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di Claudio Pisapia e Claudio Bertoni

McKinsey, società di consulenza finanziaria considerata come la più influente al mondo, con all’attivo clienti di alto profilo quali società internazionali e persino governi, il 15 febbraio scorso ha pubblicato un dossier sull’indebitamento di Stati, aziende e famiglie dall’inizio della crisi ad oggi. Ebbene, il debito mondiale è aumentato di 57.000 miliardi di dollari determinando un rapporto debito/pil del 289%. Sono cifre da paura: il mondo è super indebitato e verrebbe da chiedere “con chi? Con gli abitanti di Venere?”. Ma tant’è… e sulla Terra, senza tanto discutere su chi sono debitori e creditori (sempre lo Stato), si cercano affannosamente le soluzioni. Tutti i giornali hanno ovviamente concluso che un debito del genere bisogna ridurlo. “L’esplosione del debito globale” titola Repubblica, “Non nascondiamo il debito sotto il tappeto” continua, seguita da gran parte delle testate giornalistiche nazionali. E Renzi, Padoan, Yutgeld, insieme alla schiera dei loro consiglieri economici, a ribadire il mantra del “riduciamo il debito” e “il debito va pagato”. Ma non è questo che dice la rinomata società McKinsey.

Se il debito pubblico vada ripagato o meno e se sia un problema è solo ed esclusivamente una scelta, politica prima di tutto. Ma in questi tempi bui, soprattutto dal punto di vista informativo, invece il fatto che il debito pubblico sia un problema e che vada ripagato è diventato un dogma. Invece, è una scelta che presuppone la volontà difendere o la maggioranza della popolazione oppure i grossi centri di potere politico e finanziario. E’ una scelta perché dipende da che parte si decide di stare.

Attenzione: il punto non è se prendere le difese del debitore o del creditore, ma se prendere le parti di cittadini, famiglie e imprese che lavorano e che producono beni e servizi reali oppure chi controlla i grossi gruppi di potere politico e finanziario e non produce nulla di utile.

La parte più interessante del report di Mc Kinsey è alle pagine 33 e 34. Ne riportiamo e commentiamo i passaggi principali. Innanzi tutto l’autorevole istituto (che non risulta gestito da soggetti ‘anarco insurrezionalisti’) pone una distinzione tra debito pubblico lordo e netto. Il primo, quello a tutti noto, rappresenta i Titoli di Stato detenuti sia dalle rispettive Banche centrali sia da altri istituti o da privati; il secondo, di cui non si parla mai, rappresenta solo quello detenuto da altri istituti o privati. E qui le cose diventano interessanti. McKinsey dichiara che se proprio vogliamo considerare il debito pubblico  un problema dovremmo prendere in considerazione almeno solo il debito pubblico netto. Perché, dice, ”il debito di Stato detenuto dalle banche centrali (o qualunque altro ente governativo) in un certo senso è solo un’entrata contabile che rappresenta la rivendicazione di una parte del governo verso un’altra. Inoltre, tutti i pagamenti dell’interesse su questo debito sono tipicamente inviati alla tesoreria nazionale, quindi il governo sta effettivamente pagando se stesso”.
Si sta dicendo che il debito pubblico detenuto dalle banche centrali non è un problema perché sono soldi che un membro della famiglia deve ad un altro membro della stessa famiglia. Sono semplici saldi contabili! Ma allora perché Padoan, Renzi, Yutgeld (e consiglieri economici) dicono il contrario? La risposta viene sempre da McKinsey chiara e netta “Non e’ chiaro se le banche centrali possano cancellare il debito governativo che detengono. Qualsiasi svalutazione di questo valore cancellerebbe il capitale della banca centrale. Mentre ciò non avrebbe nessuna conseguenza economica reale, è presumibile che possa creare turbolenze nei mercati finanziari.
Ora scusateci il passaggio poco convenzionale: ma chissenefrega! Cioè abbiamo la presunzione di pensare che Loyd Blankfein, Larry Fink & Co possano riuscire a vivere anche con 500 mila dollari l’anno invece che con 5 miliardi, e a noi, abitanti del mondo reale, ne basterebbero 50 mila. Potremmo stare davvero tutti meglio, equamente meglio. Magari produrremmo anche un po’ meno cose, quelle necessarie, ma potremmo magari avere più servizi.

Ecco un altro passaggio che crediamo valga la pena rileggere ”Cancellare il debito governativo dalla banca centrale non avrebbe alcuna ripercussione per l’economia reale ma sarebbe un problema per i mercati finanziari”. E qualche riga più sotto scrive ancora ”Un’altra opzione che è stata suggerita è quella di rimpiazzare il debito governativo sul bilancio della banca centrale con una obbligazione perpetua a tasso zero… tuttavia, una mossa di questo tipo potrebbe creare una reazione negativa nei mercati e, in alcuni paesi, da parte di politici e regolatori”. Quindi il debito più che essere ripagato potrebbe essere cancellato perché su di noi (abitanti e lavoratori del mondo dell’economia reale) non avrebbe effetti, oppure lo si potrebbe sostituire con un’obbligazione a tasso zero, quindi un debito che non crea altro debito, ma che semplicemente è garantito dallo Stato. Soluzioni a costo zero per il mondo reale ma che qualche problema darebbe a mercati e finanza, ovvero in percentuale, come diceva il grande prof. Ioppolo, “problemi” solo per quell’uno per cento della popolazione che oggi condiziona la vita dell’altro 99%. Il report McKinsey a pagina 34 finisce dicendo:”Quindi, una misura più semplice ma equivalente sarebbe quella in cui le banche centrali semplicemente detengano il debito in perpetuo e l’opinione pubblica si concentrasse sul debito netto al posto del debito lordo.”
Nessun giornale e nessun politico ci racconta queste cose. Forse perché non gli conviene? Sicuramente perché se venisse attuato quanto scritto sopra o magari se ne rendesse partecipe la cittadinanza, verrebbero spazzati via da spread o scandali ad hoc. Il problema è che la responsabilità è anche nostra che continuiamo a dargli fiducia, ma è sensato cominciare a pensare che il vento stia cambiando.

Il documento integrale del McKinsey Institute è consultabile online [clicca qua]

L’immagine di copertina è tratta da Serenitalia.it [clicca qua per andare al sito]

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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