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In questi giorni , il sindaco del Comune di Ferrara a maggioranza leghista (Alan Fabbri) e l’assessore alla Pubblica Istruzione (Dorota Kusiak), si stanno recando nelle scuole per distribuire gratuitamente un piccolo dizionario del dialetto.

L’altro ieri, dopo la distribuzione del libretto ad un paio di scuole, sul profilo facebook del sindaco sono state pubblicate diverse foto che hanno scatenato polemiche nell’ambiente scolastico e non solo.
In quelle foto si vedono bambini che mostrano cartelli in cui si ringrazia il sindaco dandogli confidenzialmente del tu (“Grazie Alan”) o disegni in cui lo si ringrazia per aver reso “stupenda la città”.

Molti hanno criticato il sindaco per l’uso propagandistico e strumentale delle foto ed io, confesso sinceramente, non mi sento di unirmi al coro.

Io penso che il sindaco e l’assessore (di una maggioranza che non ho votato) abbiano fatto quello che ritenevano giusto fare per “promuovere legami con le nostre radici e la nostra storia”.

Qualcuno dice che, più che il dialetto, volevano “promuovere” se stessi.
Io dico che non ci vedo assolutamente niente di nuovo o di strano in questo. Da quando in qua i politici hanno smesso di fare promozione e propaganda?
Si può discutere sui modi in cui le fanno ma non sulla novità della cosa. Può piacere o non piacere, ma trovo strumentali le polemiche esagerate al riguardo fatte da detrattori che si fingono ingenui.

Quello che invece, a me come maestro elementare, fa molto strano e preoccupa è l’atteggiamento della scuola nei confronti dell’autorità.
Cerco di spiegarmi bene anche se so già che qualcuno interpreterà le mie parole come quelle di un invidioso elettore di un altro schieramento e non come una critica professionale ed amichevole fatta da un vecchio maestro a quelle colleghe o a quei colleghi della classe che ha prodotto i disegni di ringraziamento al sindaco e all’assessore.

Io penso che quando si riceve un regalo sia giusto, gentile, rispettoso e doveroso ringraziare. Si può ringraziare a parole, si può ricambiare con un altro dono oppure con un invito, si può ringraziare inventandosi qualcosa di originale come un disegno: i bambini e le bambine lo fanno spesso. Ma In quelle foto che ritraggono il ringraziamento al sindaco per il dono del libretto, trovo “da adulti ed artificiale” (non “da bambini e spontanea”) la riconoscenza (“Per la stupenda città”), la confidenza (“Grazie Alan”), la personalizzazione dell’amministrazione (l’effige del sindaco).

Penso, cioè, che la libertà con cui si dovrebbero esprimere i bambini – nella quale io credo fortemente  – non dovrebbe intendersi come un generico “i bambini possono scrivere tutto quello che vogliono perché son bambini”.  Per me, libertà di espressione vuol dire essere consapevoli e responsabili di ciò che si vuole comunicare.
Provo a spiegarmi meglio. Quel “Grazie per la stupenda città”, scritto su un disegno, vuol dire aver permesso ai bambini e alle bambine di pensare o di affermare che la città l’abbiano fatta “bella e splendida” il sindaco e l’assessore e non l’architetto Biagio Rossetti, Bartolino da Novara, gli Estensi e tutti i costruttori, i manovali e le persone che hanno contribuito a rendere “stupenda” la nostra città dal punto di vista architettonico.

Se questo è vero, il o la loro insegnante ha permesso a quei bambini di compiere una grande inesattezza ma soprattutto ha creato le premesse perché si generasse un grave fraintendimento che qualunque politico avrebbe potuto facilmente “cavalcare” a fini propagandistici.
Non è un caso infatti che proprio quelle foto siano pubblicate sul profilo facebook del sindaco, che è un politico, ma non siano presenti nell’articolo di Cronaca Comune.

Se invece quel “Grazie per aver reso la nostra città stupenda” vuol dire “Grazie per come state cambiando la nostra città. Grazie per quello che state facendo” allora non c’è tanto da interpretare: chi ha scritto il messaggio da bambino (o come se fosse un bambino) e chi l’ha accettato da insegnante (o come se fosse un insegnante) ha voluto far arrivare un messaggio chiaro di ringraziamento e di apprezzamento a questo sindaco e a questa amministrazione.

Che sia bello o brutto, giusto o sbagliato, strumentale o meno, lo lascio dire ad altri che non fanno gli insegnanti perché a me, da maestro elementare, la risposta sembra molto chiara ed, in questo contesto, una tale discussione non mi appassiona più di tanto.
Se proprio la scuola, sapendo della presenza dei giornalisti e volendo preparare l’accoglienza, ha scelto quei disegni e quei cartelloni allora si è legittimati a concludere che la scuola ha scelto di preparare proprio quei messaggi e ne è consapevole e responsabile.

Non tutti si sarebbero comportati allo stesso modo ma, se proprio con quei disegni e quei cartelloni i bambini volevano inviare un messaggio simile io, come maestro,  prima mi sarei interrogato sull’utilizzo che di quei messaggi ne avrebbero fatto i politici ma soprattutto, da maestro, sarei intervenuto per aiutare i bambini e le bambine ad essere più espliciti: “Grazie perché? Grazie per cosa? Grazie per il Castello? Per il Duomo? Per le Mura? Per le luci di Natale in centro? Per l’albero di Natale? Per le giostre al grattacielo? Per i cancelli nei parchi? Spiegati meglio così chi leggerà il tuo messaggio non avrà dubbi e capirà meglio”.
Insomma, avrei aiutato a ragionare, senza condizionare, per far capire.

Io però sto diventando vecchio e sono affezionato alle mie idee romantiche di scuola che non vanno tanto di moda in questo periodo. Nel mio piccolo, immagino una scuola elementare che promuova una conferenza stampa tenuta dai bambini e dalle bambine per raccontare come fa scuola. Non una che ospiti la conferenza stampa di un sindaco e di un assessore.
Nonostante i locali delle scuole primarie siano del Comune, se fossi stato un dirigente scolastico non avrei permesso che il Sindaco potesse disporre di quei locali per una sua conferenza stampa.

Io ho ancora l’idea di una scuola protagonista che dialoghi alla pari con le amministrazioni e non che viva se stessa come se dovesse ingraziarsi i potenti.
Se fossi stato uno di quei maestri avrei accolto sindaco e assessore (lo abbiamo fatto lo scorso anno a Cocomaro), li avrei fatti sedere in cerchio con i bambini, li avrei ascoltati e per ringraziarli del libretto avrei donato copie della nostra “Gazzetta del cocomero” e avrei invitato i bambini e le bambine a ringraziare a voce con i loro pensieri originali.

Sono rimasto legato all’idea di una scuola che formi cittadini e non ad una che prepari sudditi. Se fossi stato uno di quegli insegnanti avrei organizzato un’intervista al sindaco sui suoi compiti in modo da spiegare ai bambini e alle bambine a chi far arrivare le proposte che loro hanno per la città in cui vivono.

Non mi rassegno a questa scuola che non vuole vedere e sentire i bambini e le bambine ma li seleziona e li adopera tutte le volte che gli servono per fini non propriamente educativi.

Perché non mi rassegno, vi consegno la frase stupenda che Mario Lodi, il maestro di noi maestri, ha dedicato a tutti gli insegnanti: “Non dimenticate che davanti ai maestri e alle maestre passa sempre il futuro. Non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese”.

Proprio perché non mi rassegno, insegno che il futuro si prepara insieme “allenando” i bambini e le bambine con “gli attrezzi” della Costituzione in quella formidabile “palestra della democrazia” che è la classe.

P.S.
Banadét al mié putìn” è un’espressione in dialetto ferrarese, tenera ed affettuosa, che significa “Benedetto il mio bambino”, frase che immagino il sindaco abbia pronunciato alla visione della foto dei bimbi con i cartelli di ringraziamento nei suoi confronti.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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