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“In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete; aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt’intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere.”
“Oh” Se solo fossi grosso come gli altri alberi!” sospirava l’alberello…”

Hans Christian Andersen è il narratore delle piccole cose e dai profondi significati, in grado di dare una voce a chiunque e qualunque cosa, siano esse vanitosi bucaneve, povere fiammiferaie o soldatini di stagno con una sola gamba. “L’abete” (“The fir tree”), favola pubblicata per la prima volta nel 1844, è una delle sue inestimabili perle che racchiude insegnamenti e l’insostenibile leggerezza dell’essere, e del diventare. Contemporanea e attuale; non solo, come spesso si pensa di fiabe e favole, per i bambini, ma anche per gli adulti, i cosiddetti ‘grandi’.
Il desiderio di grandezza dell’orgoglioso abete, che non si accontenta della sua radura di bosco, viene bruciato – e con esso lui stesso – proprio con l’arrivo di ciò che lui aspettava di più, del suo sogno di grandezza, rivelando quanto effimera sia la felicità e l’eterna attesa del futuro, senza mai capire quanto importante sia il presente.
abete-parlanteUna volta raggiunto l’apice, e gustato il momento di gloria, comincia la sua fase di declino: dapprima celebrato nel suo momento di massimo splendore – il carro del vincitore tanto caro all’opportunista -, addobbato e arricchito di oggetti inutili e della vanità tipicamente umana, una volta oltrepassata la curva del successo totale – è la storia a insegnarci che, una volta raggiunto l’apice, non può che cominciare una lenta discesa – è scartato dalla governante di casa, poi dal cameriere e da ultimo persino dai bambini, che ne salvano solo la stella di cartapesta, l’abete capisce solo in questo momento, ormai troppo tardi, il valore di ciò che ha sempre avuto, e ormai perso per sempre. Solo gli animaletti del bosco, simbolo della vera amicizia, gli restano fedeli fino alla fine.
Il Natale diventa l’occasione di una resa dei conti con se stesso; con il suo inappagato desiderio di essere sempre di più, sempre qualcosa di nuovo e diverso senza apprezzare quello che già ha. Che non significa necessariamente accontentarsi.

“L’albero pensò alla sua gioventù passata nel bosco, alla divertente notte di Natale, e ai topolini che erano così felici di aver sentito la storia di Klumpe-Dumpe. «Finito! Finito!» esclamò il povero albero. «Se almeno mi fossi rallegrato quando potevo!»

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Giorgia Pizzirani


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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