Un’inchiesta giornalistica coraggiosa e, bisogna dirlo, ‘miracolosa’ condotta dal quotidiano ‘Il Giornale’ – l’organo di stampa fondato da Montanelli e noto in tutto il mondo per la sua imparzialità e il suo amore per la verità – ha recentemente sconvolto non solo le stanze del Vaticano, ma il miliardo e passa di fedeli della chiesa capeggiata da Papa Francesco.
Ma andiamo per ordine. Erano state proprio le reiterate dichiarazioni – a voce e per iscritto – del pontefice argentino smaccatamente a favore di esuli, profughi, immigrati e poveri in genere che a detta di Papa Francesco avrebbero la precedenza o comunque posti assicurati nel Regno dei Cieli, come pure le sue sospette citazioni evangeliche fuori contesto (“Gli ultimi saranno i primi” e via dicendo) a insospettire i giornalisti più avveduti e a convincerli di un necessario approfondimento storico ed esegetico.
In Italia, regnante Matteo Salvini, appena dopo l’approvazione del Decreto Sicurezza e con l’approssimarsi del Santo Natale, Papa Francesco era ritornato sugli argomenti a lui cari, mentre qualche parroco provocatore aveva allestito il presepe condendolo con statuette di neri, arabi, africani e migranti in genere. Come ogni anno – ma quest’anno molto di più – sono montate le polemiche fra i teologi e biblisti tradizionalisti e quelli ormai conquistati dalla strisciante ideologia comunitaria (leggi: comunista). Naturalmente lo scontro verbale si è subito trasferito anche tra gli esponenti della classe politica nazionale, invadendo poi le pagine dei media e i dibattiti televisivi.
Poco è servito osservare – e qualcuno ci ha pure provato – che il nocciolo, il senso delle parole del Papa non volevano riscrivere la storia di 2.000 anni fa ma richiamare tutta la comunità all’impegno verso la misericordia, l’accoglienza, l’amore per il nostro prossimo. Inutile insomma buttarla sul generale, ormai il vero tema del contendere era chiaro: Gesù bambino era o non era un profugo, un esule, un migrante? E se non lo era, che ci azzeccano i migranti dentro l’italico presepe?
Gesù era appena nato (o stava appunto nascendo) e, giusto una trentina d’anni prima del processo sommario davanti a Pilato, veniva già indagato: lui e la sua Sacra Famiglia. Come in tutti i processi, gli avvocati, e ancor più il giornalisti al seguito, si affannano nella ricerca di un qualsiasi indizio utile. Caso difficile assai, sia per la lontananza nel tempo della nascita in questione sia per l’esiguità delle fonti disponibili, tanto che il dibattito sul ‘Gesù storico’ prosegue da secoli senza aver raggiunto ancora una conclusione condivisa.
I santi vangeli vengono compulsati esaminati palmo a palmo e qualcosa alla fine si trova. Da una parte si ergeva la figura di Erode: niente da dire, un losco figuro persecutore di bambini. Dall’altra si sosteneva però che la Sacra Famiglia non scappava affatto dalla fame o dalla guerra, ma andava a Betlemme per un normalissimo censimento. E prima di adattarsi a una misera grotta (o a una capanna) Giuseppe e Maria avevano cercato alloggio in un albergo (non è dato sapere se a due, tre o cinque stelle) trovandoli purtroppo al completo. Ergo, se Giuseppe cercava una camera doppia in albergo, non poteva certo dirsi un disperato nullatenente: qualche tallero in tasca doveva averlo!
Già da queste semplici deduzioni, la tesi del ‘povero Cristo’ profugo errante usciva piuttosto compromessa. Ma qui – colpo di scena – è intervenuto il sensazionale scoop del giornalista Nicola Carter del ‘Il Giornale’. Dimostrando un fiuto e una costanza degni di Carl Bernstein e Bob Woodward (autori dell’inchiesta giornalista che svelò i retroscena del Watergate, n.d.r.), Nicola Carter tralascia la figura del Bambinello e si concentra su quella del capofamiglia. Chi era Giuseppe il falegname, e soprattutto, quale era il suo reddito imponibile?
Le sue ricerche lo portano in Terra Santa. Consulta gli antichi archivi di Gerusalemme, Betlemme e Gerico, interroga gli impiegati dell’anagrafe, perseguita gli archeologi, pedina rabbini e prelati cattolici e ortodossi. Si confronta a mani nude con la lingua greca, l’ebraico, l’aramaico.
Eureka! Alla fine i suoi sforzi vengono premiati. E’ storia di questi giorni di Avvento: Nicola Carter torna in Italia con un fascio di documenti (papiri, tavolette di cera, eccetera) letteralmente esplosivi. Basterà citare il documento principe (“la prova regina”) datato “anno 2 avanti Cristo”, e cioè la dichiarazione dei redditi dell’imprenditore Giuseppe di Nazareth. Il reddito annuale, tradotto in valuta corrente, ammonta a 107.560,00 Euro. Il falegname Giuseppe della tribù di Levi risulta titolare di partita IVA e socio di maggioranza di una fiorente impresa (con marchio regolarmente registrato); aveva sotto di lui tre dipendenti (regolarmente assunti a onor del vero); era proprietario di un capannone adibito a falegnameria (non risulta che avesse acceso un mutuo). Da altri documenti desumiamo che Giuseppe era anche proprietario (al 50% con sua moglie Maria) di una seconda casa nella campagna di Gerico, affittata a equo canone, e aveva il conto aperto in tre istituti bancari.
Ne esce insomma il ritratto non di un Giuseppe semplice artigiano (un povero falegname sul genere Geppetto di Pinocchio), ma di un piccolo imprenditore di successo, un tipico rappresentante della classe media emergente.
La grande scoperta – e non si parli in questo caso di una fake news messa in giro da qualche leghista o lefevriano – rischia di far saltare le fondamenta stesse di una religione millenaria? E’ probabile. Quello che è certo è che il Santo Natale del 2018 ne esce con le ossa rotte, mentre nei prossimi giorni si prevedono controlli a tappeto sui presepi per espellere gli intrusi extracomunitari. Anche tra le statuette si anniderebbero alcuni pericolosi elementi radicalizzati.
in copertina illustrazione di Carlo Tassi
Francesco Monini
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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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