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Scorcio parigino, Simonetta Sandri
Scorcio parigino, Simonetta Sandri

C’era una volta…Una via parigina cui si era misteriosamente approdati dopo lunga riflessione, senza finzione e con curiosità e fantasia. La stessa via che anni addietro aveva accolto le incertezze diventava a poco a poco lo specchio dell’anima, sicura e leggera. La Rue d’Avron. Un luogo che ha ospitato la mia scalpitante vita in crescita e i miei pensieri.

Una ricca via multicolore, dove i profumi e gli odori di mille paesi incrociano lingue e speranze lontane, nate da menzogne o da verità nascoste. Non basta fingere, qui tutto si vede. Croci e moschee non hanno posto su questa strada intensa e vivace, ma si trovano altrove, non lontane comunque l’una dall’altra. In un’integrazione che fa finta, che si crede furba e scaltra. Nessuno prega più. Almeno non qui.

Tanta immigrazione, tante vite e storie. Bugie indiscrete per cercare di respirare e, in qualche modo, sopravvivere. Tante invenzioni… se lo sono.

Immaginiamo allora una macchina da presa che apra il suo occhio su questa scena affollata.

S’incrocia un Burkinabè che si lamenta del fatto che il suo ristorante afgano preferito di non so quale arrondissement ha conosciuto una grave crisi fin dal tristemente noto 11 settembre 2001. Questo monumento alla cucina ha rischiato più volte il fallimento e sopravvive a stento. Purtroppo. L’uomo cammina trascinando i piedi sull’asfalto già caldo di un marciapiede sconnesso, con sandali marroni allacciati da una parte e le dita che escono sfacciate dalla suola soffice, quasi di cartone. Si annoda il vestito giallo e viola per non perdere la fierezza del suo portamento, strizzando l’occhio alla vicina che porta a passeggio un allegro cane maculato. Con un gesto quasi meccanico apre la sua borsa di paglia per cercare il biglietto della metropolitana timbrato più volte. Mi domando come farà a passare. Prende il bus, invece, salendo le piccole scalette della vettura verdognola dalle porte scricchiolanti che probabilmente lo porterà al mercato. Saluta, lasciando ai passanti alcuni inviti per il ristorante afgano. Ancora una volta è riuscito a passare attraverso le strette maglie della legge, del controllo così ben regolamentato. L’ennesima bugia, dopo l’imbarco clandestino sulla vecchia carretta maleodorante che tanto tempo prima lo aveva portato in Francia.

Trompe l'oeil, Simonetta Sandri
Trompe l’oeil, Simonetta Sandri

Si precipita sull’autobus in corsa un altro africano, un camerunense, forse, visto l’accento (ormai li distinguo senza troppe difficoltà). Sventola un giornale dove a caratteri cubitali spicca un articolo sull’immigrazione clandestina e le intenzioni del buon governo francese in merito. L’ennesimo articolista spocchioso, pensa. Quel giornale finirà a incartare l’insalata, probabilmente. O forse nella gabbia del canarino. Questa new entry sul variopinto bus crea un po’ di disordine. Il nostro amico lascia cadere le provviste mentre cerca di fotografare, con un vecchio apparecchio scassato, un graffito tridimensionale dipinto su un muro scalcinato, inciampa in una vecchia e nobile signora dall’elegante cappellino (che ci farà mai da queste parti?), pesta le zampette di un cane accovacciato in un angolo maleodorante. La sua faccia è nascosta dai ciuffi di verdura che spuntano dal grande sacco di carta riciclata che opprime metà autobus. Spuntano solo un cappellino blu e un paio di occhiali da sole. Forse comprati nel foyer all’angolo dove merci di ogni genere – dall’aria un poco clandestina – sommergono il cortile scivoloso pieno di pentoloni di riso. Forse è l’ultima volta che passerà di lì, ne ha le tasche piene. E’ triste e lancia uno sguardo quasi furioso alle fotografie di caccia allineate sul basso mobile dell’ingresso senza finestre. La porta scricchiolante si chiude alle nostre spalle. Siamo rimasti fuori. Lo spettacolo è finito.

Lo zoom ritorna alla Rue d’Avron, dove un canadese biondo guarda verso il cielo e osserva la scia di un aereo che parte o che torna. Gli piace pensare che quel velivolo leggero torni a casa. S’immagina le attese all’aeroporto, l’accoglienza festosa dei familiari che non vede da lungo tempo e non conosce quasi più. Il canadese entra in un piccolo negozio per comprare un interruttore e una lampadina che servirà a illuminare il suo piccolo appartamento di 15 metri quadrati sui tetti. Così potrà terminare di leggere gli insegnamenti del Dalai Lama. Nella sua giovinezza dai lunghi capelli ricci aveva sempre sognato di incontrare la pace dentro un cassetto accanto al letto, semplicemente aprendolo. Un tascapane appoggiato al tavolo, fatto con cassette di frutta dipinte da una mano esperta emana un profumo di baguette fresca e appena sfornata. Salendo le scale ripide si sbuccia un ginocchio e la giovane e ancheggiante vicina inglese, dall’accento super sexy, accorre in suo aiuto con un rimedio disinfettante della nonna irlandese. Un colpo di fulmine fra i due chiude la lunga giornata. Dietro la porta lasciata alle spalle dell’osservatore indiscreto nasce il nuovo che impedisce di dormire la notte e che secca le labbra. Una candela proietta la sua ombra sul muro.

Il telefono squilla impaziente nell’appartamento accanto. Nessuno risponde. Qualcun altro compone, quasi impazzito, tutti i numeri contenuti nella rubrica del suo cellulare, in cerca di una voce qualsiasi che lo risvegli dall’inganno dell’ex fidanzata.

Insegna Parigi, Simonetta Sandri
Insegna Parigi, Simonetta Sandri

L’insegna colorata di un negozio di ombrelli occhieggia, divertita.

C’erano una volta, dicevo, tutti questi personaggi curiosi le cui vite s’intrecciano su un solo marciapiede che a volte pare fasullo. Storie generate da altre storie, da menzogne che hanno oltrepassato le frontiere: promesse di vita migliore, di uguaglianza, partenze verso destinazioni promettenti, vita degna, amore. C’era una volta la parola razza e razzismo. Ci sono oggi fratelli e sorelle. In salita.

Ogni favola ha una morale. Almeno così ci insegnavano i nonni. Quale, nel nostro breve racconto? Lascio la risposta a Mohamed, Khaled, Soulef, Xuxu, Luigi, Marc, Alex, Igor e Paz che mi ascoltano a un centro sociale multirazziale di un complesso, affollato e colorato quartiere parigino. E che in fuga dalle bigie dei loro governanti sono passati per le bugie dei loro occasionali “traghettatori” verso quelle dei nuovi paesi che li ospitano.

Si parla tanto di clandestini e clandestinità, di fuga dal terrore, di traghetti della speranza e delle tante promesse più o meno mancate. Ma alcune bugie, che trasformino o nascondano la realtà poco importa, sembrano a volte migliori di altre.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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