tuo compagno e il tuo avversario prima che lui lo faccia. Avendo un allenatore/insegnante poi, c’era un rapporto diverso fondato sul rispetto reciproco”. La interrompe Francesca: “il suo grande merito (indica Luciana) è stato quello di aver formato le menti delle persone, trasmettendoci la coscienza del gesto, non l’apprendimento finalizzato alla realizzazione dell’esercizio. E soprattutto, aveva creato un gruppo prima che una squadra: la condivisione della sconfitta e la gioia della vittoria era per me qualcosa di magico, venendo da uno sport individuale (giocava a tennis prima) erano sensazioni a me nuove, uniche e bellissime” – poi un elogio a Luciana – “è stata una donna intelligente, una compagna, una mamma, un’amica che c’è sempre stata, anche nei momenti più difficili”.
Luciana Pareschi ora, ricopre il ruolo di referente provinciale del Coni point Ferrara, ruolo che svolge con piacere, determinazione e tanta voglia di mettersi a disposizione: “Tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto, se non quegli anni a Roma che probabilmente hanno tolto tempo alla mia città a cui sarei stata più utile. Anche l’avventura in Nazionale non fu particolarmente entusiasmante, ma quella è una pagina che è meglio non aprire…”. E’ concentrata sul presente e non perde di vista quello che è il futuro prossimo, con un pizzico di amarezza: “Al giorno d’oggi, ci sono problematiche che ai nostri tempi non esistevano nemmeno. Pensa a noi: quale insegnante di educazione fisica si prenderebbe l’incomodo compito di allenare per formare coscienze piuttosto che per raggiungere obiettivi? Al giorno d’oggi, un gruppo sportivo scolastico è visto come un peso dall’istituto, c’è poco da fare. Oppure prova a pensare al tifo: qualcosa di vergognoso! Come fai? La società sportiva cosa può farci? Ai nostri tempi il terzo tempo, oggi tanto sventolato da qualche società sportiva ad alti livelli, lo facevamo già. E sia chiaro: mai nessuna delle mia atlete si permetteva di insultare o protestare contro l’arbitro” mi spiegano in coro Luciana e Francesca.

E’ il presente che turba la Pareschi, al punto da spingerla a dire che “in ogni giornata sportiva, a momenti, c’è un episodio negativo: gente che insulta l’arbitro, scazzottate in tribuna per decidere quale ragazzo gioca meglio… cose così! Ma dove siamo arrivati? La cosa più preoccupante è che i fautori di questi atti sono i genitori, coloro che dovrebbero dare l’esempio. Se noi adulti pensassimo prima di parlare… i ragazzi sono delle spugne”. Le chiedo perciò, quale potrebbe essere l’aiuto che il Coni, organo che intende lo sport come “palestra di vita”, potrebbe fornire in questo contesto: “Ho pensato tanto a cosa potrebbe fare: dev’esserci un’educazione a 360°, un mix tra scuola, famiglia e società che devono impegnarsi a proporre un modello di vita sano. Se pensiamo a come stanno le cose ora, c’è da essere parecchio in ansia: la società va via via sgretolandosi, la scuola non ha le condizioni per proporre tale modello e la famiglia è rilegata a una dimensione imbarazzante. Bisognerebbe riformare tutto! Noi manchiamo di una cultura di base, così è difficile portare avanti valori morali alti. Il Coni può fare ben poco purtroppo, prima spetta alle persone. Sono pessimista sul momento particolare, tutti i problemi della società vengono proiettati sulla sport. Siamo in condizioni di impotenza, servirebbero dirigenti che non pensassero solo ai soldi, ma che fossero credibili e trascinassero le persone a seguire lo sport”.
Nonostante questo però Luciana è una donna “abituata a vedere il bicchiere mezzo pieno, i giovani validi verranno fuori e si darà una svolta a questa situazione poco felice.” Conclude con un breve bilancio stagionale affermando che “possiamo essere contenti, mai come quest’anno le nostre società hanno raggiunto risultati soddisfacenti, segno che a Ferrara c’è comunque qualcuno che lavora bene, programmando e investendo in risorse sane”.

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Alessio Pugliese


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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