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Questa storia nasce in una classe quarta dopo una discussione sui diritti che i bambini dovrebbero avere.
Secondo loro, oltre a quelli della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, tutti i bambini dovrebbero avere anche il diritto di: aiutare, avere amici, avere la testa fra le nuvole, avere del tempo libero, avere una casa, avere una famiglia, ballare, cantare, correre dalla mamma o dal papà, crescere in tranquillità, dire di no, dire la verità, dire quello che si pensa, disegnare, divertirsi, esprimersi in modi diversi, essere abbracciati, essere accolti, essere accuditi, essere aiutati, essere amati, essere ascoltati, essere coccolati, essere curati, essere felici, essere liberi, essere nutriti, essere protetti, essere rassicurati, fare cose sicure e adatte, fare sport, festeggiare, giocare, imparare tante cose nuove, imparare una lingua diversa, impegnarsi nelle cose che si fanno, innamorarsi, inventare giochi e storie, lavarsi, oziare, piangere, recitare, ricordare, ridere, riposarsi, sognare, sporcarsi, stare al caldo, stare all’aria aperta, stare bene, stare in compagnia, suonare, vedere luoghi diversi.

La Storia di Angelo, il bambino con la testa fra le nuvole

C’era una volta un bambino di nome Angelo che abitava a Quelpaese.
Era un bambino come tutti gli altri bambini: allegro, vivace, distratto, divertente e con tanta voglia di giocare. E come tutti i bambini andava a scuola e a scuola qualche volta si divertiva, qualche volta si annoiava, qualche volta si interessava e qualche volta veniva rimproverato dalla maestra perché non stava attento. Infatti quando la maestra spiegava, a lui veniva da prendere la gomma e immaginare che fosse una nave che stava salpando per i mari del sud, oppure quando c’era la prova di verifica e lui era agitato gli veniva da immaginare di essere un cameriere in una pizzeria, di portare una pizza gigante a un signore seduto al tavolo e poi di organizzare uno scherzo per farlo alzare e potergli mangiare tutta la pizza. Una volta mentre la maestra stava spiegando le catene montuose dell’Italia, Angelo cominciò a immaginare di costruire una macchina che scartasse i cioccolatini, un’altra volta uno strumento che facesse i gelati alla crema, ma così piccolo che potesse stare nella cartella della scuola.
A lui insomma piaceva sognare da sveglio.

Angelo si distraeva anche a casa: quando stava studiando, quando i suoi genitori gli facevano vedere i programmi culturali, quando lo portavano dalla zia e anche quando non riusciva a dormire.
Una volta, mentre era da sua zia e lei gli stava raccontando di come le faceva male la schiena, lui invece di ascoltarla andava con la sua “testa fra le nuvole” e immaginava per esempio di nuotare in una piscina tutta piena di pop corn. Un’altra volta, invece, mentre suo papà gli stava facendo vedere un programma in televisione sugli allevamenti di gamberi in Giappone, immaginava di diventare il protagonista di un film d’azione: ‘Angelo Jones e i pescatori della barca sperduta’, riusciva a sconfiggere i cattivi e tutti lo consideravano un eroe.
Lui si divertiva a fantasticare perché poteva immaginare quello che voleva e poi gli piaceva stare in un mondo fantastico perché era più bello che stare nel mondo vero.

Immaginare però gli creava qualche problema perché, quando non stava attento, non capiva la lezione, si confondeva, faceva confusione e alla fine si sbagliava.
Ma a distrarsi non era l’unico: quando Angelo raccontava tutte le belle cose che pensava, anche i suoi amici gli confessavano che si distraevano e che viaggiavano molto volentieri “con la testa fra le nuvole”. La cosa cominciò ad assumere un andamento preoccupante perché più la maestra era noiosa più i bambini si distraevano e più i bambini si distraevano più la maestra li sgridava.
Venne anche il momento in cui lo disse ai loro genitori e lo riferì alla direttrice della scuola.
La direttrice della scuola di Quelpaese ne fu molto preoccupata perché credeva che i bambini imparassero soltanto se stavano attenti mentre la maestra spiegava.
Pensò allora di riferire la sua preoccupazione al presidente dell’associazione “B.A.B.B.E.I.” di cui anche lei faceva parte.
B.A.B.B.E.I. era l’acronimo di: “Basta! Attenti Bambini Bisogna Essere Immobili”. L’associazione era composta da vecchi professori che volevano a tutti i costi che i bambini ubbidissero senza tante storie, che rispettassero le regole, che dicessero sempre di sì ai grandi e che stessero sempre attenti a scuola come stavano attenti loro ai loro tempi. Per risolvere il problema imposero alla scuola di Quelpaese tre regole molto ferree che tutti i bambini della scuola dovevano rispettare.
Le tre regole erano queste:
1) Bisogna stare attenti.
2) Bisogna stare sempre attenti.
3) Per stare più attenti bisogna stare sull’attenti.
I bambini però non ci riuscivano proprio a rispettare quelle regole, neanche con la minaccia delle punizioni e poi anche quando sembravano rispettarle la loro testa voleva andare per conto suo fra le nuvole a pensare, a ricordare, a immaginare, a fantasticare. Più lo facevano e più pensavano che tutte le invenzioni importanti, le grandi teorie, i bei libri, i quadri famosi, le sculture, le canzoni, le poesie dovevano essere nate proprie nei momenti in cui le persone avevano la testa fra le nuvole. I bambini si convinsero che avevano ragione, ma non sapevano come fare per far cambiare idea alla maestra.
Un giorno Angelo, che era quello che stava più “fra le nuvole” degli altri compagni, inventò una filastrocca sulla loro situazione. Faceva così:
Mi chiamo Angelo, sono un bambino
un po’ pensieroso, un po’ birichino,
ho sempre fra le nuvole la testa
così è come se fosse sempre festa.
È vero, a volte non sto attento
e di questo mica son contento.
Ma quando io ho immaginato
nella mia mente ho già creato.
Ognuno di noi usa la sua fantasia
per mettersi in testa un po’ d’allegria.
Tutti adoperiamo l’immaginazione
per dare al futuro un’accelerazione.

Piacque a tutti i suoi compagni che, durante l’intervallo in cortile, si divertivano a recitarla, a cantarla e a ballarla.

Un bel giorno passò vicino al cortile della scuola il Dj RAPpaello, un giovane musicista rap; si accorse di quella filastrocca, la ascoltò e gli piacque così tanto che la copiò, la musicò, la registrò e cominciò a diffonderla dalle antenne della radio libera di Quelpaese. In men che non si dica, il ‘Rap del bambino con la testa fra le nuvole’ (così aveva intitolato la sua canzone) diventò molto conosciuto, talmente conosciuto che la televisione di Quelpaese intervistò Dj RAPpaello chiedendogli, fra le altre cose, dove aveva trovato l’ispirazione per quella canzone
Il Dj, che in realtà si chiamava Raffaello ma gli piaceva farsi chiamare RAPpaello per infilare nel suo nome la parola RAP, confessò che l’aveva sentita dai bambini che la scandivano nel cortile della scuola. Allora il giornalista di Quelpaese andò in quel cortile e chiese a quei bambini perché avevano inventato quella filastrocca. Loro gli dissero di parlare con Angelo che gli raccontò la storia dei B.A.B.B.E.I. e nell’intervista aggiunse anche che, per avere una buona testa, era importante stare attenti, ma era altrettanto importante avere un po’ la testa fra le nuvole, una testa capace di “futurare”, cioè di immaginare il futuro in maniera originale.
Il giornalista della televisione di Quelpaese riportò la notizia in un servizio speciale ed ebbe subito un grande clamore. I genitori, che non ne sapevano niente, si arrabbiarono molto. Tante persone telefonarono alla televisione e scrissero sui giornali, lamentandosi delle brutte regole imposte a scuola. L’interesse di tutti fu talmente grande che il Ministro della Scuola di Quelpaese sciolse immediatamente l’associazione dei B.A.B.B.E.I., tolse quelle tre regole e fece una legge che diceva: “Se si vuole un mondo più bello, bisogna vedere, ascoltare, leggere, prendere e imparare dal bello che c’è già, perché le cose belle non si consumano anzi più si impara da loro più loro crescono”. Fra le altre cose, disse anche che bisognava pubblicare su tutti i giornali, almeno una volta alla settimana, le immaginazioni dei bambini, i loro testi, le loro storie, i loro disegni, le loro ‘futurazioni’.
Angelo e i suoi compagni furono molto contenti. Dj RAPpaelo fu davvero felice.
Anche la gente di Quelpaese iniziò a essere più serena perché finalmente aveva imparato che la speranza non è un’illusione ma è la realtà concreta rappresentata da tutti i bambini e le bambine che devono essere educati e istruiti nel modo giusto, anche lasciandoli viaggiare con la testa fra le nuvole.
Solo dopo aver imparato questo, tutti quanti potranno vivere felici e contenti.

Un Natale e un 2019 pieni di speranza e serenità a tutti voi dai Bambini del Cocomero e dalla redazione di Ferraraitalia

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I Bambini del Cocomero


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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