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Da: Teatro Nuovo Ferrara

‘Artisti Riuniti’ presenta Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Giulia Bevilacqua, Caterina Guzzanti in ‘Due partite’
di Cristina Comencini
Regia di Paola Rota

Nel primo atto quattro donne, molto amiche tra loro, giocano a carte e parlano in un salotto. Si ritrovano lì ogni settimana. Nella stanza accanto le loro figlie giocano alle signore, si ritrovano anche loro ogni volta che si incontrano le loro madri. Nel secondo atto le quattro bambine sono diventate ormai delle donne che si vedono nella stessa casa e continuano quel dialogo, interrotto e infinito, sui temi fondanti dell’identità femminile. Sono le stesse attrici che avevamo visto interpretare il ruolo delle madri. Gli eventi che tengono unite queste donne, sono i più naturali e significativi dell’esistenza: la nascita e la morte.

La conversazione procede tra di loro con un ritmo incalzante, tragico e comico al tempo stesso, e in questo flusso di pensieri e parole le loro identità si confondono e si riflettono in quelle delle loro madri, in una continua dinamica di fusione e opposizione, come in un gioco di specchi deformanti. La commedia lavora su diversi livelli, è un meccanismo perfetto che alterna momenti di comicità a momenti di vera e propria commozione, ma quello che più mi colpisce è un altro aspetto, fondamentale a teatro, che è quello fantastico, fantasmatico. Le protagoniste di questa storia sono donne che si proiettano madri, madri che immaginano come saranno le loro figlie, figlie che hanno assunto, mangiato e digerito le proprie madri per farsi donne autonome, diverse, opposte, e sorprendentemente vicine. Queste bambine che non vediamo mai e il loro perenne struggimento della crescita sono l’anima di questa commedia.

Cristina Comencini
Gli esordi di Cristina Comencini sono in alcune produzioni televisive in cui appare in qualità di co-sceneggiatrice del padre Luigi Comencini in Il matrimonio di Caterina (1982), di Suso Cecchi D’Amico nello sceneggiato televisivo Cuore (1984) e nel film La Storia (1986), nonché di Ennio De Concini in Quattro storie di donne diretto da Franco Giraldi (1986). Il suo debutto alla regia è del 1988 con il film Zoo cui seguono, dopo la sceneggiatura di Buon Natale… buon anno (1989), le regie di I divertimenti della vita privata, La fine è nota (dal romanzo di Geoffrey Holliday Hall), Va’ dove ti porta il cuore (dal best seller di Susanna Tamaro), Il più bel giorno della mia vita e La bestia nel cuore (che ha ottenuto una nomination agli Oscar per l’Italia come miglior film straniero nel 2006). Cristina è anche un’apprezzata scrittrice di romanzi: oltre a Matrioska, sono da ricordare Pagine strappate, tradotto in Francia (Premio Air Inter 1995), Passione di famiglia che ha ottenuto il Premio Rapallo Opera Prima 1992, Il cappotto del turco (vincitore del Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo 1997 nella sezione narrativa), L’illusione del bene, con il quale nel 2008 è stata finalista del premio letterario Premio Bergamo, Quando la notte (2009), Lucy (2013) e Voi la conoscete (2014). Negli ultimi anni si è avvicinata alla scrittura di testi teatrali: Due partite, commedia in due atti scritta per quattro interpreti femminili, messa in scena nel 2006 e poi ripresa con successo in tutta Italia. Proprio questo testo, fortemente voluto da Artisti riuniti, segna il suo esordio drammaturgico.

Curioso. Quando Cristina Comencini diresse nel 2006 la propria commedia Due partite, testo costituito da tue tranci, il primo vissuto da quattro signore borghesi che giocano a carte, il secondo ‘abitato’ 45 anni dopo dalle rispettive figlie di quelle figure femminili, con automatico scarto di linguaggi, di sfondo epocale, di modi interiori, di costumi, si poteva dire che la drammaturga-regista Comencini appartenesse un po’ più alla sfera anagrafica e culturale (ma non verbale, formale, salottiera) dei prototipi evocati nel primo atto del copione.
Nove anni fa, per la cronaca, quel battesimo avvenne con un poker di protagoniste che erano Isabella Ferrari, Margherita Buy, Valeria Milillo e Marina Massironi. Ora, invece, la nuova edizione di Due partite è una riproposta che fa leva stavolta su quattro attrici generazionalmente un po’ diverse, Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti e Giulia Bevilacqua, l’allestimento è firmato da Paola Rota, già collaboratrice di Cristina Comencini, e può dirsi che il punto di vista di chi maneggia la materia, di chi cura l’assetto e il senso del racconto identitario reso scisso da un confine anagrafico di due periodi diversi della vita, accoglierà fatalmente (o inconsciamente) il birdwatching, lo spirito d’osservazione che è più diffuso nell’età media delle donne riprodotte nella seconda parte dello spettacolo. Come a dire che forse il testimone di questa staffetta passa, nella versione odierna, ai modi di fare, di esprimersi, di ricordare e di rappresentare che appartengono alla soglia successiva, alla cultura e ai codici delle eredi. Fin qui, il naturale confronto tra memoria e pronostico. Per gli intenti, invariati, dell’autrice Comencini, l’accostamento è tra mogli-madri- compagne-donne incinte piuttosto lasciate sole dai relativi partner, piuttosto sentimentali, piuttosto ridicole, piuttosto preda di un’inedia abbiente, piuttosto senza lavoro, e, passando al seguito di quasi mezzo secolo dopo, un nucleo sfuso ma agguerrito di figure femminili (unite casualmente da un funerale) che sono più consapevoli, più impegnate, più frustrate, più energiche, più esposte ad altri rischi. Ora la regia, che per volere di chi ha scritto la commedia, avrà a che fare con lo stesso quartetto d’attrici sia nell’ambientazione nei ’60 sia nella rimpatriata delle figlie a cavallo tra i ’90 e il 2000, si misurerà sempre coi concetti della vita e della morte ma, proprio per una nuova visione del tutto, considererà (forse) le figlie alla stregua di cannibali, di divoratrici di ascendenti, di ‘mangiatrici di madri’ pur di affermare una più netta autonomia dalle tradizioni, dalle educazioni, dagli schemi morali. Poi, magari, non è detto che le creature più nostre contemporanee siano perfette.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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