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Nelle affollate sale della cultura ferrarese, dove si parla e si discute di temi e motivi straordinari (benché a volte le accoglienze siano un po’ scarse), e mi riferisco in particolare a un Castello tutto immerso nell’oscurità, mentre gli ascoltatori della conferenza su Camillo Filippi, noto pittore manierista della scuola ferrarese, si guardavano smarriti in attesa di una luce che permettesse una necessaria sosta alla toilette, o alla trionfale presentazione del libro del caro amico e collega Franco Cardini (e mai saranno sufficientemente lodate le illustrazioni prodotte da Maria Paolo Forlani!) con tutta la noblesse culturale della città con la bocca convenientemente piegata alla smorfia “cul de poule” (massimo rimprovero per “eventi” condannati a priori), che giurava sulla convinzione che MAI avrebbe ascoltato il festival della canzone sanremese, al massimo un buon western o una fantascienza d’antan.
Io, per me, curioso anche delle vetrine che espongono i cachemires e le toilettine alla Renzi, mi son sistemato in poltrona, naturalmente quella con la parte reclinabile adatta alla mia età, per vedere la più straordinaria rappresentazione del carattere degli “itagliani”. Formidabile, anche se crollavano a iosa nell’angosciante e piranesiano palcoscenico (della sempre verde serie delle Carceri) miti e personaggi. L’angosciato Fazio alle prese con la minaccia grilloide che ha riempito la piazza davanti al teatro, col ripetitivo insulto del canuto comico e la più reale minaccia di due disperati che protestavano perché, assieme ad altri 800, non prendono più stipendio da mesi.
Fazio tenta la via del salvare capre e cavoli, secondo la vecchia legge del teatro: “lo spettacolo deve continuare”. Mentre si susseguivano siparietti un po’ retrò tra cui penoso il duetto tra lo scheletrico presentatore e una formosetta con viso schiacciato -una certa Casta- ambientato in un’improbabile rivisitazione dell’esistenzialismo francese.
Allora, ho capito tutto! E’ vero, è vero! Il signore di Arcore si è sempre esibito sulle navi da crociera e nelle sue ville a sussurrare Les feuilles mortes o La vie en rose tra un’orgettina e l’altra. Ma era satira o realtà? Questo è il problema. Se sia più reale l’imitazione della vita o la vita come imitazione. Mah! In questa fiera dell’usato, ecco duettare una signora cinquantenne, la cosiddetta Lucianina, con una sempre verde Carrà gravata di innumerabili anni, parlando degli acciacchi dell’età superata con ginnastica e fiducia nella vita.
Credo che il mio spot preferito (a parte le confidenze delle signore in ascensore sugli ormai sconfitti “odori” delle loro parti intime o quello, solo per intellettuali, dove Dante scrive la Commedia sul rotolone igienico) sia quello in cui una signora con voce “importante” magnifica l’adesivo che le permette un uso disinvolto della dentiera. Ecco di nuovo: spot pubblicitario per tenersi in forma oppure pura e semplice adesione alla vita nei suoi più rappresentativi significati amatissimi dalla casalinga di Voghera o dai patiti di B. che ha avuto la capacità di ridurci così? Ecco perché non sopporto la presunzione dei miei simili (accademici e non) che trovano una diminutio specchiarsi nel mondo sanremese. Questa, come dire, riserva da radical chic (categoria a cui in certi momenti entusiasticamente aderisco, specie quando mi si rimprovera da parte degli urlanti populisti il mio privilegio di potere assistere a un grande concerto di musica classica invece di spendere 6-700 euro per la serata finale di Sanremo) mi porta a riflettere sul senso di quei nomi così doverosamente sostenuti da chi crede, ancora per poco, alle parole come “valore” e “cultura”.
Ben lo spiega il bravo Curzio Maltese su “La Repubblica” del 19 febbraio da un titolo inquietante La politica? Si fa a Sanremo. E di fronte alle urla di G. le poltrone vuote delle mogli dei Marò prigionieri in India, la protesta dei due operai riflette: “Da noi si denunciano i problemi non per risolverli, ma per ottenere un grande applauso. L’applauso in sé garantisce che la soluzione non sarà mai trovata, perché in questo caso la volta successiva non si potrebbe ottenere un altro applauso e di conseguenza s’incepperebbero i sacri meccanismi dell’audience.”
Si pensi che, oggigiorno, per sconfiggere la morte e il mistero più tormentoso della nostra esistenza, ai funerali si applaude: una forma atroce che vorrebbe ricordare il defunto attraverso la forma più spettacolare, l’applauso appunto. E le canzoni. Quelle non contano. Forse fischieremo un motivetto quando la macchina pubblicitario-organizzativa si sarà esaurita. Tutte queste modalità di espressione non hanno forse qualche somiglianza con l’altra macchina politica messa in piedi dal Presidente del Consiglio incaricato? Chissà quale canzonetta fischieremo: un plagio o una novità?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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