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I gagè sono gli altri per definizione. Il termine non corrisponde sempre perfettamente a “non zingari”. Per i Rom, Cristo è stato messo in croce dai gagè. E la crocifissione è l’esempio più chiaro della malvagità dei gagè. Poi Salvini non si risenta se Roberto Saviano ha coniato per lui l’espressione “il ministro della Crudeltà”.

Rom in Europa, lom in America, dom in Medio Oriente: questi sono i nomi con cui i popoli zingari designano se stessi. L’origine della parola è indiana: il significato è quello di “uomo”, in particolare “uomo libero”.
È un fatto che storicamente alle destre l’uomo libero non va proprio giù. L’uomo che non sei tu non è ‘uomo’.
A partire dal 1938, per formale richiesta della Svizzera, sui passaporti dei cittadini tedeschi di “razza non ariana” vennero apposti timbri distintivi. Gli ebrei avevano una J, gli zingari una Z. Le stesse lettere che venivano tatuate sul braccio prima del numero di identificazione nei campi di sterminio.
Quando nei confronti di un’etnia si usa la parola ‘censimento’, cultura vorrebbe che tornassero alla memoria barbarie di un passato non troppo remoto e, se la cultura proprio viene a mancare, dovrebbe soccorrere il catechismo dell’infanzia.
Ma l’ignoranza ormai la fa da padrona, preziosa alleata della paura che da essa attinge il suo nutrimento migliore.
Pare che questo governo abbia riportato in auge una classe di energumeni che considerano la conoscenza culturame, roba da intellettualoidi privilegiati, intenti a pascersi di sapere perché non hanno problemi a sbarcare il lunario. Anche questo, storicamente, è un topos delle destre.
La sospensione della democrazia rischia di passare che non te ne accorgi, specie se già non mancano equivoci e ambiguità a rendere particolarmente fragile il tessuto sociale.

A Milano c’è una scuola paritaria, liceo classico e scientifico, intitolata ad Alexis Carrel.
Alla nascita del governo Vichy nel 1940, Carrel accetta l’invito del Maresciallo Pétain di dirigere la Fondazione Carrel per lo studio dei problemi umani, che in pratica si occupava di selezioni razziali.
Ammiratore di Hitler e Mussolini, pubblica in America nel 1935 ‘Un uomo, questo sconosciuto’, nel frattempo, da ateo dichiarato, si è convertito a seguito di una guarigione miracolosa a cui ha assistito a Lourdes. Nel suo libro farneticante però scrive: “Rimane poi il problema insoluto dell’immensa folla dei deficienti e dei criminali, che pesano interamente sulla popolazione sana: le spese per le prigioni e per i manicomi, per la protezione del pubblico dai banditi e dai pazzi sono diventate gigantesche. Le nazioni civili stanno compiendo inutili sforzi per la conservazione di essere inutili e nocivi, e così gli anormali impediscono il progresso dei normali”. Risparmio le soluzioni proposte, ma è evidente l’affinità di linguaggio e di pensieri con chi oggi, brandendo vangeli e rosari, dovrebbe garantire la sicurezza nostra e la robustezza della democrazia.
Carrel fu un grande pioniere della chirurgia, inventò brillanti tecniche di sutura dei vasi sanguigni, la tecnica odierna dei trapianti gli deve molto, ma certo è assai discutibile avergli dedicato una scuola. È questa facilità con cui si chiudono gli occhi che fa temere della capacità di reggere delle nostre istituzioni, specie se, alla proposta di censire i Rom, ci si limita a rispondere con la massima disinvoltura che è più urgente censire le clientele nella pubblica amministrazione e alla Rai, come se le due cose stessero sullo stesso piano.

Da parte del ministro ci si è affrettati a precisare che non di censimento si tratterebbe, ma di assicurare che i figli dei nomadi frequentino la scuola. E qui l’ignoranza o la falsità raggiungono l’apice.
Qualcuno avrà sentito parlare di Alfred Siegfried, della Fondazione Pro Juventute. Dobbiamo spostarci in Svizzera, nel 1926, ma il programma della Fondazione, finanziato da privati e istituzioni, proseguirà fino al 1974. Alfred è un insegnante di ginnasio, cacciato dalla scuola per pedofilia, fonda, per la Pro Juventute, il programma Kinder der Landstrasse, ‘Bambini della strada’, con l’intento di “sradicare il male del nomadismo, fin dall’infanzia, attraverso misure educative sistematiche e coerenti”, consistenti innanzitutto nel sottrarre i bambini ai loro genitori e nella sterilizzazione forzata dei genitori stessi. In sostanza un programma di pulizia etnica, camuffato da scolarità infantile, sostenuto dal governo elvetico. Potremmo dire nulla di nuovo sotto il sole e anche invocare i corsi e ricorsi della storia.
Non ci resta allora che consigliare al ministro Salvini, e a tutti i suoi estimatori, la lettura del primo romanzo di Mario Cavatore, pubblicato da Einaudi nel 2004: ‘Il seminatore’.
La storia inizia in Svizzera nel 1939, quando da tempo è attiva l’opera di Alfred Siegfried. Lubo, che è uno zingaro naturalizzato, sta prestando servizio militare obbligatorio, quando riceve la notizia che gli sovvertirà la vita: i suoi due bambini sono stati presi dalla polizia e la moglie, che ha tentato invano di opporsi, è stata uccisa. Tutto è avvenuto nel segno della legalità ad opera di una organizzazione “umanitaria”: la Kinder der Landstrasse.
Lubo, straziato da quella brutale prevaricazione ammantata di legalità, decide di vendicarsi.
Il suo piano è inseminare il maggior numero possibile di donne svizzere, per rispondere alla politica eugenetica con un gesto uguale e contrario, d’immensa portata simbolica: se la Svizzera gli ha tolto due figli con sangue zingaro, ne avrà in cambio duecento con sangue misto.
Ecco ministro, avere una cultura a volte può aiutare prima di parlare di schedature e censimenti.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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