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di Mario Sunseri

2.SEGUE – E arriviamo al nostro mondo, che ora forse, dopo aver provato a non guardare fissamente solo a noi stessi, non ci appare più così arretrato nell’affrontare il problema. Europa, Giappone, Corea sono leader nella gestione rifiuti e l’Italia ha molto di cui andare fiera: alcune Regioni hanno i più alti livelli di riciclaggio al mondo, sono attivi numerosi impianti moderni che trattano i rifiuti organici, recuperano energia sia attraverso il trattamento termico che la digestione anaerobica, si raggiungono buoni livelli di riciclaggio degli imballaggi, e sono attivi schemi di responsabilità dei produttori per numerosi tipi di rifiuti, tra cui batterie, oli esausti, veicoli a fine vita, rifiuti elettrici ed elettronici. Con rare eccezioni, i nostri cittadini non devono affrontare i rischi sanitari dei rifiuti abbandonati e i nostri fiumi, città, coste sono in genere liberi dai rifiuti. Ma questo costa: ognuno paga in media circa quasi 200 €/a per garantire questi livelli di sicurezza ma, come il Sud Italia dimostra, non sempre ci riusciamo. Spesso ci si sente chiedere “quale nazione ha il sistema migliore?”. Prima di tutto ci si dovrebbe chiedere cosa si vuole dal ‘sistema’: è più importante il recupero dei materiali per le industrie nazionali o il recupero di calore ed energia per le case e le attività dei cittadini. Vi è però un consenso diffuso tra gli esperti e le industrie del settore sul fatto che nazioni quali Austria, Svezia, Germania abbiano messo in opera sistemi di gestione efficaci: riciclaggio attorno al 50%, recupero energetico attorno al 50%, basso ricorso alla discarica. I rifiuti biodegradabili non sono avviati a discarica, non ci sono abbandoni illegali, i controlli pubblici sono elevati e i rischi sanitari sono controllati e rimangono al di sotto delle soglie stabilite come accettabili.
Un altro tema delicato è il commercio dei rifiuti e in particolare quelli pericolosi. Nel 2007 i rifiuti pericolosi commercializzati nel mondo sono stati 191 milioni di tonnellate, ma in che direzione si sono mossi? La percentuale di rifiuti esportati è correlata direttamente al reddito nazionale: più si è ricchi più si consuma e più si esporta. Le cose cambiano per l’importazione: anche se le nazioni di vecchia industrializzazione, soprattutto quelle come la Germania dotate di impianti di trattamento dei rifiuti pericolosi, importano le quantità maggiori, le nazioni in via di sviluppo importano rifiuti in maniera sproporzionata, 39%, rispetto alla loro percentuale di reddito globale, 22%. E questi sono solo i dati ufficiali, che non riescono a dare conto dei traffici illegali. Il fatto che il 39% dei rifiuti del mondo nel 2007 si è mosso verso paesi non-Ocse, che non sono in grado di gestire adeguatamente un flusso così elevato, indipendentemente dal fatto che siano pericolosi o meno, è indicazione dell’enorme pressione ambientale e sociale esercitata verso nazioni in condizioni di fragilità normativa e economica e prive delle strutture industriali adeguate a trattare i rifiuti pericolosi.
In conclusione il mondo è diventato più ricco e uno dei prezzi pagati sono i nostri rifiuti. Dobbiamo spostare le risorse verso attività più sobrie: ripulire e riordinare. I migliori sistemi di gestione rifiuti e le tecnologie messi alla prova nei paesi industrializzati devono essere resi disponibili a scala globale, per essere adattati alle diverse realtà nazionali. Le risorse messe in campo devono essere raccolte distribuite per rendere efficaci ed efficienti i risultati a livello globale e non solo locale. Un piccolo incremento dell’impegno economico dedicato nei paesi industrializzati comporterebbe risultati enormi dal punto di vista ambientale se utilizzo per migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti nei paesi a basso reddito.
Questa è la missione che Iswa si è data e che diviene sempre più urgente al crescere di popolazione, ricchezza e consumi: promuovere una gestione rifiuti sostenibile nel mondo (si veda www.iswa.org e www.atiaiswa.it).

2 – FINE

Leggi la prima parte

Sintesi dell’articolo pubblicato nel magazine Equilibri 79 (rivista pubblicata dal COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati)  “Gestione dei rifiuti urbani e pericolosi: il Pianeta è divisa in tre mondi diversi” scritto da David Newman, il Presidente dell’Associazione ATIA ISWA Italia, Mario Sunseri, membro del Consiglio Direttivo e direttore di www.rifiutilab.it e Simonetta Tunesi, membro del Comitato Tecnico.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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