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da: Francesco Introzzi (Cuneo)

Il terrorismo – come qualsiasi centro di potere basato sull’uso incivile e criminale della forza – può essere combattuto solo dalla promozione di una cultura della libertà e dell’auto-determinazione civile.
Dobbiamo denunciamo la barbarie di tutti quei governi nazionali – anche se democraticamente eletti – che usano la violenza, la repressione e la tortura come strumento del loro modo di asservire i loro popoli.
Questi governi non sono degni di appartenere alla comunità delle popolazioni civili e nessun patto di carattere politico deve poter essere stipulato in base ad una politica di “realistica ma indifendibile criminalità”.
Contro questi regimi dobbiamo organizzare strutture politiche di coordinamento tra tutti i paesi che intendono affermare, difendere e promuovere i valori di una convivenza civile dentro i loro confini politico e al di là di qualsiasi confine politico.
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Il governo turco guidato da Recep Tayyip Erdoğan, nonostante la sua formale legittimazione democratico-elettorale, ha assunto iniziative e comportamenti assolutamente incivili e illiberali come la repressione delle lotte indipendentiste delle popolazione curde e l’imprigionamento dei giornalisti dell’opposizione politica interna.
Di fronte a questa situazione il finanziamento europeo al governo Erdogan per la sua collaborazione alla soluzione del problema dei profughi è stato un gesto inconsulto e di aperta connivenza con uno dei principali responsabili delle situazioni di guerra di cui quei profughi sono vittime. La storia del secolo scorso ha mostrato diverse e incontrovertibili volte che la legittimazione democratica ha coperto politiche abominevoli che le nazioni civili non possono tornare ad avallare, né all’interno dei loro confini, né in altre parti del pianeta in cui ancora tali fenomeni, disgraziatamente, ancora si manifestano.
Per queste precise ragioni dobbiamo chiedere le dimissioni dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini.
Non avendo titolo l’Italia per imputare analoghe responsabilità al cancelliere tedesco, Angela Merkel, l’Italia deve chiaramente dissociarsi dalle responsabilità del governo turco e chiedere nel contempo alla Turchia il rispetto dei diritti civili dei suoi cittadini e rispettare le legittime pretese all’autodeterminazione della popolazione curda.
Tale responsabilità rientra infatti nelle concause della tragedia turca connessa al tentato colpo di stato avvenuto a metà luglio 2016 in concomitanza con altre sciagurate manifestazioni di violenza che hanno colpito l’area euro-mediterranea (leggi gli atti terroristici di ispirazione anti-laicista e anti-eteroreligioso).
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La guerra contro la violenza politica, al pari della battaglia contro tutte le violenze private, va anzitutto combattute sul terreno del progresso culturale delle popolazioni e della loro sicurezza economica e imprenditoriale.
La NATO, rispetto a questi obiettivi trans-nazionali, è assolutamente inadeguata. Al di là del problema della difesa militare atlantica dobbiamo pensare ad organizzare delle strutture a territorialità estesa (mega-territoriali, in ambito UNESCO) alle quali fare affluire risorse progressivamente sottratte a degli armamenti che non corrispondono certo alle esigenze prioritarie della pacifica convivenza civile.
A questo precipuo scopo si potrebbe pensare ad esempio a creare una “Comunità Civile Multi-Area” (acronimo inglese “CIMARC /Civil Multi-Area Community”) nel cui ambito impegnare quei paesi che decidano di privilegiare il progresso socio-culturale delle loro popolazioni, superando – proprio grazie alla collaborazione culturale e socio-organizzativa – gli stessi presupposti dei conflitti d’interesse e la logica perversa, sia delle guerre che delle patologie psicologiche dei vari terrorismi.
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Rivolgo quindi a tutti i destinatari di queste mie (perplesse e tuttavia fiduciose) considerazioni l’invito a farsi promotori d’iniziative dirette ad affermare i nostri comuni sentimenti di solidarietà civile e a risolvere una problematica che richiede – a vari livelli, sia popolari che più specificatamente politici – soluzioni complesse ma, nella loro semplicità, anche estremamente urgenti (messaggi, articoli, dichiarazioni dei consigli comunali, manifestazioni politiche locali, governative e non-governative).
Cordiali saluti a tutti
(Federica Mogherini compresa, infatti le sue dimissioni – che, in linea di principio, rimangono dovute – non è detto che debbano essere accettate).

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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